Capitolo 4 ♡ Dana

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La scuola era iniziata già da qualche settimana, ma sembrava che non mi fosse ancora concesso di sparire dalla vita sociale scolastica. La situazione si era calmata, dall'inizio della tragedia, ma il mio dramma sembrava ancora il centro di molte conversazioni. Sopratutto quando mi sedevo in classe e i miei compagni mi tiravano occhiate guardinghe. Qualcuno aveva anche cercato di attaccare briga con me, chiedendomi chi sarebbe stato il prossimo fortunato a cui avrei rovinato la vita. Io mi ero limitata a squadrarlo dall'alto al basso e a replicare: «Certamente non tu.»
Il ragazzo era scappato verso il suo gruppo di amici, che lo stava aspettando sul fondo dell'aula, con la faccia tutta rossa e i pugni serrati lungo i fianchi.
Gli unici momenti che riuscivo a sopportare erano le ore di lezione. Tutti erano troppo concentrati a prendere appunti, o a giocare con il telefono, per fare veramente attenzione a me. Per la prima volta nella mia vita, mi sentivo al sicuro alla sola vista di un qualsiasi professore, anche di quelli più odiati da tutto il corpo studenti. Loro non sapevano cosa stesse succedendo, non sapevano quanto io facessi schifo e continuavano a prendere le mie parti ogni volta che qualcuno cercava di darmi noia.
Sicuramente mia madre era andata a parlare con tutti loro, mettendoli al corrente che stavo passando un brutto periodo e pregandoli di tenermi sotto la loro ala protettiva. Un paio di belle parole, e qualche cifra con più zeri passata sotto banco, avrebbero fatto la magia. Avere una delle donne più influenti della città come madre voleva dire anche questo.
Per altre cose, mi avrebbe dato noia che mia madre facesse qualcosa del genere, sopratutto nel contesto scolastico, ma in quel momento ringraziavo di essere nata in quella famiglia. Anche se sapevo che lo aveva fatto solamente per lasciare immacolata la sua immagina di brava cittadina ed eccellente avvocatessa.
La lezione di religione stava per iniziare, quando l'altoparlante nell'angolo della classe iniziò a gracchiare. «Tutti gli studenti dell'ultimo anno che si sono iscritti per la borsa di studio universitaria sono pregati di recarsi immediatamente nella palestra scolastica. Ripeto: tutti gli studenti dell'ultimo anno che si sono iscritti per la borsa di studio universitaria sono pregati di recarsi immediatamente nella palestra scolastica.»
Il professore Marino, che stava giusto iniziando a fare l'elenco, fece segno con la mano verso la porta, dicendo di sbrigarsi ad andare e tornare, in caso l'annuncio interessasse qualcuno di noi, perché lui aveva una lezione molto importante sulle religioni politeiste da affrontare.
Mi alzai, lasciando lo zaino sotto il banco, sperando che fosse veramente qualcosa di veloce come lo aveva fatto sembrare il prof. Dal fondo dell'aula vidi anche Rachele e Christian alzarsi, insieme a qualche altra ragazza che faceva parte del gruppo delle cheerleader. Ovviamente, si erano dovuti iscrivere anche loro.
All'inizio non volevo farlo, non volevo lasciarmi trascinare in tutta quella storia, sopratutto ora che i riflettori erano puntati su di me. Ma mia madre aveva insistito. Voleva che io eccellessi in qualsiasi cosa e, se ormai lo sport non occupava più i miei pomeriggi, allora lo avrebbe fatto lo studio. Una borsa di studio mi avrebbe fatto brillare fra tutte le altre matricole, rendendomi speciale e onorevole, a suo avviso. Io avevo cercato di rifiutarmi, ma lei non aveva mai mollato la presa. Continuava a ripetermi quanto fosse importante, quanto non capissi cosa significasse una cosa del genere per il mio futuro. Era un modo per ripulire la mia immagine nel mondo degli adulti, ne ero consapevole anch'io, così alla fine mi arresi.
Qualcuno, mentre passavo per i banchi, raggiungendo la porta, mi guardò con occhi curiosi, forse chiedendosi che cosa mi aveva spinto a fare una cosa del genere, proprio in quel momento. Non potevo certo biasimarli, ma rivolsi comunque un'occhiataccia truce a tutti quelli che osavano incrociare il mio sguardo.
Andando verso la palestra, gli altri candidati lasciarono un bel po' di spazio fra me e loro, lasciandomi andare per prima e rimanendo indietro di diversi metri. Sembrava che mi stessero seguendo, un intero branco pronto ad accerchiare la preda. Cercavano di chiacchierare fra di loro, nascondendosi fra le loro frasi vuote, ma la loro conversazione non era divertente nemmeno da origliare.
Quando oltrepassai i portoni di plastica azzurra della palestra, sembrava che metà ultimo anno si fosse iscritto alla gara per quella stupida borsa di studio. Tutte quelle persone non avevano un vero bisogno di quei soldi, ma ognuno di loro aveva sicuramente un motivo per essere lì. Il vero obbiettivo, per molti, non era la borsa di studio in sé.
Presi posto in un angolo degli spalti, nel sedile più lontano dalla vicepreside, la quale si era messa al centro del campo da basket con un piccolo microfono ed una cassa appoggiata su un tavolo di legno. Era l'attrezzatura che di solito usavano durante le partite, per commentare i passaggi della squadra di basket o annunciare la pausa di metà tempo.
Sembrava che tutti si fossero ammassati nelle prime file, ansiosi di sapere cosa avrebbero dovuto fare quell'anno nella competizione più rinomata della scuola. Era come un rito di passaggio, diceva mia mamma. Non potevi dire di aver studiato nel Liceo Emily Dickinson senza aver partecipato a quel concorso. Durante l'anno si sarebbero create numerose occasioni per mettere in luce le nostre abilità, i nostri valori, tutto per creare un immagine di noi da proporre alla società. Io tra tutti non potevo permettermi altri passi falsi.
Un lungo fischio uscì dalle casse, rimbombando sui muri della palestra. Mi portai le mani alle orecchie, ma ancora prima che potessi coprirmele, il suono era già finito.
«Bene, ora che sembriamo esserci tutti, possiamo iniziare con la prima riunione per la Borsa di Studio gentilmente offerta, come ogni anno, dagli sponsor della nostra scuola» iniziò a spiegare la vicepreside, il caschetto nero che si muoveva ad ogni suo piccolo movimento, mentre girava la testa da destra a sinistra, per guardarci tutti negli occhi. Alla sua vista eravamo solamente un gruppo di ragazzini, tutti vestiti di verde, blu e grigio, una macchia di capelli e pelli tutti diversi, che si mischiavano in un quadro informe.
«Prima di inoltrarmi nella spiegazione delle varie regole e della prima missione a cui parteciperete, devo darvi una notizia. Quest'anno, le cose saranno un po' diverse» continuò lei.
Fra i ragazzi si sparse un leggero mormorio, probabilmente curiosi di cosa fossero queste novità. Avevano forse alzato la valuta della borsa di studio in palio? Avevano reinserito fra le prove quella che era stata bandita dopo che un ragazzo si era rotto una mano? Avevano deciso di cancellare il ballo a fine anno? Le ipotesi sibilavano di bocca in bocca e la vicepreside dovette schiarirsi la voce diverse volte prima di riportare l'ordine.
«Non è niente di cui dovete preoccuparvi. È, anzi, una buonissima notizia. Non ci sarà solamente una borsa, quest'anno, ma ben due. Gli sponsor sono aumenti considerevolmente dallo scorso anno, quindi la preside ha preso questa decisione.»
Il mormorio si fece sempre più forte, molte persone si stavano lamentando. Non era propriamente quello che si aspettavano.
«E come saranno scelte le due persone? Prenderete i primi due classificati?» chiese una voce maschile, dall'altro lato della palestra. Non potevo vederlo, ma ero sicura si trattasse di Christian.
La vicepreside, invece di ignorarlo, come stava facendo con tutti gli altri, annuì vigorosamente. «Ottima domanda. No, non saranno scelti i primi classificati. Abbiamo deciso di farvi partecipare a squadre di due e il duo che totalizzerà più punti vincerà una borsa di studio a testa.»
«Potremmo scegliere noi il nostro compagno?» chiese qualcun altro, più vicino a me.
«No, le squadre sono già state scelte. Abbiamo fatto in modo che ognuno di voi sia in coppia con una persona che, a quanto ritengono i vostri professori, possa aiutarvi a portare fuori il meglio di voi.»
Fischi e urla di disapprovazione si alzarono dalla platea. A nessuno piaceva quando i professori assegnavano questo tipo di cose. Era per questo che tutti odiavano i lavori di gruppo: o finivi in un gruppo di fannulloni, dove avresti dovuto fare tutto il lavoro da sola, solamente per portare a casa un misero sei, oppure finivi in un gruppo di cervelloni, che facevano a gara per gli argomenti e volevano approfondire ogni cosa, passando così intere giornate incollate alla presentazione in PowerPoint.
Questo era un lavoro di gruppo portato su tutto un altro livello. C'era in gioco il futuro delle persone, non solamente uno stupido voto. E non ero sicura di quanto i professori avessero veramente studiato le accoppiate. L'unica cosa che potevo sperare era di non finire con qualcuno della mia vecchia cerchia. Mi bastava solamente questo.
Le coppie, disse la vicepreside, sarebbero state affisse fuori dalla segreteria, e le avremmo già potute trovare durante la pausa pranzo. Ci invitò a non accalcarci troppo e a cercare di andare in diversi momenti della giornata, ma già sapevamo tutti che, chiunque si trovasse in quella palestra, a mezzogiorno in punto sarebbe stato nel corridoio della segreteria. Era come mettere un cestino pieno di caramelle davanti ad un bambino e chiedergli di non mangiarne fino al giorno dopo. Nessuno avrebbe resistito. Dovevamo saperlo e dovevamo saperlo subito.
«Ragazzi! Vi chiedo di darvi una calmata!» sbraitò la donna, la sua voce amplificata dal microfono quasi mi perforò le orecchie. Era rinomata in tutta la scuola per la sua voce da aquila e, anche se la conoscevo da anni, ogni volta che urlava mi spaventavo. Era come un potere sovrannaturale, nessuno sapeva come riuscisse ad arrivare a certe note o come riuscisse a non farsi scoppiare la vena che ogni volta le appariva in fronte, grande e rossa.
Una volta riportato l'ordine, si tirò la giacca del completo verso il basso, scrollando le spalle con fare superiore, borbottando fra sé qualcosa che al microfono sembrò come un "maledetta me e quando ho accettato di fare da tutor per questo progetto".
«Ora, passeremo alle regole del concorso» annunciò, la voce ancora leggermente alternata, la vena ancora ben visibile. «Come tutti gli anni, ci saranno varie prove. Chi riuscirà a superarle guadagnerà dei punti, chi lo farà in maniera egregia potrà ricevere anche dei bonus. Ovviamente, queste missioni consisteranno in qualcosa che vi porterà dei benefici per la vostra crescita scolastica o personale, non siamo qui per giocare. Alla fine dell'anno ci sarà anche la possibilità di aggiudicarsi più punti con l'aiuto degli altri studenti, i quali saranno chiamati a votare coloro che ritengono più meritevoli. Infine, durante il ballo, annunceremo coloro che si sono distinti in queste prove, e nel rendimento scolastico, come vincitori delle borse di studio. Sul sito del collegio potete trovare il regolamento completo, con tutte le regole che vi chiediamo di seguire in questi mesi. Se verrete sospesi, verrete direttamente squalificati, spero che almeno questo vi sia chiaro» continuò a spiegare, ma ormai nessuno la stava più ascoltando. Erano tutti intenti a chiedersi con chi sarebbero finiti o a sperare di non essere con me. Potevo sentire le due ragazze dietro di me che bisbigliavano come si sarebbero ritirate dalla competizione se qualcuno avesse anche solamente osato proporre di metterle in coppia con la sottoscritta.
«La prima cosa che vi chiediamo di fare, è di conoscere a fondo i vostri partner. Vogliamo che creiate una buona relazione e che ci facciate vedere il miglior lavoro di squadra di cui siete capaci. La prima prova verterà su questo, non posso dirvi altro» concluse, rivolgendomi un'ultima occhiata intimidatoria, prima di ordinarci un rapido ritorno in classe e alle nostre lezioni.
Prima di andare, aspettai che la palestra si svuotasse del tutto, rimanendo in fondo alla fiumana di ragazzi emozionati e curiosi, ma per la maggior parte annoiati di star già tornando in classe.
All'ora di pranzo, non osai addentrarmi nel corridoio della segreteria. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era ritrovarmi schiacciata fra corpi di sconosciuti, i quali probabilmente sapevano di più sul mio conto di quanto non avessi fatto io stessa. Invece, me ne andai in mensa, alla ricerca di qualcosa di commestibile da mangiare.
Un tempo, mi sarei portata il pranzo al sacco. Un tempo avrei pranzato con i miei amici, con il mio fidanzato, con Rachele. Un tempo avremmo chiacchierato delle cose più banali, ritagliandoci un quadrato di felicità, lontano dai pensieri della vita di tutti i giorni. Ora, ero da sola, seduta ad un tavolo rotondo, che era stato pensato per almeno otto persone.
Alla fine, non ebbi neanche bisogno di recarmi dalla segreteria per sapere chi mi era stato assegnato come partner. Fu lei a venire da me e non mi scorderò mai la prima volta in cui la vidi. Era come se il destino avesse deciso di farmi un grande e brutto, bruttissimo scherzo.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora