Capitolo 13 ♡ Cora

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Essere trascinata ad una festa in costume era leggermente meglio che essere trascinata ad una festa normale. Almeno avrei potuto travestirmi e rendermi irriconoscibile ai miei compagni di classe.
Flora aveva optato per un outfit ispirato ad una canzone di Britney Spears, composto da una minigonna e un reggiseno nero, leggermente coperto da una camicetta bianca. Aveva legato i suoi ricci marroni in due codini, litigando più volte con gli elastici.
Io ero andata sulla classica strega, vestendomi di nero e viola, con un capello a punta e un piccolo gatto di peluche cucito sulla spalla. Sembrava un costume abbastanza studiato, anche se lo avevo raffazzonato in pochi giorni.
Nicolò ed Elia avevano deciso che quell'anno sarebbero stati una coppia di zombie, completamente truccati da testa a piedi con del bodypaint verde, con il risultato che arrivammo in estremo ritardo alla festa per riuscire a dipingerli tutti.
Nonostante fossero già passate le dieci, sembrava che le persone stessero ancora arrivando, chi in piccoli gruppi chi in grandi comitive, a casa di Rachele. Sembrava una grande cassa pulsante, piena di luci e musica che illuminavano il cielo.
Prima di entrare, Niccolò volle a tutti i costi scattare una foto di noi altri, davanti a quella palla da discoteca che sembrava sul punto di esplodere. Anche all'interno continuò a scattare fotografie ad ogni persona che attirava la sua attenzione, come un vecchio turista in un museo di opere d'arte, voglioso di catturare ogni momento della sua visita.
Flora mi trascinò dentro, cercando di farmi ballare sulle note di una canzone che non avevo mai sentito e riempiendo il bicchiere di birra che, appena si girò le spalle, buttai dentro il lavandino della cucina.
«Pensi che ci sia un posto dove la musica sia un po' meno alta?» le chiesi, praticamente urlando.
Lei si strinse nelle spalle. «Forse al piano di sopra, però potresti trovarci cose che non vorresti vedere.»
«Ma davvero non ti fanno male le orecchie? A me sembra che mi stiano per scoppiare i timpani.»
«Mi dispiace, non ti sento! Perché non vai a ballare con Elia?» propose, aprendo a dismisura le labbra per farsi capire.
Elia se ne stava con Nicolò, in un angolo del salotto-pista da ballo, mentre sfoggiavano le loro mosse più strane. Cercavano di sembrare degli zombie in decomposizione, ma le loro doti recitative lasciavano molto a desiderare.
«Dovrebbe venire lui a chiedermi di ballare!»
«Non siamo più nel cinquecento, puoi chiedergli anche tu di ballare, se lo vuoi!» replicò esasperata lei. Mi sentiva benissimo, quando dicevo cose che le interessavano.
«Il punto è proprio quello: non mi va di ballare!»
«Però se venisse a chiedertelo gli diresti di sì?»
Non le risposi. Ovviamente gli avrei detto di sì. Probabilmente balbettando e incespicando sulle parole e pestando i suoi piedi mentre ballavamo, ma non gli avrei mai potuto dire di no. Lui mi piaceva, sul serio. E se voleva ballare, avrei ballato. Ma non mi avrebbe mai invitata, ci avrei potuto scommettere.
Secondo il parere di Flora, quella sera il fratello avrebbe cercato di confessarsi. Mi avrebbe chiesto di uscire, solo noi due, nel fine settimana. L'aveva aiutato lei a preparare le parole da dirmi e il posto in cui portarmi. Il che mi faceva sentire estremamente a disagio.
Eravamo entrambi abbastanza impacciati nelle questioni amorose, era vero, ma arrivare a chiedere quel tipo di aiuto a Flora mi faceva ripensare ai miei sentimenti. Lui mi piaceva, sul serio. O forse, lui mi era piaciuto, un tempo. Ero così confusa che speravo non mi avesse rivolto la parola per tutta la serata.
