Il ritorno a scuola dalle vacanze fu il più difficile di tutti i ritorni a scuola dalle vacanze. Non era per i compiti, non era per la paura di essere interrogata, non era per la poca voglia di studiare, ma perché avrei rivisto Cora e sarebbero tornate le prove per la borsa di studio.
Avevo passato delle vacanze orribili, ero restata chiusa tutto il tempo in camera mia, uscendo pochissime volte per mangiare o per giocare con Lani. Il mio materasso sembrava ormai aver preso la forma del mio corpo.
Non rispondere ai suoi messaggi era stata probabilmente la peggior idea che potessi mai avere, ma preferivo che iniziasse ad odiarmi prima che i miei sentimenti per lei diventassero estremamente reali. Non ci sarebbe una via del ritorno se fossi arrivata a quel punto.
La incrociai per i corridoi solamente una volta, poco prima dell'inizio delle lezioni. Lei non mi vide nemmeno, era troppo impegnata a parlare con i suoi amici per fare caso a me. Anche se, non sembrava star ascoltando nemmeno loro. I suoi occhi erano distanti e la sue espressione sembrava quasi vuota. Era così quando era veramente triste?
Ero seduta al mio banco, intenta a sembrare occupata su un quaderno di matematica, quando Rachele mi comparve davanti, bloccando la luce del lampadario al neon e gettando una lunga ombra sui miei appunti. «Dana, dobbiamo parlare.»
Avevo il presentimento che, da lì in poi, la giornata sarebbe solamente andata peggiorando. Non che fosse iniziata con il piede giusto: il meteo aveva deciso di sintonizzarsi con i miei sentimenti e, senza alcun preavviso, aveva iniziato a piovere poco prima che entrassi a scuola, facendomi così inzuppare da capo a piedi.
«Che cosa vuoi?» le risposi, scocciata. Parlare con lei era veramente l'ultima cosa che volessi fare in quel momento.
«Dovresti essere più carina con me. Sono o non sono la persona che ti conosce di più al mondo?»
«È una minaccia?»
Rachele si strinse nelle spalle. «Un promemoria, in caso te lo fossi scordato. Forza, seguimi.»
Si allontanò facendo ondeggiare i suoi capelli biondi e mi portò nel bagno delle ragazze. Avevo la sensazione che non sarei riuscita a partecipare all'inizio della lezione di matematica.
«Sentiamo, che cosa hai di così importante da dirmi?» le domandai, una volta che ebbe finito di controllare che non ci fosse nessuno dentro gli stalli del bagno.
Rachele teneva la testa abbassata mentre mi si avvicinava. Allungò una mano verso il mio petto, appoggiando un dito proprio sopra lo stemma della scuola, ricamato sulla giacca blu, all'altezza del cuore.
Ora ero abbastanza sicura che non sarei tornata in tempo per la lezione di matematica. Le cose sarebbero precipitate e lo avrebbero fatto molto velocemente.
«Volevo solo dirti che stavo pensando alla nostra relazione e a come mi sono comportata nei tuoi confronti. La verità è che mi manchi molto, Dana» mormorò lei, lo sguardo ancora basso. La sua voce suonava così onesta che, per qualche secondo, mi convinsi che lo stesse dicendo sul serio.
«È perché il tuo fidanzato ti ha mollato? Sono diventata ufficialmente la tua ruota di scorta? Non pensavo che nemmeno tu ti abbassasi a tanto.»
L'unica notizia che mi aveva quasi rallegrato durante le vacanze di Natale era stato vedere che, nella bio di instagram di Rachele, dove un tempo c'era spiaccicato in faccia a tutti che stava con il ragazzo più attraente della scuola, era stata cambiata con qualcos'altro. E lui aveva smesso di seguirla. La cosa sembrava abbastanza seria.
«No, non è per nulla così. Anzi, è l'esatto opposto: stare con lui mi ha fatto capire cosa volessi veramente e quando finalmente l'ho realizzato non ho avuto altra scelta che lasciarlo.» Alzò lo sguardo, agganciando i suoi occhi color ghiaccio con i miei, scrutandoli alla ricerca di una qualche risposta. Sembrava così normale, così in preda alle emozioni. Sembrava la vecchia Rachele che conoscevo da quando ero piccina.
«Cosa staresti cercando di dirmi, Rachele?» le chiesi, il cuore che mi batteva forte nel petto. Mi sentivo quasi a corto di aria, come se la sua vicinanza avesse mandato fuori uso i miei polmoni. Il mio cervello diceva di non reagire così, avrei dovuto resistere, ma il mio corpo ricordava troppo bene cosa aveva provato in passato per lei. Ed era ansioso di riprovarlo, anche se il cervello non era d'accordo.
«Sto cercando di dirti che l'ho lasciato per te, ho lasciato Christian perché ho capito che dovevo tornare da te, Dana» disse lei, esalando un respiro tremolante alla fine.
E con quelle poche parole, tutto quello che era successo da un anno a quella parte, era stato spazzato via dal mio cervello. Cancellato per sempre, come se non fossi mai esistito. Non ricordavo più quanto mi avesse fatto male Rachele, come mi avesse abbandonata da sola, come fosse subito corsa fra le braccia di Christian, come avesse cercato di rendere la mia vita un inferno. Perché dopo tutto quello che mi aveva fatto, provavo ancora qualcosa per lei.
Così le presi il volto fra le mie mani. E la baciai.
E lei ricambiò il bacio.
Volevo farlo da così tanto tempo che il mio corpo prese il sopravvento sul mio buon senso. La spinsi contro uno dei muri di piastrelle bianche del bagno, facendo aderire il mio corpo al suo, mentre lei portava le sue mani sui miei fianchi, su fino alla schiena e ai miei capelli.
Il mio cuore sembrava star per scoppiare. Volevo solamente annullarmi nel suo tocco, senza pensare a Cora, alla borsa di studio, ai miei problemi a scuola, a Christian, volevo pensare solamente a come mi sentissi bene fra le sue braccia. Volevo vivere quel momento per sempre.
Quando Rachele si staccò, allontanando le sue labbra dalle mie, la gravità di quello che avevo fatto finalmente mi colpì. Avevo paura di guardare i suoi occhi per scoprire che cosa vi avrei trovato, ma non sembrava sorpresa dal mio gesto.
Mi spostò una ciocca di capelli fuggita dalla coda dietro l'orecchio, sorridendo come non mi sorrideva da ormai troppo tempo. Mi era mancata così tanto che non sapevo come avrei dovuto reagire.
«Ho visto che tu e la tua amica state prendendo davvero sul serio la competizione per la borsa di studio.»
Si allontanò verso lo specchio, abbottonandosi la giacca che si doveva essere aperta nell'impero del momento. Io ero ancora così confusa dal bacio che quasi non registrai le sue parole. Sapevo solamente che il mio corpo domandava di incontrare nuovamente il suo, il prima possibile.
«Stiamo solo facendo il possibile, immagino» le risposi, seguendola verso gli specchi. Una Dana dai capelli arruffati incontrò il mio sguardo. Mi sbrigai a rifarmi la coda, prima che qualcuno mi vedesse in quello stato.
Il rossetto di Rachele si era trasferito sulle mie labbra, così accessi il rubinetto per cercare di sciacquarlo via.
«Solo per dire. Pensavo che non ti importasse della borsa di studio, fino all'anno scorso non volevi nemmeno partecipare.»
«Le cose cambiano» constatai, con più acidità del necessario.
Lei mi fissò per qualche secondo, poi mi sorrise: «Alcune cose sì, altre non proprio. Come la mia competitività, non potrei mai permettermi una sconfitta, non so se ci intendiamo.»
Annuii, titubante. La scarica di adrenalina che aveva percorso il mio corpo fino a qualche secondo prima era sparita. Mi stava chiedendo di farla vincere a tavolino?
Non feci nemmeno in tempo a chiederglielo che se ne andò, lasciandomi da sola nel bagno delle ragazze.
Tornata in classe, Rachele aveva raccontato al professore che mi ero sentita male - problemi da mestruazioni - e che mi aveva accompagnata al bagno per accertarsi che avessi tutto quello di cui avevo bisogno. Non mi fece nessuna domanda quando ripresi il mio posto in fondo all'aula.
Per il resto della mattinata e per l'intera ora di pranzo, Rachele sembrava essersi dimenticata della mia esistenza. Ero ritornata un'ombra sullo sfondo della sua vita, tranne per quei pochi momenti in cui i miei occhi incrociavano i suoi e, invece che guardarmi storto come faceva negli ultimi tempi, mi sorrideva. Mi dissi che il cambiamento ci mette tempo ad entrare sui suoi binari, non potevo pensare che da un momento all'altro tutto sarebbe tornato alla normalità.
Prima che suonasse la campanella e che tutti i ragazzi lasciassero la mensa per tornare alle lezioni del pomeriggio o alle attività extracurricolari, la vicepreside si presentò chiedendo a tutti i partecipanti alla competizione per la borsa di studio di rimanere seduti ai propri tavoli.
Cora, a pochi tavoli di distanza, sembrava ancora in un altro mondo, con la faccia contorta in una piccola smorfia perenne. Non potevo veramente sopportare l'idea di parlarle in quel momento, così quando i suoi amici la lasciarono, non la raggiunsi. Lei non parve nemmeno accorgersi della mia assenza al suo fianco. Meglio così.
«Molto bene, ragazzi» iniziò a dire la vicepreside, il suo solito microfono portatile fra le dita affilate. «Siamo giunti alla seconda metà dell'anno scolastico e con questa è arrivata anche la seconda metà della nostra corsa verso il vostro brillante futuro.»
Sembrava di buon umore, quel giorno. Ormai eravamo stati dimezzati rispetto a quanti eravamo durante il primo incontro, erano rimasti solamente i più competitivi e tenaci e il rumore delle nostre voci si era praticamente azzerato, non aveva alcun motivo per cui alterarsi.
«Quella che affronterete in questi giorni sarà probabilmente la sfida più difficile per molti di voi» continuò lei, guardandoci uno ad uno con gli amorevoli di un genitore davanti al figlio preferito. «Come ben avrete notato, quest'anno abbiamo cambiato molto i parametri per la vincita della borsa di studio e questo penultimo passaggio non si discosterà da questo. Vi abbiamo suddivisi a coppie, abbiamo testato il vostro spirito di squadra e il vostro spirito di competizione in due modalità molto differenti, entrambe sottolineavano due diverse qualità che la nostra scuola spera di insegnarvi: l'intelligenza e la sportività. Ora, vogliamo che ci dimostriate di saper ascoltare il vostro compagno di squadra, di averlo conosciuto in questi ultimi mesi che vi hanno uniti, di avere cuore e compassione e saper trattare con umanità il prossimo.»
Una mano si alzò davanti a me, una ragazza - forse Karima del giornalino scolastico - chiese: «In che cosa consisterà quindi, la nostra prossima prova?»
La vicepreside le sorrise mesta. «Purtroppo anche questa volta non posso darvi troppi dettagli, o rischierei di rivelarvi troppo e avvantaggiarvi nel suo completamento.»
«Come dovremmo prepararci, allora?» domandò una voce maschile dal fondo della mensa.
«Avrete bisogno di concentrarvi sul vostro compagno di squadra. Dovete accertarvi di conoscerlo affondo, conoscere la sua personalità, quello che gli piace fare nel tempo libero, ma andare anche più a fondo. Vogliamo vedere l'amicizia che si è creata fra di voi» rispose la donna.
Fra alcuni ragazzi scoppiarono dei borbottii, alcune delle facce intorno a me non sembravano propriamente entusiaste. Immaginai che praticamente nessuno avesse fatto realmente amicizia con il proprio partner. E, a dirla tutta, nemmeno io saltavo dalla gioia al pensiero di cosa avremmo dovuto fare.
La vicepreside ci chiedeva di aprirci l'uno con l'altro, ma fino a che punto mi sarei dovuta spingere? Fino a che punto ero disposta a spingermi? Non lo sapevo e non sapevo se ero pronta a scoprirlo.
Cora ancora evitava il mio sguardo. Nemmeno lei sembrava molto convinta.
«Cora» la chiamai, una volta che la vicepreside ci disse di tornare alle nostre attività. Si stava allontanando, immersa nel piccolo gruppo di ragazzi che stava lasciando la mensa. La presi per un braccio, facendola girare verso di me, prima che se ne andasse.
«Cora,» ripetei, «vuoi passare da casa mia in questi giorni? Non so cosa ci chiederanno di fare, ma ci conviene prepararci per tempo.»
Lei annuì. Sembrava triste, ma non arrabbiata con me, il che mi fece sentire un po' meglio. «Ti scriverò quando sarò libera.»
Stavo ancora tenendo il suo polso, senza accorgermene. Lasciai andare la presa e lei riprese a camminare. Le trotterellai dietro. «Mi dispiace davvero tanto per non averti risposto, a Natale. L'ho visto tardi e mi sono addormentata prima di poterti rispondere e mi sembrava strano comparire dal nulla il giorno dopo.»
Era la peggiore bugia che avessi mai detto, ma in qualche modo dovevo scusarmi con lei e la verità era fuori questione. Un tempo, ero brava a mentire, mi ritrovai a pensare.
«Non ti preoccupare, posso capire» rispose sorridendo, ma la sua voce era piatta.
«C'è qualcosa che non va?» le chiesi, fermandola di nuovo. «Ho la sensazione che non abbia a che fare con me.»
Lei abbassò lo sguardo verso terra, osservando le nostre scarpe a pochi centimetri di distanza le une dalle altre. «Hai ragione, non ha nulla a che fare con te. Non te ne devi preoccupare. Ci sentiamo.»
E con quello sparì nel dedalo di corridoi della scuola.
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Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}
Teen FictionGira voce che Dana, ex-capitana delle cheerleader, abbia tradito il suo fidanzato. I pettegolezzi crescono a dismisura e arrivano alle orecchie di tutta la scuola, comprese quelle di Cora. Cora preferirebbe restare nell'ombra e lontano dalla tempest...