«Ho sentito che abbiamo una vincitrice fra di noi!» esclamò Flora, piena di gioia, subito dopo essere scesa dall'autobus. La stavo aspettando davanti a scuola, pronta ad affrontare la giornata scolastica più noiosa della settimana: due ore di italiano, seguite da due ore di latino, e, come ciliegina sulla torta, un'ora di diritto. Odiavo le materie umanistiche.
«Come ci si sente ad essere sul podio per la borsa di studio?» chiese tutto d'un fiato. «Hai per caso qualcosa da dire alla tua migliore amica? Tipo che aveva completamente ragione e ti saresti dovuta fidare di lei sin dall'inizio? Te l'avevo detto che, dopo una bella chiacchierata, Dana avrebbe capito la tua situazione e ti avrebbe aiutato!»
Tuttavia Dana non sapeva nulla della mia situazione e non ero nemmeno sicura che mi avesse aiutato consapevolmente. Sopratutto, non sembrava intenzionata a rifarlo. Dopo la fine della prima prova, avevo tentato di parlarle, ma lei mi aveva zittito malamente, ricordandomi la sua situazione sociale e come prima o poi avrebbe rovinato tutto.
«Lo sai che hai ragione» replicai, dandole una piccola spallata. Lei mi mise un braccio intorno alle spalle. Quando lo fece, per la prima volta da quando la conoscevo, mi chiesi cosa pensassero di quel gesto gli estranei. Davvero sembravano una coppia? Dopo che Dana aveva fatto quel commento, non riuscivo più a togliermelo dalla testa.
«Sei tu quella che sembra dimenticarselo sempre. Onestamente, dovrei iniziare a farmi pagare per i miei consigli. Quanto pensi che potrei guadagnare?»
Scossi la testa, divertita. «Non ti pagherei mai per un consiglio.»
«Oh, ma tu avresti lo sconto amico, non dovresti preoccupartene. Oppure, idea ancora migliore, potresti farmi da segretaria e potremmo dividerci gli incassi, che ne dici?» propose, entusiasta alla sola idea di poter fare dei soldi.
«Sei proprio fuori» ridacchiai io. «Cambiando discorso, dove sono Elia e Nicolò? Non erano con te sull'autobus?»
Alla sola menzione del fratello, il suo buon umore sembrò rabbuiarsi. «Nicolò ha convinto Elia a farsi accompagnare in motorino. Io spero solamente di non dover andare a recuperali in ospedale.»
Nicolò aveva da poco preso la patente e cercava sempre qualcuno disposto a fare da vittima sacrificale sul motorino vecchio di dieci anni che suo padre gli aveva regalato. Arrivando a scuola con gli occhiali da sole e il motore rombante sarebbe sembrato un figo, diceva lui, ma non voleva sembrare un figo da solo. A quanto pareva, aveva rotto così tanto le scatole ad Elia che alla fine aveva ceduto, anche se era un vero e proprio suicidio salire su quel pezzo di ferraglie in movimento.
Stava già diventando tardi, quindi decidemmo di entrare in classe, con la speranza che non si fossero veramente fatti del male.
Passando per i corridoi, incrociammo Dana e i soliti mormorii che sembravano ancora seguirla ovunque. Non mi degnò nemmeno di uno sguardo e la cosa mi rese al contempo felice e triste.
Sapevo che non dovevo avvicinarmi a lei, ma il giorno precedente non era sembrata una ragazza così malvagia. Sembrava normale, anche se leggermente troppo scorbutica, per i miei gusti.
Vedendola passare, Flora strinse la sue mani intorno al mio avambraccio, bisbigliandomi all'orecchio: «Poi mi devi raccontare come si è comportata. Ti ha trattato di nuovo male?»
«No, non mi ha trattato male. Però pensa che non riusciremo a vincere anche in futuro. Mi ha scoraggiata un pochino» risposi io.
«Voi due siete tipo il sole e la luna. Siete due completi opposti. Vorrei tanto sapere a chi è saltato in mente di mettervi assieme.»
Mi strinsi nelle spalle. «Probabilmente è stato solamente un caso.»
Il resto della giornata passò senza nessun intoppo, fino all'ora di pranzo. Nicolò ed Elia arrivarono in seconda ora, sembravano completamente integri, solamente un po' abbattuti che nessuno avesse potuto vedere la loro entrata ad effetto. Le prime ore di lezione passarono con molta lentezza, ma nulla di diverso dal solito. Dopo pranzo avremmo avuto due ore di matematica e fisica, che era un grosso passo in avanti a confronto con il programma della mattinata, ma di certo non potevo dire di attenderle con ansia. Il nostro professore riusciva a farmi odiare anche due delle mie materie preferite.
Ma come ho detto, non ci furono intoppi fino all'ora di pranzo.
Arrivati in mensa, insieme a Flora, Elia e Nicolò, ci riempimmo i vassoi con la pizza e il purè che il menù ci offriva. Per tutte le tasse che i nostri genitori pagavano, quella pizza avrebbe dovuto essere la pizza più elegante e ricercata di tutto il creato, ma in realtà sembrava solamente una di quelle che vendevano surgelate al supermercato sotto casa mia.
Prendemmo posto in un tavolo libero, ma non facemmo nemmeno in tempo a mangiare i primi bocconi di cibo che Rachele si infilò nella panca, proprio di fianco a me.
Flora le rivolse uno sguardo interrogativo. «È successo qualcosa per le prove? Hanno di nuovo cambiato giorno?»
Rachele le sorrise, ma sembrava essersi accorta solamente in quel momento della presenza di Flora al tavolo. «Oh, no. In realtà non stavo cercando te, ma Carlotta.»
«Vi conoscete?» domandò Elia, stupito tanto quanto me.
«Ci siamo presentate ieri! Sto cercando di vincere anch'io la borsa di studio, anche se devo dire che non siamo andate bene come Dana e Carlotta. Siete state davvero fantastiche» cinguettò lei con fare superficiale.
«Comunque, non sono venuta qua solamente per congratularmi con te» aggiunse poi, indurendo la voce. I suoi occhi azzurri mi guardavano come quelli di uno squalo bianco, pronto ad attaccare la sua preda. «Mi stavo chiedendo se non sarebbe un vero peccato che il tuo segreto tornasse a galla. Sai, mi sembra davvero strano che nessuno ne abbia ancora parlato.»
Sbatteva le ciglia e sorrideva, come se non mi stesse minacciando, ma stesse solamente riferendo una sua vera preoccupazione ad una cara amica.
Flora lasciò cadere la forchetta sul tavolo, facendola tintinnare con grande rumore. «Cosa stai cercando di insinuare?»
«Sono solo preoccupata per la nostra Carlotta!»
La mia migliore amica stava per replicare qualcosa, ma Nicolò la bloccò prima che potesse farlo. «Non c'è alcun bisogno, ci siamo già noi a proteggere Cora. Puoi tornare alle tue faccende. Grazie dell'interesse, comunque.»
«È stato un vero piacere!» gongolò lei, alzandosi. Prima di andarsene mi rivolse un'ultima occhiata guardinga che mi fece correre un brivido gelido lungo tutta la schiena.A casa, le cose sembravano andare leggermente meglio.
Durante il pomeriggio, mia madre non doveva andare a lavoro, quindi era tornata prima di me.
Era seduta sul divano, una coperta a coprirle le gambe, una tazza di quella che sembrava cioccolata calda in una mano e il telecomando della televisione nell'altra. Lenticchia le si era seduto di fianco, accoccolandosi sui cuscini color menta, ignaro di quello che stava succedendo fuori dal suo mondo.
Quando entrai nel salotto, accendendo la luce, lei mi fissò come se avessi appena disturbato qualcosa di importante. Come se non si fosse trovata al buio a guardare un episodio vecchissimo di How I met your mother, ma come se si fosse trovata nel bel mezzo di una riunione di lavoro.
«Spegni la luce e vieni a sederti qui, vicino a me. Sta per iniziare un nuovo episodio» disse, facendo cenno con la mano di mettermi al suo fianco.
Riluttante, mi tolsi le scarpe da ginnastica e lasciai cadere lo zaino di scuola in un angolo. Dopo li avrei messi a posto.
Quando ero più piccola, amavo quella versione di mia madre. Era come un'eterna bambina, pensava sempre che fosse un giorno di festa, mi faceva mangiare dolci e guardare la tv con lei, chiudendoci in una bolla che il mondo reale non avrebbe mai potuto rompere.
«Che buon odore, cos'hai lì?» le chiesi. Non sarei stata io a distruggere quell'isola felice.
«Cioccolata calda, fatta con l'aiuto del solo ed unico Lenticchia. Ne vuoi una tazza anche tu, Carlotta?» domandò di rimando lei. Scossi la testa, facendo segno di no. Probabilmente avrei dovuto portare a casa una quantità industriale di caramelle, rimaste invendute al cinema, e mi sarebbero bastate come riserva di zuccheri per almeno una settimana.
«Questo è il tuo episodio preferito» dissi invece, cambiando del tutto discorso. Lei rivolse lo sguardo alla tv, lasciando che nei suoi occhi si riflettesse l'azzurro dello schermo per qualche secondo prima di assentire.
Non era vero. Non sapevo perché lo avevo detto.
Fra pochi minuti il suo umore sarebbe cambiato e si sarebbe scordata di questo piccolo momento idilliaco, quindi non avrebbe fatto una grande differenza.
«Com'è stata la tua giornata? Ti sei incontrata con le due gemelle, quelle ragazze tanto carine che abitano dall'altro lato della strada?»
La domanda mi colse alla sprovvista. Certe volte, pur di non parlare dei miei amici, faceva finta che non avessi nessun conoscente al mondo. Altre volte, quando si ricordava della loro esistenza, trovava sempre un modo per sottolineare qualcosa che non andava in loro.
«Intendi Flora ed Elia?» la mia voce era un sussurro.
«Flora, sì, ma l'altra ragazza aveva un altro nome.»
La fermai, prima che potesse aggiungere altro.
«Non ci sono altre ragazze, mamma. Flora ha solamente un fratello, il suo nome è Elia» le spiegai.
Lei sembrò leggermente confusa, gli occhi grigi persi nel vuoto alle mie spalle.
«Devo ricordarmi male, allora.»
Non si ricordava male, solamente non le importava nulla di me o dei miei amici.Arrivai a lavoro con l'ansia che mi divorava dall'interno, pronta a mangiare ogni più piccola parte di me e farsi presto strada nel mondo esterno.
Quella ragazza, Rachele, era un'arpia in forma umana. L'avevo vista litigare con Dana, fuori da scuola, ma non pensavo che sarebbe venuta a cercare pure me. E poi mia mamma sembrava essere salita su un treno senza via di ritorno.
«Carlotta? Mi stai ascoltando?» Ivan, il mio supervisore, mi stava schioccando le dita davanti alla faccia con fare inviperito.
«Scusa, mi sono persa. Cosa mi stavi dicendo?»
Lui incrociò le braccia al petto. Si trovava dall'altro lato del bancone, dove solitamente stanziavano i clienti pronti ad ordinare i loro popcorn e le bibite per lo spettacolo. Io ero seduta su uno sgabello, il telefono in mano, ancora acceso sulla pagina Instagram di Rachele. Stavo facendo delle ricerche.
«Lo vedo che ti sei persa, sembri su un altro pianeta. Più del solito» sottolineò, corrugando la fronte. Stava guardando dietro alle sue spalle, come per intercettare i clienti che presto avrebbero iniziato ad arrivare. Il turno serale era iniziato da pochi minuti e i film stavano per partire.
Spensi il telefono, infilandomelo nella tasca posteriore dei jeans. «Scusa, è stata una giornata... particolare, per non dire altre parole.»
«Problemi a casa?» Sembrava veramente preoccupato. Anche se non sapeva tutta la storia, aveva iniziato ad incollare pizzichi di conversazioni avvenute di qua e di là con i miei amici, creandosi un'immagine più o meno veritiera della mia situazione familiare.
«Più o meno, è la scuola che mi sta dando dei problemi adesso. Ma non è importante al momento, dobbiamo servire i clienti.»
Mentre stavo parlando era entrata una famiglia composta da genitori e due figli, probabilmente venuti a guardare il nuovo film di animazione della Disney. Con Flora e gli altri ci eravamo ripromessi che lo saremmo andati a vedere anche noi, ma sembrava che l'autunno avesse scombinato tutti i nostri piani. Non c'era giorno della settimana in cui uno di noi non avesse qualcosa da fare.
Pensai che, se mi fossi concentrata sul lavoro, sarei riuscita a tagliar fuori quella parte della mia vita che sembrava non volermi dare nemmeno una pausa.
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Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}
Roman pour AdolescentsGira voce che Dana, ex-capitana delle cheerleader, abbia tradito il suo fidanzato. I pettegolezzi crescono a dismisura e arrivano alle orecchie di tutta la scuola, comprese quelle di Cora. Cora preferirebbe restare nell'ombra e lontano dalla tempest...