«Andrò in bagno! Sai dov'è per caso?» chiesi a Flora, mentre muoveva la testa a ritmo della musica, lo sguardo fisso sulla massa di corpi davanti a noi.
«Al piano di sopra! Però ti conviene tenertela, c'è una fila lunghissima. Magari potresti provare ad andare fuori in giardino, se proprio ti scappa» rispose lei. Aveva già bevuto troppo, per quella serata. Avrei fatto meglio a tenerla d'occhio e a non farla avvicinare troppo a quella vodka che aveva adocchiato sul tavolo della cucina.
Passai di fianco ai miei amici, avvisandoli che avrebbero fatto meglio a controllare Flora mentre io ero al bagno. Gli promisi che non ci avrei messo molto, anche se quando vidi la fila al piano di sopra mi dovetti subito ricredere. Sembrava che tutti, a quella festa, avessero avuto l'immenso bisogno di pisciare allo stesso momento.
Non potevo credere che quella villa avesse solamente un bagno, così provai ad addentrarmi per l'unico corridoio che si allungava per tutto il piano. Provai ad aprire ogni porta che mi si parava a destra e a sinistra, ma sembravano essere state tutte chiuse a chiave. Onestamente, anch'io avrei fatto lo stesso se avessi deciso di ospitare centinaia di adolescenti nella casa dei miei genitori. Non che avrei mai organizzato una festa, ma, in una situazione ipotetica, avrei certamente rinchiuso tutti i miei beni più preziosi dalle mani di sconosciuti.
Poi, quando stavo per perdere ogni speranza, l'ultima porta del corridoio si spalancò sotto le mie dita. Quasi cadetti, perdendo l'equilibrio da quanto mi aspettavo che la porta rimanesse chiusa una volta girato il pomello.
Sembrava una camera da letto di una ragazza, probabilmente era quella di Rachele o di una sorella coetanea. Non sapevo nemmeno se Rachele avesse delle sorelle o dei fratelli.
Le luci erano spente e le tende delle finestre tirate, ma lo spiraglio luminoso provocato dalla porta lasciava intravedere un letto, con sopra sdraiata una persona.
Per un momento, pensai di aver disturbato qualcuno mentre stava dormendo - anche se non sapevo come avrebbe fatto a dormire con tutto il caos che regnava al piano di sotto. Poi mi accorsi che era Dana e che era completamente sveglia. Si era alzata di colpo, un'espressione preoccupata in viso, subito rasserenata non appena capì chi si trovava davanti. «Ah, sei tu.»
"Ah, sei tu" non erano certamente le parole che mi aspettavo di sentire mai pronunciare dalla bocca di Dana. Lo diceva come se, se fosse entrato qualcun altro, sarebbe probabilmente morta dalla vergogna, ma siccome ero io e non le importava nulla della mi opinione, non faceva importanza. Sarebbe stato okay se fossimo state amiche, ma non eravamo in quel tipo di rapporto. Da parte sua sembrava quasi un insulto, come se dell'opinione della piccola ed insulsa Carlotta non le fosse importato nulla, perché lei non importava nulla.
«Che cosa ci fai qui?»
«Stavo cercando un bagno.»
«È all'inizio del corridoio, il bagno degli ospiti. Immagino tu abbia notato quella lunga coda che si è formata in corridoio» borbottò lei, sdraiandosi di nuovo e rivolgendo il volto lontano dalla mia vista.
«Sì, l'ho vista. Speravo che ce ne fosse un altro.»
Senza nemmeno degnarsi di alzarsi, indicò con una mano una porta che prima non avevo notato, proprio di fianco al letto. «Cerca di non toccare nulla, se Rachele si accorge che qualcuno ha toccato la sua roba senza il suo permesso potrebbe andare su tutte le furie.» Più parlava più la sua voce sembrava incrinarsi, come se stesse trattenendo un singhiozzo.
Non sembrava il tipo che amava parlare dei suoi sentimenti, quindi decisi che era meglio fare finta di niente, sarebbe stato meglio andare al bagno. Quando uscii, con le mani ancora bagnate - avevo troppa paura che usando un asciugamano Rachele si potesse accorgere del mio passaggio nella sua stanza - mi sorpresi a trovare Dana nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata. Pensavo che, appena chiusa la porta alle mie spalle, se ne sarebbe andata, alla ricerca di un posto dove stare da sola, posto che aveva trovato prima che io venissi alla ricerca di un bagno.
La sua schiena era ancora rivolta verso di me, lasciandomi vedere solamente i suoi lunghi capelli neri, aperti come un fiore sulla federa del cuscino.
Feci il giro del letto, in silenzio, abbassandomi all'altezza dei suoi occhi. «Vuoi parlarne?»
Non c'era nemmeno bisogno di chiederle se qualcosa stesse andando male, perché ce lo aveva scritto in faccia. Se qualcuno mi avesse chiesto di descrivere l'espressione della tristezza avrei probabilmente fatto una foto a Dana e gliela avrei mostrata. Non che mi sarei mai azzardata a tirare fuori il telefono in quel momento, ma capite il mio ragionamento.
Con i miei sentimenti non ero mai stata brava, ma Flora diceva che ero una brava ascoltatrice e certe volte bastava solamente quello per portare un po' di conforto alle persone.
Sapevo che Dana sarebbe dovuta essere l'ultima persona a cui avrei dovuto desiderare portare conforto, ma, onestamente, era davvero strano vederla così giù di morale.
Aveva senso che non fosse nel pieno della sua gloria, dopo tutto quello che le stava succedendo a scuola, aveva completamente senso. Ma lei non aveva mai mostrato questa parte debole di sé. Arrivava a scuola sempre con la testa alta, pronta a rispondere a chiunque le rivolgesse uno sguardo malevolo in corridoio, con la fierezza di un leone pronto alla battaglia. Ora sembrava più un gattino indifeso, il che mi faceva pensare.
«Non c'è nulla di cui parlare» disse, ma la sua voce lasciava intendere che ci fossero molte cose di cui avremmo potuto parlare.
«Perché non iniziare con il perché tu ti trovi sdraiata in un letto, invece di essere al piano di sotto a festeggiare?»
«Sembri la mia psicologa.»
«Lo prenderò come un complimento, grazie.»
Dana mi sorrise, ma non sembrava essere veramente lì, in quel momento. I suoi pensieri si stavano muovendo veloci dietro gli occhi felini, guardando nella mia direzione ma senza vedermi sul serio.
Dopo qualche secondo di silenzio, in cui iniziai a dubitare che parlarle fosse stata una buona idea, rispose alla mi domanda. «Non dovrei nemmeno essere qui, non c'è nessun motivo perché io sia al piano di sotto a festeggiare, tanto meno perché io sia sdraiata qui. Mi andava e basta.»
«Oh, sì. Ho letto che non si può entrare se non si è in costume e mi sa che stai infrangendo qualche regola» cercai di prenderla in giro io, ma lei tirò fuori da una tasca una maschera nera, ormai rovinata da quante volte era stata piegata. «Batman?»
«Non Batman, solo un pipistrello» spiegò lei, lasciando che la prendessi fra le mie mani.
«L'hai fatta tu?» Non era uno dei migliori lavori di diy che avessi mai visto, era decisamente peggiore dei tre fili di colore diverso che tenevano il mio gatto - leggermente storto - sulla mia spalla. «Non mi sembravi una tipa da intagliare la carta.»
«No, l'ha fatta mia sorella.»
Disse la parola sorella come se fosse un crimine, una vergogna. Con uno scatto si riprese la maschera, rimettendola al suo posto. «Vedo che tu sei vestita a tema, però. Bel gatto.»
«Grazie tante» le risposi, ma non volevo parlare di costumi di Halloween con lei, avrei voluto sapere cosa le stesse passando per la testa, cosa l'avesse spinta a quella festa solamente per restare chiusa nella camera da letto di quella vipera di Rachele.
Tuttavia, lei non sembrava più in vena di parlare. Si era richiusa nel suo silenzio spettrale, girandomi nuovamente le spalle.
Sbuffai, alzandomi e mi diressi alla porta. «Me ne vado allora, ma se avrai mai bisogno di raccontare a qualcuno cosa sta succedendo, sai dove trovarmi.»
Appena uscita nel corridoio mi diedi una pacca sulla fronte. Sai dove trovarmi? Sul serio? Non sapevo nemmeno se conosceva la mia classe, figurarsi sapere dove trovarmi. E poi perché avrebbe mai voluto rivelare i suoi problemi ad una sconosciuta come me? La conoscevo da cinque minuti e pensavo di poter trovare la soluzione ai suoi problemi, che cavolo mi stava saltando in testa?
Tornata al piano di sotto, trovai Elia che girava per il salotto, visibilmente alla ricerca di qualcosa. Quando mi vide, il suo sguardo si illuminò di colpo. «Oh, eccoti Cora! Ti stavo cercando.»
«Scusa, ero al bagno, la fila era molto più lunga di quanto mi aspettassi» mi scusai io. «È successo qualcosa mentre ero via?»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Flora si è praticamente incollata ad una bottiglia di vodka e Nicolò ha deciso di portarla a casa prima che le cose prendessero una piega nefasta.»
«Sono già andati via?»
«Sì, sono rimasto indietro io per accompagnarti a casa. Quando vuoi possiamo andare, io ho esaurito le mie forze per stasera» commentò esausto, passandosi una mano fra i capelli.
«Siamo in due.»
Una volta da soli, mentre camminavamo verso casa mia, mi accorsi di quanto si era fatto tardi nel frattempo. I bambini che poco prima si affrettavano a chiedere le ultime caramelle facendo dolcetto o scherzetto non si vedevano più da nessuna parte. Molti degli invitati alla festa se ne stavano andando, chi a continuare i festeggiamenti da altre parti, chi come noi non ne poteva più e cercava solamente il conforto del proprio letto.
«L'altro giorno mi stavi dicendo che avevate paura, tu e gli altri, al pensiero che fossi in squadra con Dana» buttai lì, ad un certo punto, senza troppo preavviso.
Lui si massaggiò il mento, sbavandosi il trucco che io e Flora avevano impiegato ore ad applicare. «Più che aver paura eravamo preoccupati per te. Sappiamo tutti che non è la migliore delle persone e non ti volevamo in cattiva compagnia, tutto qua.»
Ritornare sul discorso era come darmi una zappata sui piedi, da sola. Eppure volevo sapere.
«E se non fosse una brutta persona?»
«I fatti parlano chiaro, Cora.»
«Lo so, ma sembra così triste e desolata, certe volte. Tu non l'hai vista» mormorai con fare accusatorio.
Lui si prese qualche secondo prima di replicare. «Anche le brutte persone possono essere tristi, Cora. Non sono dei robot senza emozioni.»
Appunto perché non erano dei robot, le persone potevano fare degli errori che le macchine non avrebbero mai commesso. Avrei voluto chiedergli se non pensasse che Dana avesse sofferto abbastanza per quello che aveva fatto, se non fosse arrivato il momento che le persone smettessero di prenderla di mira e lasciassero che tornasse ad avere una vita normale. La sua vita non poteva essere definita da un errore adolescenziale.
Non volevo e non dovevo trovare giustificazioni per quello che aveva fatto. Era inequivocabilmente sbagliato. E io lo sapevo. Ma sapevo anche che tirarle delle pietre addosso non avrebbe cambiato come stavano le cose.
Sempre se quello che dicevano avesse fatto fosse stato vero.
«Se facessi mai una cosa del genere, credi che qualcuno riuscirebbe a perdonarti?» chiese invece lui, il tono duro di chi sapeva già la risposta giusta, l'unica risposta che avrebbe mai accettato.
«Giusto, hai ragione.»

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora