Capitolo 32 ♡ Dana

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Non ho idea del perché lo avessi fatto. Era sembrata solamente una cosa naturale da fare. Mi piacerebbe dire che le mie mani avessero agito prima che gli avessi concesso il potere di farlo, ma il mio era stato un gesto più che autonomo.
Per qualche secondo ebbi timore che Cora si scostasse dall'abbraccio, rotolando dall'altro lato del letto e dandomi della fuori di testa, ma non lo fece. Stava solamente ridendo, il volto sepolto fra i miei capelli.
«Non è divertente» disse lei, la voce limpida alle mie orecchie.
«E allora perché stai ridendo con me?»
«Sei così strana» continuò lei, facendo finta di non aver sentito la mia domanda.
La lasciai andare, il respiro ancora corto dalle risate e dall'emozione di averla così vicina. Lei ritornò sdraiata al mio fianco, come pochi secondi prima, il naso morbido rivolto all'insù. Non me ne ero mai accorta, ma le sue guance e il suo naso erano pieni di lentiggini rossastre. Anche sul collo se ne intravedeva una spruzzata.
«Qual'è la prossima domanda?» chiese lei, cercando di tornare seria.
Scorsi la pagina web che avevo aperto sul telefono, leggendo le varie proposte che ci venivano offerte. Non volevo andare troppo sul personale, ma non mi aveva quasi mai parlato della sua famiglia e forse mi aveva attaccato quella sua curiosità morbosa per la quale era sempre interessata a sapere qualunque cosa. «Che rapporto hai con tua madre?» recitai allora, parola per parola dal sito.
Dovevo aver toccato un tasto dolente perché la faccia di Cora si strinse in una smorfia di dolore, le labbra arricciate. Prima di rispondermi si spostò leggermente nel letto, a disagio, come in una notte calda d'estate in cui non riesci a trovare una posizione che sia abbastanza fresca e comoda.
Le presi una mano. Se ero sicura di qualcosa era che Cora amava il contatto fisico, con o senza un motivo non importava. E io volevo che sentisse la mia presenza lì, con lei. «Puoi dirmi tutto, non sono nessuno per giudicarti.»
Lei fece un piccolo verso strozzato. «Dovresti davvero smetterla con questa storia che sei la persona peggiore del mondo.»
«Ci farò un pensierino, ma non posso prometterti nulla. Quando vuoi, io sono pronta ad ascoltarti.»
Cora prese un respiro. «Pagherei per avere una famiglia come la tua, se proprio vogliamo essere oneste. Mio papà, come già sai, non si è mai praticamente fatto vivo per me, rimane in giro giusto quel poco per fare contenti gli avvocati e il tribunale, per il resto non sono nessuno per lui. E con mia mamma le cose non vanno tanto meglio. Lei c'è, fisicamente.»
«Che cosa intendi?» la spronai ad andare avanti io.
Rivolse lo sguardo verso di me, per poco tempo, prima di riportarlo sul soffitto della camera da letto. «Mia mamma vive con me, quindi fisicamente è presente, ma non si può dire la stessa cosa della sua mente. È come se... beh, lei dice di volere solamente il meglio per me e dice di fare tutto il possibile perché non mi manchi nulla, ma allo stesso tempo non sembra capire di cosa ho bisogno.»
Non volevo sembrare troppo insistente o troppo impicciona, così aspettai che fosse lei, con i suoi tempi, a raccontarmi tutta la storia.
«Certe volte penso che preferirei non essere sua figlia» disse, la voce rotta da paura e tristezza. I suoi occhi si stavano facendo sempre più lucidi nella fioca luce che aleggiava intorno a noi. «So che è una cosa orribile da dire, ma certe volte si comporta in maniera veramente orripilante. Anche quando le ho detto che volevo partecipare alla borsa di studio, invece di incoraggiarmi e dirmi che ce l'avrei fatta o non so cosa, mi ha detto che avrei fatto meglio a lasciar perdere e concentrami sul lavoro. So che non è la peggiore delle madri che qualcuno possa desiderare, ma io mi sento veramente soffocata da lei. Come se non potessi essere felice.»
Le sue parole erano interrotte da forti singhiozzi e sembrava che tutto il suo corpo stesse tremando , scossi da una forza invisibile. Non stava piangendo, non ancora. Cercava di trattenere le lacrime al loro posto, ma non c'era alcun bisogno di farlo.
«Non ti preoccupare. Sono sicura che si risolverà tutto» le dissi, allungando una mano verso la sua guancia, pronta ad asciugargliela appena ce ne fosse stato bisogno.
Non sapevo se quelle erano le parole giuste, non avevo idea di cosa si sarebbe dovuto dire in situazioni del genere. Sapevo solamente che vederla in quello stato mi faceva piangere il cuore e volevo far di tutto perché tornassimo a ridere come poco prima.
«È quello che dovrei sperare, ma sta diventando sempre più difficile» mormorò lei, scansando la mia mano e passandosi i palmi sulle guance per poi scuotere la testa. «Tocca a te rispondere.»
Comprendevo perché non volesse trattenersi troppo sull'argomento ma ero contenta che avesse deciso di aprirsi con me. Lei sapeva di me e io sapevo di lei. Ci vedevamo a vicenda e mi faceva sentire bene.
«Okay, beh, non c'è molto da dire. Vuole solamente il meglio per me e crede che lo otterrò attraverso una laurea in giurisprudenza o in medicina. Non crede nelle passioni o nei sogni o nulla del genere. Anche se non so ancora se voglio andare all'università, lei ha già deciso che lo farò.»
«È per questo che partecipi alla competizione per la borsa di studio? Ti ha obbligata tua madre?» mi domandò lei, la voce ancora un po' scossa, ma attenta alle mie parole.
«Più o meno. Un motivo è quello, ma pensava anche che partecipando si sarebbe ripulita la mia immagine sociale. All'inizio le credevo anche, ora non so più» risposi onestamente io. Riportai le mani dietro la nuca, sollevando la testa dal cuscino. «Ogni tanto mi chiedo perché lo sto facendo.»
«Adesso me lo sto chiedendo anch'io» disse Cora. «Sai, ho avuto l'impressione contraria, io. All'inizio non sembravi per nulla partecipe, avevo veramente paura che avresti mollato e che sarei stata anch'io obbligata a lasciare la competizione. Ma più le prove andavano avanti più sembravi pronta a dare il cento per cento. Non scorderò mai quel quadro.»
«Tutto merito della modella» la presi in giro io. Mi strinsi nelle spalle, insicura di come poter rendere al meglio i miei pensieri a parole. «Forse non ho cambiato la mia immagine, ma sono riuscita a cambiare io. Immagino. Non ne sono sicura.»
«Magari non sei cambiata, ma hai lasciato trasparire la vera te stessa» propose Cora. Sembrava così sicura di quell'idea che non ebbi il coraggio di replicare con nulla. Forse aveva ragione.

«È da un po' di tempo che non ci vediamo, hai saltato lo scorso appuntamento» mi salutò la psicologa. Saltare l'appuntamento del martedì precedente era forse stata la peggior idea che io potessi mai aver avuto: tornare da lei era ancora più difficile.
Avevo fatto spostare i nostri incontri dal martedì al mercoledì, in modo che potessi tornare ad allenarmi con le cheerleader, ma l'avevo deciso troppo tardi perché riuscisse a trovarmi un buco già per quei giorni. Così erano passate due settimane.
«Cosa è successo in questi giorni? Qualche novità?» chiese, cercando nella sua cartelletta il foglio con il mio nome e tutti i miei problemi scribacchiati a penna. Certe volte mi chiedevo che cosa se ne facesse di quei plichi quando i suoi pazienti smettevano di andare da lei. Altre volte mi chiedevo se chi andava dalla psicologa poteva veramente mai smettere di tornare da lei.
«Abbastanza bene. Sono quasi sicura di avere una nuova amica» risposi io, più solare del solito. Lei dovette accorgersi di quel cambiamento nella mia voce perché alzò un sopracciglio arcuato.
«Ah, sì, ricordo che parlavi di una nuova amicizia. Mi vuoi parlare di questa ragazza? Come vi siete conosciute?»
Senza esitare le spiegai della gara per la borsa di studio, di quanto la nostra scuola tenesse alle sue stupide tradizioni, ma avesse deciso di creare delle coppie per competere. Le spiegai a grandi linee quello che era successo dall'inizio dell'anno scolastico, come Cora sembrava andare d'accordo con Lani e come le avessi raccontato quello che era successo ad Halloween. Non le avevo mai accennato nulla riguardo a Cora e alla borsa di studio o alla serata di Halloween, ma lei non ne parve sorpresa. Sapeva che le nascondevo molte più cose di quante non gliene dicessi, ma stavo iniziando a pensare che forse non mi avrebbe fatto così male aprirmi anche con lei. Il gioco delle trentasei domande avrebbe funzionato con una professionista? Chissà che opinione aveva di quello studio.
«Sembra che tu ti fidi molto di lei. È la prima persona a cui racconti i tuoi pensieri» commentò lei, scrivendo qualcosa a piccole lettere, sul bordo del foglio. Ogni volta che appoggiava la penna mi veniva voglia di allungare il collo e cercare di capire che cosa pensasse di me.
«Immagino di sì. Anche lei si è confidata con me, forse mi ha fatto piacere questa reciprocità» replicai io.
Lei annuì leggermente, gli occhi marroni fissi nei miei mentre l'orologio sul muro ticchettava inesorabilmente lento. «Condividere i nostri pesi con altre persone può aiutarci ad alleggerirli. Come ti fa sentire stare con lei?»
«Molto felice» dissi. Era quasi strano da ammettere ad alta voce.
«Non ne sembri molto contenta.»
«È solo che... non sono sicura di meritarmi la sua compagnia.»
«Perché?» mi incalzò lei.
«Perché lei è una ragazza meravigliosa e io no.»
«Sei troppo dura con te stessa, Dana. Le hai raccontato la verità su di te e lei è ancora al tuo fianco, non pensi di essere l'unica che ti giudica così tanto?»
Le sue parole, simili a quelle di Cora, mi fecero innervosire. Perché tutti credevano che non ci fosse nulla di sbagliato in me? Se avessero continuato a dirlo, avrei finito per crederci.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora