Capitolo 34 ♡ Dana

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Marzo era arrivato con estrema lentezza.
La mia relazione con Cora sembrava aver preso il volo. Parlavamo ogni giorno, o fuori scuola o per telefono. Spesso veniva a trovarmi a casa, Lani le aveva insegnato come risolvere un cubo di rubick e lei, intelligente com'era, aveva subito capito il meccanismo. Era come se avessi partecipato alla creazione di un mostro: ogni volta che passava si fermava in camera di Lani e insieme si mettevano a risolvere puzzle o fare altre cose incomprensibili alla mia mente da normale essere umano.
La ricreazione, tuttavia, rimaneva un momento solamente per me e Rachele. Anche lei la passava con il suo fidanzato. Era come se quei dieci minuti fossero l'unico lasso di tempo in cui potevamo fingere di non esistere l'una per l'altra, senza nemmeno farlo apposta. Fatta eccezione per il fatto che, ogni giorno che passava, pensavo sempre di più a lei. Anche mentre mi trovavo con Rachele.
E sapevo che fra me e Rachele non c'era nulla di serio, ma più le settimane passavano più mi sentivo come se stessi rivivendo tutto da capo. Mi sentivo come quando passavo la notte da Christian e tutto quello a cui riuscivo a pensare fosse quanto avrei voluto che ci fosse Rachele al suo posto. Così iniziai ad odiarmi ancora di più e a passare anche la pausa pranzo con Rachele.
Dopo che le cheerleader mi avevano riaccolto, anche in classe le persone avevano iniziato a parlarmi nuovamente. Non ero circondata da milioni di amici, ma almeno sembrava che tutti si fossero scordati di quello che avevo fatto.
Per quanto riguardava la borsa di studio, Cora stava cercando di fare di tutto per promuovere la nostra squadra: quando Rachele aveva iniziato ad affiggere volantini per tutta la scuola, decise che dovevamo farlo anche noi. Così mi ritrovai con la mia faccia appesa su ogni bacheca disponibile. Mi consolavo con il fatto che anche la squadra di Christian si era presto unita a quell'azione propagandistica e ormai il mio volto era solamente uno dei tanti.
Cora, con molto aiuto da parte dei suoi amici, era anche riuscita a far promettere a tutta la sua classe di votare per noi, rubando dei voti preziosi a Rachele. Per il resto la nostra vittoria sembrava lontana tanto quanto prima.
Con la fine di marzo arrivò anche il mio compleanno. Per l'occasione Rachele aveva insistito per organizzare una festa a casa sua. Era triste che avessi perso quella di Halloween - ancora non sapeva che mi fossi imbucata quella sera - e diceva che non potevo finire l'ultimo anno di liceo senza aver festeggiato come si deve, che per lei significava alcol e musica a tutto volume. Io accettai con la sola condizione che chiunque potesse venire e che nessuno sapesse che quel giorno fosse il mio compleanno.
Fu così che mi ritrovai in un salotto dove decine di adolescenti erano ammassati gli uni sopra gli altri, ballando sopra le note di una canzone trap che non avevo mai sentito prima di allora. Tenevo una lattina di Coca-Cola in mano, mentre aspettavo che Rachele tornasse da me. Era sparita da qualche parte, cercando il ragazzo che si stava occupando della musica per fare non so cosa, probabilmente per chiedergli di togliere quello schifo di playlist e mettere qualcosa di leggermente decente.
Quando ricomparve, i capelli biondi legati in uno chignon alto e un'espressione omicida stampata in faccia, capii subito che non aveva trovato quello che stava cercando.
«Alessandro sembra essere sparito nel nulla e io non so come far funzionare queste cavolo di casse!» urlò lei sopra la musica, il tono lamentoso di chi portava sulle spalle il peso della buona riuscita di quella festa senza che nessuno la aiutasse. «E poi, come se questo non bastasse, una ragazza si è scolata un'intera bottiglia di vodka vomitando poi su tutto il pavimento della cucina! Ho dovuto chiedere a Giuliana ed Alessia di fermarsi a pulire o avrei rischiato di vomitare anch'io su quello schifo.»
Sembrava che una vena le stesse per scoppiare sulla fronte da quanto era diventata rossa. Le appoggiai una mano sulla spalla, cercando di farla calmare. «Non ti preoccupare, ormai è quasi mezzanotte. Fra poco saranno tutti così ubriachi che non si ricorderanno nemmeno quale sia il loro nome o dove abitino. Nessuno lascerà una recensione negativa per la tua festa.»
Lei alzò gli occhi al cielo, per nulla contenta delle mie parole. «Vado a controllare se trovo Alessandro in giardino, probabilmente è con la sua ragazza. Ci vediamo al piano di sopra a mezzanotte, okay?»
Annuii, salutandola con un cenno della mano mentre si allontanava. Non era il giorno del mio compleanno, non ancora. Lo sarebbe diventato a mezzanotte e lei voleva che ci trovassimo in camera sua per festeggiare assieme.
Mancava ancora una ventina di minuti, ma non avevo nulla da fare e certamente non volevo intrattenere una conversazione con nessuna delle persone presenti in quella stanza, così decisi di andare direttamente in camera sua. L'avrei aspettata lì mentre lei cercava di riportare sui binari i festeggiamenti.
Stavo per salire gli ultimi gradini delle scale che portavano al piano di sopra, quando una mano intrecciò le sue dita nelle mie. Non pensavo che sarebbe venuta.
«Sai, se non sapessi riconoscere la tua mano, saresti potuta finire scaraventata giù dalle scale» la avvertii io. Nell'ultimo mese avevo scoperto che amava tenere per mano le altre persone e ad ogni occasione in cui trovava le mie dita libere non esitava a dargli un impiego. Era adorabile, ma non avrebbe dovuto farlo così di punto in bianco.
Cora ridacchiò. «Ti devono davvero piacere se riesci a riconoscerle.»
«Sì, certo, forse quando saranno meno sudate.»
«Non sono sudate! Comunque, dove stiamo andando?»
«Io sto andando in camera di Rachele, tu dovresti andare al piano di sotto. Sono sicura che Flora ti starà cercando per tutta la casa» dissi io, buttando un'occhiata verso il piano di sotto. Sicuramente Cora non era venuta da sola.
«No, sa dove sono.»
«Lo sa?»
«Sì? Ho acconsentito ad accompagnarla solo perché sapevo che domani è il tuo compleanno. Volevo farti gli auguri a mezzanotte e lei voleva bere quindi direi che abbiamo preso due piccioni con una fava.»
Ovviamente sapeva che sarebbe stato il mio compleanno. Ero sicura di non averglielo mai detto, ma probabilmente aveva estorto l'informazione a Flora, in qualche modo.
Mi arresi e lasciai che mi seguisse, in qualche modo avrei trovato una scusa per farla uscire dalla stanza di Rachele prima che lei arrivasse. Anche se, il pensiero che fosse Cora la prima fra tutti a farmi gli auguri mi rendeva stordita dalla felicità.
Trovai la chiave nella solita pianta e anche la stanza non sembrava essere per nulla cambiata.
«Domanda: perché siamo venute qua?» chiese Cora, sedendosi per terra, alla base del letto, con le ginocchia incrociate. Le giornate si stavano allungando e le temperature si stavano facendo sempre più alte, così Cora era tornata ad indossare più spesso le gonne, come in quel momento.
Mi sedetti di fianco a lei, portandomi le ginocchia al petto. «Rachele mi ha chiesto di aspettarla qua. Penso che abbia preparato un regalo.» Era la verità, anche se il regalo non sarebbe stato quello che Cora si poteva aspettare.
«Un regalo? Ho visto che siete tornate amiche, ma non mi sembrava il tipo da dare dei regali ai compleanni. Non lo sa nessuno, ma questa sarebbe una festa per te, vero? Sarebbe una coincidenza troppo strana se non fosse così»
«Ci hai beccate» risposi. Non aveva alcun senso non dirglielo, c'era arrivata da sola e non vedevo un motivo per il quale avrei dovuto mentirle su quello. «Se me lo avessi detto qualche mese fa non ci avrei mai creduto, ma sembra che fra me e Rachele sia tornato tutto apposto.»
«Io non sono così sicura che sia una buona cosa» mormorò Cora. La guardai con un sopracciglio alzato. «Insomma, ti ha davvero tirato un brutto tiro, non dovresti starle così vicina.»
Me lo ripeteva praticamente ogni volta che Rachele diventava argomento delle nostre conversazioni. E io le rispondevo sempre allo stesso modo, anche se ormai stava diventando difficile da ripetere in continuazione. Un po' come quando ripeti la stessa parola allo sfinimento e sembra perdere ogni significato, così stava facendo anche quella frase. «E io non sono meglio di lei, le persone orribili si meritano a vicenda. Sei tu quella che dovrebbe stare lontana da me.»
«E se fossi anch'io una persona orribile?» buttò lì Cora. La sua voce era seria, non stava scherzando, si trattava di una domanda sincera.
«Non lo sei.»
Cora era tutto fuorché una cattiva ragazza. Era tipo il prototipo della ragazza perfetta: sempre solare e gentile, pronta ad aiutare senza giudicare, pronta a perdonarti non appena le chiedevi scusa, anche se non te lo meritavi.
«Penso di esserlo invece.»
«No, non lo sei.»
«Non penso di amare Elia» sputò fuori, le parole veloci come missili, come se a dirle con quella velocità avrebbero fatto meno male.
La guardai di sottecchi, il cuore che mi batteva all'impazzata per le ragioni più abominevoli. «Che cosa intendi dire?»
«Che cosa provavi quando baciavi Christian?» chiese di rimando lei, ignorando la mia domanda.
«Non penso che stiamo parlando di me in questo momento.»
«Rispondi e basta.»
«Beh,» dissi per poi prendere una pausa, pensando a fondo alle mie parole, «non era la cosa peggiore del mondo, fisicamente era anche abbastanza piacevole, ma non riuscivo a provare nulla, se è questo che vuoi sapere.»
Lei annuì come se fosse stata proprio quella la spiegazione che stesse aspettando. Non volevo leggere troppo fra le righe, ma allo stesso tempo non volevo che lo facesse lei. «Perché me lo stai chiedendo?»
«È la stessa cosa con Elia per me. Eppure ero sicura che mi piacessero anche i ragazzi. Ho avuto una cotta abnorme per lui sin da quando eravamo piccini» replicò lei. Si prese la testa fra le mani, disperata. Sembrava sul punto di piangere.
Allungai una mano verso la sua schiena, disegnando piccoli cerchi con il mio palmo. «Solo perché non ti trovi con Elia questo non vuol dire che sei lesbica. Non che ci sia niente di male, ovvio, però non fasciarti la testa prima di esserne sicura. Magari non eri veramente innamorata di lui come pensavi, tutto qua. O magari eri innamorata di lui, solo che non lo sei più. I sentimenti delle persone cambiano.»
Ero sicura che quello fosse il discorso di incoraggiamento più debole di tutta la storia dei discorsi di incoraggiamento, ma lei sembrava essersi rilassata.
«Sono così confusa, non so proprio cosa dovrei fare.»
«Da una persona che ha rovinato la sua vita a causa della propria confusione, l'unico consiglio che mi sento di darti è di parlarne con lui. Sono sicuramente la persona meno adatta a cui chiedere aiuto, Cora» le dissi, il più dolcemente possibile. L'ultima cosa che voleva, ne ero sicura, era fare la mia stessa fine. E se avevo imparato qualcosa dai miei errori era che qualunque cosa non andasse in una relazione, era meglio farla presente al proprio partner. Anche se questo avrebbe significo doversi lasciare. Sarebbe stato meglio così.
Continuai a massaggiarle la schiena, mentre lei processava il da farsi.
«Guardami, Cora» sbottai ad un certo punto. Lei alzò la testa, titubante, un po' confusa da quello scatto repentino. Aveva gli occhi lucidi. Perché finivamo sempre per piangere quando eravamo assieme?
«Qualunque cosa succeda,»  continuai io, una volta catturata la sua attenzione, «Elia ti vorrà sempre bene. I tuoi amici ti vorranno sempre bene. Basterà spiegare come stanno le cose, nessuno ti giudicherà. I tuoi amici... loro sono tutte persone speciali, come te. Non li conosco bene, ma lo si capisce subito.»
Le sue labbra si curvarono leggermente all'insù. «Hai ragione, siete davvero speciali. Non merito di avere amici come voi.»
Aprii la bocca per replicare che non mi stavo riferendo anche a me stessa quando dicevo quelle cose, ma rimasi in silenzio, richiudendola subito. Ci si sentiva molto bene quando qualcuno ti diceva che eri speciale.
Anche lei stava per dire qualcosa, ma l'entrata di Rachele le fece morire le parole in bocca. Rachele la stava fissando sulla soglia della porta, come un gatto fisserebbe un topo, pronto ad azzannare la sua preda. Cora, dal canto suo, sembrava un topolino molto furbo e si alzò subito, facendo finta di spolverarsi una polvere inesistente dalla gonna. «Ciao, Rachele, bellissima festa. Vado a cercare Flora.»
Rachele chiuse la porta alle spalle di Cora, mentre io mi avvicinavo a lei. Sentivo lo strano bisogno di trovare una scusa sul perché Cora si trovasse lì. «Non si sentiva molto bene, ho pensato che farla salire per qualche minuto la avrebbe fatta stare meglio. Non volevamo certo un altro pavimento pieno di vomito» cercai di buttare sull'ironia io, ma Rachele non sembrava dell'umore giusto.
«Chi se ne frega, non mi importa di quello che faceva quella tipa con te, vieni qua e basta» mi ordinò con tono perentorio e io non potei fare a meno di fare quanto mi era stato richiesto.
Appena fui a portata, mi strinse a sé, baciandomi con foga, come se avessi potuto smettere di esistere da un momento all'altro e lei avesse avuto l'irrefrenabile bisogno di fondersi con me. Poi, nel giro di pochissimi secondi, le sue mani passarono dai miei fianchi alla vita dei miei jeans, infilandosi dentro di essi e aggrappandosi alla maglia. La tirò fuori, facendo fatica a farla passare per la cintura, ma la bloccai prima ancora che potesse farmela passare oltre la testa.
«Cosa stai facendo?» le chiesi, il fiato corto e la vista appannata.
«Pensavo che ti sarebbe piaciuto come regalo di compleanno» rispose lei, dandomi una serie di baci sul collo e tentando nuovamente di togliermi la maglia.
La presi per i polsi. La mia mente era così annebbiata che non capivo cosa stessi provando o cosa stesse per succedere. Sapevo solamente che non volevo. Baciarsi era un conto, fare sesso era tutt'altra cosa. «No, Rachele. Non voglio.»
Mi allontanai da lei, districandomi dal suo abbraccio.
«Ma dai, non fare tanto la santarellina! Non è mica la tua prima volta!» esclamò lei, la voce gelida e tagliente come una lama di ghiaccio. Cercò di allungare le braccia verso di me, di accorciare la distanza che ormai ci separava, ma non glielo permisi.
«Che cazzo vuol dire, scusami? È tanto difficile da capire che non voglio e basta?»
«Sì! Non c'è alcuna ragione per cui non dovresti volerlo! Dai, non fare la finta tonta, so che sono stata il tuo sogno proibito da anni, ora che ti sto facendo il favore di lasciarmi scopare da te e tu te ne esci con 'sta storia?»
«Che cazzo stai dicendo? Ma ti stai sentendo?»
I miei pensieri stavano cavalcando all'impazzata. Ero estremamente disgustata dalla ragazza che avevo di fronte. Il suo sguardo infuocato mi faceva davvero paura. Sentivo tutti i peli della mia pelle rizzati verso l'alto, allarmati da quello che stava succedendo.
Non l'avevo mai vista così. Avevo sempre saputo che non fosse la classica ragazza della porta accanto, ma le sue parole, le sue azioni, erano completamente orripilanti. Mi faceva temere per quello che mi sarebbe potuto accadere.
Avrei fatto meglio ad andarmene il prima possibile da lì.
«Sai cosa, non voglio neanche saperlo. Me ne vado. Ne riparleremo domani, quando ti sarai data una calmata.»
Lei non mi fermò quando uscii dalla stanza.
Quell'anno ricevetti gli auguri solamente da due persone: Cora quando mi ribeccò al piano di sotto e, a mia sorpresa, Christian che continuava a implorarmi di parlare con lui.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora