Capitolo 14 ♡ Dana

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Non mi era mai capitato di dormire troppo a lungo, di non sentire la sveglia e di arrivare in ritardo a scuola. Anche in quei giorni in cui la voglia di uscire da sotto le coperte era difficile da trovare, riuscivo sempre a racimolarne un pochino per fare in modo di arrivare in tempo.
Ero del pensiero che, anche se dovevi fare una cosa che non ti andava, era sempre meglio farla per bene che con negligenza. In ogni caso, avresti dovuto farla, quindi non cambiava molto.
Questo era uno dei tanti motivi per cui mia madre mi diceva sin da piccola che avevo la stoffa dell'atleta: ero diligente e severa con me stessa, quel giusto che bastava per vincere nel mondo delle competizioni agoniste. Non mi disse mai che avrei fatto meglio a tenere quel mio spirito lontano dalla mia vita di tutti i giorni. Pensavo che la gara per la borsa di studio sarebbe stato un buon allenamento, per imparare a fare le cose male, ma il mio piano non sembrava andare come desideravo.
Quel giorno, tuttavia, arrivai a scuola che le porte d'ingresso erano già state chiuse. Era una tradizione che ci arrivava in ritardo sarebbe dovuto entrare dalle porte di metallo sul retro, quelle che ti facevano passare proprio davanti all'ufficio della vicepreside per riuscire ad andare in classe.
La notte precedente non avevo dormito nulla. Fra la festa, l'essermi intrufolata in camera di Rachele e l'essermi ritrovata Carlotta davanti, con i suoi occhioni grigi a fissarmi, mentre cercava di mettermi a nudo, la mia mente era partita per un treno che non si era fermato fino alle prime ore del mattino. Più o meno quando mi ero accorta che non c'era più nessuno in casa e che io mi sarei già dovuta trovare in classe, a fare una verifica di grammatica inglese.
Mi sedetti fuori dall'ufficio della vicepreside, aspettando come in una sala d'attesa che arrivasse il mio turno. Le sedie di plastica blu disposte per il corridoio erano praticamente tutte occupate. Sembrava che quella mattina fosse molto gettonata l'entrata in seconda ora. Chissà perché. Ero sicura che anche la vicepreside fosse a conoscenza delle nostre tradizioni di Halloween, visto che faceva quel lavoro da ancora prima che noi iniziassimo le medie, e speravo che fosse stata tanto lungimirante da prepararsi una bella pila di giustifiche pre-compilate.
Quando aprì la porta del suo ufficio, per fare uscire una ragazza che aveva appena giustificato la sue entrata in ritardo, si affacciò per qualche secondo sul corridoio, passandoci in rassegna con gli occhi. Probabilmente ci stava contando per capire quanti fogli far stampare ancora alla bidella.
«Fate entrare chi deve concorrere per la borsa di studio. Dovreste già essere in palestra da un po', non avete sentito la comunicazione?» chiese inviperita, fissando me e il ragazzo seduto a poche sedie di lontananza. Immaginai fossimo noi due i colpevoli della sua rabbia. Avrei voluto risponderle che no, non avevo sentito quell'annuncio e anche se l'avessi fatto non potevo certo presentarmi in palestra senza chiedere di togliere la mia assenza a qualcuno, ma mi morsi le guance per rimanere in silenzio.
Io e il ragazzo ci alzammo, e dopo aver recuperato i nostri fogli da compilare, fummo spediti con forza verso la palestra. Non ci diedero nemmeno il tempo di lasciare gli zaini in classe, nonostante i continui borbottii del ragazzo che sembrava essersi portato in spalla l'intera casa.
Tutti gli altri concorrenti, quelli che erano rimasti dopo la prima eliminazione, quanto meno, erano disposti su quattro file lungo tutto il campo da basket. Davanti a loro una delle professore di ginnastica stava urlando che avrebbero fatto cinque minuti di pausa, poi sarebbero ripartiti, facendo tutto dall'inizio fino alla fine.
Mi avvicinai alla platea, per lasciare zaino e giacca, abbastanza confusa dalla scena che mi si parava davanti. Da quando in qua per avere una borsa di studio ci obbligavano a fare una lezione extra di palestra?
Cercai nella folla intenta a dirigersi verso le scalinate, per la meritata pausa, il volto di Carlotta e quando la vidi dovetti trattenere una risata. Era ricoperta di sudore dalla testa ai piedi, le sue guance erano rossissime, gli occhi quasi spiritati, come se avesse appena subito un trauma da cui non si sarebbe più potuta risollevare. Era adorabile.
«Perché non hai la divisa da palestra?» fu la prima cosa che mi chiese, squadrando il mio abbigliamento.
«Non sapevo dovessimo metterla. Sono arrivata ora.»
«Avevano scritto sul sito della scuola che oggi avremmo dovuto portarci il cambio per fare ginnastica.»
Mi strinsi nelle spalle, le mani nelle tasche dei pantaloni. «Non penso di aver mai aperto quel sito in vita mia.»
«E come pensi di provare adesso?»
Mi indicai la camicia con la mano destra. «Così. Cosa dovremmo provare, comunque?»
Carlotta era ad un passo dall'esasperazione. I suoi capelli sembravano aver preso vita propria ed essersi rizzati in cima alla testa. «Faremo l'intervallo di metà tempo alla gara di basket di novembre, al posto del gruppo delle cheerleader.»
Dalla faccia che stava facendo, intuivo che quella non fosse stata la sua più grande aspirazione nella vita, ma per me lo era ancora di meno. Qualunque cosa ci avessero obbligato a fare, avrei preferito abbandonare la scuola e la città piuttosto che tornare sul campo da basket.
«Immagino quanto saranno contente della notizia.»
«Prima è passata Rachele a fare una sfuriata, ma la professoressa le ha risposto che non possono farci nulla, è una decisione che viene dalla vicepreside» spiegò Carlotta. I suoi occhi indugiarono a lungo sulla mia faccia alla menzione di Rachele. Era troppo curiosa e la cosa mi faceva innervosire. La sera precedente, quando mi aveva sorpresa nella camera di Rachele, sembrava pronta a chiedermi la storia della mia vita. Era irritante.
«Mentre tu non c'eri mi è toccato provare con un tipo tutto sudaticcio, per favore non arrivare più in ritardo d'ora in poi» mi quasi supplicò lei, interpretando il mio silenzio come qualcosa da dover riempire a tutti i costi. Non mi infastidiva stare in silenzio, ma non glielo dissi.
«Anche tu sei tutta sudaticcia» commentai laconica. Iniziai a togliermi il maglioncino grigio della divisa e mi tirai su le maniche della camicia, alla ricerca di più aria possibile.
Carlotta fu colta alla sprovvista, si tastò la faccia tutta rossa alla ricerca del sudore appena menzionato. «Andrò al bagno» mugugnò poi, correndo verso gli spogliatoi.
All'improvviso mi ritrovai a pensare che, se fosse stato un anno prima, ma anche solamente qualche mese prima, saremmo potute diventare amiche. Era esilarante senza nemmeno volerlo essere. E sembrava davvero dolce. Scacciai quell'immagine dalla mia testa, perché fantasticare su quello che sarebbe potuto essere non avrebbe certamente aiutato a cambiare il mio presente. O il mio futuro, per quanto importasse.
Quando Carlotta tornò dal bagno rimessa a nuovo, la professoressa ci aveva già diviso sulle diverse file, ammonendo me e l'altro ragazzo ancora in divisa scolastica che avremmo fatto meglio a imparare in fretta la coreografia, perché lei non l'avrebbe rispiegata più e sarebbe stato compito nostro memorizzarla a dovere per la serata della partita, fra poco meno di due settimane.
Carlotta mi raggiunse trotterellando, il caschetto che le si muoveva assieme alle spalle. «Mi sono persa qualcosa mentre ero al bagno?»
«Sì, ha deciso di cambiare tutta la routine» la presi in giro io, ma prima che mi svenisse fra le braccia la tranquillizzai. «Scherzo, non abbiamo ancora fatto nulla.»
Lei esalò un respiro. «Menomale, già non riesco a ricordarmi mezzo passo di quello che ci ha spiegato fino ad ora.»
Annuii come se impararsi una coreografia fatta da una professoressa ultra-cinquantenne avesse potuto veramente essere una sfida insormontabile, ma avevo i miei dubbi al riguardo.
Da dove eravamo posizionate, in fondo all'ultima riga di persone, la nostra visuale non era delle migliori, ma dopo poche ripetizioni, senza nemmeno impegnarmi a farlo, avevo già imparato a memoria tutti i movimenti da fare sulle note di Waterloo. Facevo movimenti abbozzati, svogliati, solamente per dare l'impressione di starci provando e non essere molto brava.
Ad un certo punto della coreografia dovevo girarmi verso Carlotta e fare una serie di passi guardandola in volto, solo in quei momenti mi impegnavo un po' di più. Perché lei mi guardava con quegli occhi stretti, concentrati a ricordarsi cosa doveva fare dopo, impegnandosi con ogni più piccola fibra del suo corpo in quello che stava facendo.
Sembrava veramente intenzionata a portare quella borsa di studio a casa, ma il motivo per cui lo stava facendo mi era ancora interamente oscuro. Doveva provare qualcosa? A chi doveva provarlo? Era una sfida dettata dalla sua famiglia o da se stessa?
Speravo solamente che, qualunque cosa fosse, ne valesse la pena, perché più la guardavo più mi veniva voglia di impegnarmi a mia volta. Com'era successo nella prima prova, era come se mi stesse trascinando nel suo vortice di energie positive e voglia di vincere e faceva quasi male non riuscirsi a fermare di mia spontanea volontà.
Chiunque al mio posto si sarebbe sentito in quel modo, Carlotta sembrava quasi una forza della natura e la cosa peggiore era che non se ne accorgeva nemmeno.
«Dovremmo vederci per allenarci di più» mi disse, una volta che la professoressa ci lasciò liberi di andarci a cambiare. «So che pensi che non abbiamo alcuna possibilità di vincere, ma ho davvero bisogno di quella borsa di studio. Apprezzerei davvero tanto se mi aiutassi» mi ricordò poi, come se avessi mai potuto dimenticarlo.
«Va bene, ti concedo un pomeriggio di prove, ma solo uno. Non voglio perdere più tempo del dovuto in attività extra-curricolari.»
Lei mi sorrise, come se le avessi appena detto che mi sarei impegnata al massimo per vincere quel premio.
«Vieni, ho una camicia in più che posso prestarti. Ti starà un po' larga, ma meglio che andarsene in giro puzzando come un bidone.»
La seguii negli spogliatoi femminili e, sotto gli occhi di tutte le altre ragazze presenti, mi cambiai in una camicia non mia, di almeno due taglie più grandi.
Solo qualche giorno dopo mi sfiorò il pensiero che, in quelle poche ore, non mi ero mai accorta di Christian o Rachele. Non li avevo cercati con lo sguardo come facevo di solito e sembravano essere diventati solamente delle persone in mezzo alla massa di sconosciuti.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora