Capitolo 23 ♡ Cora

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Quel pomeriggio, dopo che le lezioni furono finite, mi ritrovai a non aver nulla da fare: non avevo preso nessun turno al cinema e la sola idea di tornare a casa, dove avrei potuto trovare mia mamma, mi faceva contorcere e stringere lo stomaco in nodi indistricabili.
Al suono dell'ultima campanella ero rimasta indietro, con lo zaino ancora tutto da fare e un'esplosione di penne colorate e matite poco appuntite sul banco. Dissi agli altri di non aspettarmi o altrimenti avrebbero rischiato di perdere l'autobus del ritorno.
Mi attardai in giro per i corridoi, cercando di posticipare il mio ritorno a casa, fermandomi di qua e là, ad osservare dei disegni appesi sul muro o a leggere la bacheca proprio davanti alla segreteria. Cercavo di pensare ad un posto dove andare, possibilmente dove ci fosse stata una buona connessione internet e nessun dei miei compagni di scuola, ma frequentavo sempre gli stessi posti e non avevo la minima idea di dove potessi recarmi.
Uscita dal portone principale della scuola, non mi aspettavo di trovare nessuno nel cortile - ormai tutti erano sulla via del ritorno o si erano diretti alle proprie attività extracurricolari. Invece, c'erano tre figure proprio di fianco al cancello.
«Ve l'avevo detto che non era ancora uscita da scuola!» esclamò Flora, lasciando cadere lo zaino per terra con un pesante tonfo e correndo nella mia direzione.
«Cosa ci fate ancora qui? Non siete tornati a casa?»
«Tu cosa diresti? Sei in uno stato osceno, Cora, non ti potevamo lasciare da sola in queste condizioni.»
Alzai gli occhi al cielo, per sembrare irritata, ma in realtà era per ricacciare indietro le lacrime. «Non c'era nessun bisogno.»
«In questi ultimi tempi sto dando ragione a mia sorella un po' troppo, per i miei gusti» si aggiunse Elia. «Ma ha ragione, Cora. C'era bisogno che rimanessimo indietro a vedere come stessi.»
«È da Capodanno che ti comporti in modo strano, all'inizio pensavo di starmi immaginando tutto, ma quando ti sei presentata questa mattina come se Lenticchia fosse morto ho subito capito che il mio intuito non aveva sbagliato» continuò Flora, poi prese una pausa prima di aggiungere titubante: «Lenticchia non è morto, vero?»
«No» dissi in sussurro io, subito seguito da una risatina. «Penso che Lenticchia sia più sano di tutti noi messi insieme.»
«Cosa c'è che non va, allora?» domandò Nicolò, mettendomi una mano sulla spalla. «Puoi dirci tutto.»
Io esitai.
Mi fidavo dei miei amici, mi fidavo veramente, ma non volevo sembrare la solita piagnucolona che, ad ogni più piccola intemperia, correva da loro per piangergli fra le braccia. Negli ultimi giorni non avevo risposto a nessun messaggio sul nostro gruppo e quando mi contattavano in privata rispondevo con il minimo necessario, mi sentivo in colpa a vederli comportarsi così amorevolmente con me. Non me lo meritavo.
Qualche volta mi chiedevo perché, tra tutte le persone, avevano deciso di adottare me, nel loro gruppo.
«Che ne dici se prima andiamo in un nuovo locale che ha aperto in centro? Sono sicura che ti piacerà un sacco» propose Flora, prendendomi per mani e dirigendosi verso la fermata dell'autobus.
Mentre andavamo, nessuno mi chiese di nuovo come stessi o cosa fosse successo. Stavano aspettando che iniziassi a parlarne da sola, con i miei tempi. Invece parlarono delle cose più stupide, come che ultimo programma avevano guardato su Netflix, quale vip aveva appena fatto una gaffe su Twitter ed ora era stato cancellato dalla comunità lgbt, che trend di Tiktok continuava a riempirgli la pagina dei per te.
Non avrei davvero mai potuto chiedere dei migliori amici di quelli, ma nonostante tutto, continuavo a sentirmi piccola nei loro confronti. Flora era gentile e talentosa nello sport, Niccolò era spigliato e aveva un dono magico per la fotografia, Elia era premuroso e sempre attento agli altri. E io ero solamente io.
Per tutto il tragitto, Flora tenne stretta la mia mani, come se lasciandola mi avrebbe potuta perdere per sempre.
Il locale era molto piccolo e dava su una strada laterale che per trovare avevamo impiegato dieci minuti in più rispetto a quanto ci diceva Google maps. L'interno era una lunga sala rettangolare, molto stretta nel lato più corto. Quando entrammo un forte odore di caffè e di libri mi riempì le narici. Era uno di quei posti che si vedevano su Pinterest, dalle pareti di legno scuro, dove insieme ad un dolce od una tazza di tè potevi fermarti a leggere un libro. Le pareti erano librerie alte fino al soffitto, piene fino a scoppiare.
Oltre a noi c'erano solamente altre due ragazze, intente a leggere, che occupavano un tavolo rotondo che dava proprio sull'unica alta finestra del bar. Il silenzio che regnava, rotto solamente dai movimenti del barista intento a pulire un paio di tazzine, aveva qualcosa di surreale.
«Sediamoci in fondo» propose Flora.
Il retro del locale era rialzato rispetto al livello della strada e si doveva fare una decina di bassi scalini per arrivarvici. C'era solamente un tavolo che si affacciava su quella specie di balcone, perfetto per quattro persone.
Quando ci trovammo davanti le nostre ordinazioni e Nicolò ebbe finito di fotografare ogni angolo del locale, Flora cercò di riportare l'argomento della conversazione su questioni più serie. «Okay, raga, abbiamo capito che avete troppo tempo libero che passate a guardare serie molto discutibili, ma penso sia arrivato il momento di parlare di cose più importanti. Tipo, Nico, come va con il tuo Diego-caro?»
«Ti racconterei tutto nel dettaglio, ma non vorrei che la mia relazione felice potesse distruggere questo gruppo di single incalliti» rispose Nicolò, prendendo un sorso del suo milkshake al cioccolato.
Flora lo invitò a riferirci tutti i dettagli, con fare sarcastico.
Nicolò sbuffò. «È il ragazzo più etero che abbia mai visto, Flora. Cosa pensi che possa mai star succedendo? Siamo solo amici.»
La sua espressione ferita mi fece stringere il cuore. Appoggiai la mia mano sulla sua, la quale riposava sul tavolo di legno. «I ragazzi etero sono i peggiori» commentai, poi rivolgendomi ad Elia: «Senza offesa.»
Avrei voluto dire che anche le ragazze etero - una in particolare - facevano schifo, ma non volevo nemmeno pensare a lei. Si era scusata per non avermi scritto e io le avevo detto che non c'era alcun problema, ma in realtà quello era stato l'ultimo segnale di quanto non dovessi affezionarmi a lei.
«Le tue parole non mi scalfiscono» replicò Elia, schiudendo le labbra in un piccolo sorriso.
Nicolò si mise a ridacchiare e presto anche Flora si unì a noi.
«Se vogliamo passare a notizie più felici, in realtà io avrei qualcosa da annunciare» disse poi Elia, quando le nostre risate si furono calmate.
«Avrà forse deciso di trasferirsi dall'altra parte del mondo? Sarebbe veramente una bella notizia per me» mormorò Flora alle mie orecchie, beccandosi un'occhiataccia da parte del fratello.
«No, Flora, non ho intenzione di lasciarti in pace ancora per molto tempo. È qualcosa assai migliore: il dottore e lo psicologo mi hanno finalmente dato il via libera per l'operazione» ci disse lui, un'espressione raggiante in volto.
«Ma è fantastico!»
«Perché non me lo hai detto prima? Anche mamma e papà lo sanno?»
«Sono un sacco fiera di te!» commentammo praticamente in unisono noi tre, le voci alte che rimbombavano in quello spazio angusto. Le due ragazze che stavano leggendo e il barista ci rivolsero un'occhiata fra il basito e lo scocciato, ma non c'era nessun altro modo in cui avremmo potuto reagire a quella notizia.
Elia aveva aspettato per anni che gli dessero l'okay per l'operazione al seno, era stanco di dover continuamente indossare binder che gli facevano mancare il fiato. Finalmente avrebbe potuto sentirsi un po' più a casa nel suo corpo.
Non sono un paio di tette a renderti meno uomo, ma per lui era un passo importante e per noi era una vittoria da festeggiare.
«Dovremmo organizzare una festa d'addio» buttò lì Flora, i palmi delle mani aperti sul tavolo. «Con una torta a forma di tette e tanto di reggiseno col pizzo.»
«No, grazie» replicò lapidario Elia.
«Ma sarebbe tipo qualcosa di super simbolico! Quando taglierai la prima fetta uscirà qualcosa di rosso, ucciderai le tette, è tipo un rito di passaggio» continuò lei.
«Fa un po' schifo» commentai io.
Lei mi guardò storto. «Dovresti essere dalla mia parte. Sono io la tua migliore amica, non lui.»
«Sì, ma non voglio mangiare una torta che sembra uscita da una scena del crimine» conclusi io.
Flora alzò le mani in aria, rassegnata. «Okay, niente torta, ma la festa si farà lo stesso. Su questo non voglio alcuna discussione. Sai già la data dell'operazione?»
Elia scosse la testa, con fare negativo. «Hanno detto che ci vorranno un po' di mesi, visto che non è un'operazione che senza la quale qualcuno potrebbe perdere la vita. E di sicuro vogliono evitare il periodo estivo, probabilmente se ne parlerà ad ottobre.»
«Per allora saremo già all'università» disse Nicolò.
All'improvviso l'aria serena che avevamo iniziato a respirare in quegli ultimi momenti era sparita. Ancora non sapevamo se all'università avremmo potuto continuare ad incontrarci. I gemelli non sapevano ancora dove andare, probabilmente Elia avrebbe provato ad entrare a medicina, Nicolò aveva già fatto il test d'ingresso per una scuola privata di fotografia e cinema, a Milano. Io puntavo tutto sulla mia borsa di studio o non mi sarei mossa dalla nostra città natale.
«Non importa quando sarà, l'importante è che si faccia» dissi io, allungando una mano verso quella di Elia, dall'altro lato del tavolo rispetto a me e stringendola con forza.
Usciti dal locale iniziammo a dividerci. Nicolò abitava in centro, quindi avrebbe raggiunto casa a piedi in pochi minuti, io e i gemelli avremmo dovuto riprendere l'autobus che si allontanava dalla città. Arrivati alla fermata, il tabellone segnava che la prossima corsa sarebbe passata fra una ventina di minuti. Il fascino dei piccoli centri, immagino.
Flora si stravaccò sulla panchina, di fianco ad una signora con due grandi buste della spesa, stavo per raggiungerla quando Elia mi bloccò. «Forse non è il momento migliore, ma potresti venire un attimo? Ho qualcosa che devo dirti.»
Annuii, il cuore che sembrava volermi scappare dalla gola.
Ci allontanammo, addentrandoci nel parco alle spalle della fermata. Era ormai sera e non c'era nessun bambino a giocare sulle altalene o sullo scivolo. C'eravamo solamente noi e un lampione solitario che torreggiava sopra le nostre teste, allungando le nostre ombre quasi all'infinito.
«So che non stai passando un bel periodo e forse quello che sto per dirti è l'ultima cosa che vorresti sentire in questo momento» iniziò lui. Era proprio davanti a me, le spalle leggermente abbassate, lo sguardo che vagava per il parco senza incontrare i miei occhi. I suoi capelli rasati di lato e folti in cima non davano segno di volersi muovere al vento.
Sapevo benissimo cosa stava succedendo, avevo sognato quel momento per così tanti anni che quasi faceva paura viverlo sul serio.
«Tuttavia,» continuò dopo una piccola pausa, «non c'è modo migliore per farti capire quanto io tenga a te e quanto io voglia che tu sia veramente felice. In caso ricambiassi i miei sentimenti farò in modo di essere sempre al tuo fianco, qualsiasi cosa accada, come tu fai con me da sempre. In caso non ricambiassi, farò la stessa cosa, come tuo amico.»
Mi avvicinai a lui, titubante, quasi inciampando sui miei stessi piedi. «Cosa stai cercando di dirmi?» La domanda uscì fuori impacciata mentre la mia faccia si tingeva di rosso.
Sapevo cosa stava cercando di dirmi, ma avevo bisogno di sentirlo da lui perché mi sembrasse vero.
«Che tu mi piaci. Non come amica. Cioè, anche come amica, ovviamente. Però vorrei che fossi qualcosa di più. Vorrei che diventassi la mia fidanzata» balbettò lui, mentre le sue guance si scurivano. «Se per te va bene.»
A lungo mi domandai se quella sera feci la scelta giusta, ma in quel momento il mio cuore mi spingeva solamente a fare una cosa.
Lo abbracciai, stringendo le mie braccia intorno al suo petto.
«Non sai quanto ho aspettato che tu me lo chiedessi» mormorai contro la sua camicia.
Le sue braccia si allacciarono dietro la mia schiena, spingendomi ancora più vicina al suo corpo. Potevo sentire il suo cuore battere forte sotto il mio orecchio.
Restammo lì per quella che parve un'eternità idilliaca, abbracciandoci e basta, mentre le ultime foglie cadevano dagli alberi attorno a noi.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora