Capitolo 28 ♡ Dana

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Tornare ad allenarmi con le cheerleader avrebbe dovuto rendermi felice, gioiosa, perfino estasiata. E lo ero.
Non mi importava degli sguardi torbidi delle altre o delle parole che mormoravano pensando che io non le potessi sentire. Finalmente potevo tornare a fare la cosa che amavo di più al mondo e nulla mi avrebbe tolto la mia meritata spensieratezza. Questo era quello che dovevo pensare, invece mi sentivo completamente vuota.
Ero felice, forse, ma sapevo che non avrei dovuto esserlo.
In un certo modo, la mia vita stava tornando quella di prima. Ed ero contenta che Cora si fosse trovata lì per assistere in prima fila.
Non avevo chiamato Rachele per provare che Cora fosse nel torto e che ero in grado di riportare le cose a com'erano un tempo. L'avevo chiamata perché volevo distrarmi, l'argomento delle cheerleader era uscito fuori dal nulla ed era stata lei a propormi di tornare nelle cheerleader, come prova di essersi pentita per quello che aveva fatto. Avevo accettato solamente nella speranza che Cora avesse capito che non avevo bisogno del suo aiuto e il fatto che quel pomeriggio si trovasse in palestra mi aveva aiutato a farlo.
Non ero felice, ma lei avrebbe pensato di sì.
E mi avrebbe lasciata in pace.
Per tutta la durata degli allenamenti sentivo il suo sguardo su di me, ogni volta che giravo la testa nella sua direzione i miei occhi incrociavano i suoi ed ero sempre io la prima a distoglierli.
Negli spogliatoi, rimasi di proposto indietro rispetto alle altre, rallentando ogni mio movimento finché non vidi Flora uscire. Cora se ne sarebbe probabilmente andata con lei e facendo così non l'avrei dovuta incontrare.
Rachele dovette notarmi perché ci mise anche lei dieci minuti a piegare la sua divisa da cheerleading dentro la sacca da palestra. Così rimanemmo solamente io e lei, da sole. Si avvicinò alla porta, spostando una sedia e incastrandola sotto la maniglia. «Così nessuno ci potrà disturbare.»
Quando tornò da me, ero seduta sulla panca e lei non si fece alcun problema a sedersi sulle mie gambe, le braccia intorno al mio collo.
«Tempo qualche giorno e saranno tutte felicissime di riaverti in squadra, hanno solo paura di perdere i loro assoli per darli a te, tutto qua» mi disse, giocando con una ciocca dei miei capelli.
Ero sicura che la maggior parte di loro non aveva pensato a quello non appena mi aveva visto sul bordo del campo, ma annuii lo stesso.
«È davvero bello tornare ad allenarsi.»
«Lo so, vero?» mi sorrise Rachele. Era così vicina che potevo vedere le piccole pagliuzze dorate che danzavano nei suoi occhi chiari. «Sapevo che mi avresti subito perdonata in cambio di questo favore.»
Si sbagliava, non sarei mai riuscita a perdonarla. Era una persona orribile. Ma lo ero anch'io. Quindi andava bene così.
Avvicinò il suo viso al mio, chiudendo del tutto la distanza che ci separava. Sapevo di burro cacao e di mentine per la gola.
Mentre la mia lingua si faceva spazio fra i suoi denti e le mie mani si facevano spazio fra i suoi capelli, lei si ritrasse di colpo, ansimando. «Stavo pensando, la terza prova si sta avvicinando, alla fine tu e quella bimba avete fatto qualcosa?»
Se non l'avessi conosciuta, avrei probabilmente pensato che lo stesse chiedendo perché si stava preoccupando per me, per la mia squadra. Ma era solamente alla sua, di squadra, che stava pensando.
«Non molto, in realtà» mentii io. Se c'era qualcosa che avevamo fatto, era sicuramente scoprire qualcosa l'una dell'altra. Anche se la visione che Cora si era creata di me l'aveva trasformata in una crocerossina pronta a salvarmi. Cosa di cui non avevo nessun bisogno, fra l'altro.
Se il quiz si fosse basato sui nostri attori preferiti o su che canzone ci piacesse cantare nella doccia, avremmo sicuramente fatto un figurone. Se il quiz si fosse basato sul conoscerci sul serio, non avrei saputo come le cose sarebbero potute andare a finire.
«Vedremo come andrà, allora.»
«Sì, vedremo. Al momento non me ne importa proprio nulla» le sussurrai all'orecchio, dandole una serie di piccoli baci sul collo.

La nostra scuola disponeva di un piccolo teatro all'interno dell'edificio principale. Era più una sala per le conferenze, con un piccolo palco rialzato e luci gialle che sembravano non illuminare mai abbastanza la stanza, ma il club di teatro sembrava apprezzarlo molto.
Dall'inizio della competizione, le squadre si erano praticamente dimezzate e tutte insieme occupavamo a malapena due righe di poltroncine. Sul palco erano già state disposte una decina di sedie con sopra appoggiato qualcosa di piatto e bianco che da sotto sembrava un foglio vuoto.
Cora, contro ogni mia aspettativa, mi si era seduta vicina, alla mia sinistra, sorridendomi come se non fosse successo nulla. Mentre aspettammo che il resto degli alunni e la preside arrivasse, per dare inizio alla prova, rimanemmo in completo silenzio. Poi arrivò anche Rachele, la quale si sedette alla mia destra.
Credetemi, non poteva esistere una cosa più imbarazzante di quella. Era come essere messa in mezzo a due fuochi, pronti a bruciarsi e a soffocarsi a vicenda, uno in maniera subdola e cattiva, l'altro in maniera silenziosa e sorridente.
«Non ti siedi vicino alla tua compagna di squadra?» chiese Cora a Rachele, sporgendosi oltre me per guardarla negli occhi.
Cora non era mai stato il tipo da parlare con voce sicura ad uno sconosciuto, faceva fatica a non balbettare anche con me. Eppure in quel momento sembrava la dea della sicurezza scesa in terra. Ad essere sinceri, mi piaceva vederla così. E mi faceva anche paura.
«Oh, è già arrivata? Non l'ho vista» rispose Rachele, dandosi una pacca sulla fronte. «Che sbadata che sono. Ormai mi sono seduta, però, sarebbe scortese alzarsi.»
Cora socchiuse gli occhi, come se quel ragionamento suonasse sbagliato alle sue orecchie. Non potevo darle tutti i torti.
«Può stare seduta qua con noi, non vedo quale sia il problema» mi intromisi io, rivolgendo un'occhiata guardinga a Cora. «La prova inizierà fra poco, si sposterà solo se ce ne sarà bisogno.»
Rachele mi appoggiò una mano sulla coscia, sorridendomi. «Grazie, tesoro.»
Il mio cuore fece un piccolo salto a quella parola. Rachele non era il tipo di persona che chiamava gli altri con nomignoli del genere. Cora ne parve confusa e leggermente disgustata, ma non cercò di dire nient'altro.
La vicepreside arrivò come una tempesta dentro il piccolo teatro. Quel pomeriggio sembrava decisamente alterata. Teneva le mani strette lungo i fianchi, la sua faccia era contorta in una perenne smorfia arrabbiata e camminava tutta impettita.
«Ragazzi» tuonò lei, una volta saliti i gradini di legno che la portarono sopra il palco. Nella sala c'era già un silenzio tombale, quindi la sua voce rimbombò su tutte le pareti, costruite appositamente per rendere le voci più udibili, anche da chi sedeva nelle ultime file. Non avrebbe avuto necessità del microfono, quanto meno. «Ho bisogno della vostra più completa attenzione. Ci sono stati dei problemi con la segreteria, quindi non posso supervisionavi questo pomeriggio. Vi spiegherò velocemente quello che dovete fare, poi andrò a chiamare qualcuno che vi tenga d'occhio. Tornerò prima della fine dell'orario scolastico per la parte finale della prova.»
Prese un respiro. Stava parlando così velocemente che la sua faccia era diventata tutta rossa e aveva quasi il fiatone. «Quello che vi chiediamo di fare oggi è molto semplice. Uno di voi sarà incaricato di creare un disegno, un'opera d'arte. Avete a disposizione una sola tela, quindi non avrete seconde chance per il vostro progetto. Non importa quale stile o quali materiali deciderete di usare, ma guardando l'opera dovrete trasmetterci qualcosa riguardante il vostro partner. Le regole sono semplici: niente scritte di alcun tipo e nessun ritratto di voi stessi o del vostro partner. Dovete catturare l'interno della persona, non il suo aspetto esteriore. Ora, decidete in fretta chi pitturerà e chi no, voglio vedere una persona per squadra salire sul palco e prendere la tela, prima di andarmene» spiegò in tutta fretta.
Quindi la teoria del quiz televisivo era completamente sbagliata. Tutti nella sala sembravano abbastanza sconvolti dalla richiesta inaspettata. Rachele era l'unica con un sorriso stampato in faccia.
Qualche passaggio di quella prova non mi era completamente chiaro, ma il succo era semplice: una avrebbe dovuto dipingere l'essenza dell'altra. Non ero le migliori delle artiste, ma avevo un paio di idee su cosa avrei potuto disegnare.
«Cosa preferisci fare?» mi chiese Cora, prima ancora che potessi dire qualcosa.
«Posso disegnare, se per te va b-»
Non finii la frase che la vicepreside iniziò a sbraitare, le mani intorno ai fianchi, la voce che sembrava raggiungere tonalità sonore che nessun umano aveva mai sentito prima. «Non parlate! Non voglio che nessuno di voi cerchi di imbrogliare, forza muovetevi a salire sul palco!»
Dopo di ciò, nessuno osò più fiatare. Qualsiasi forma di chiacchiericcio si era spenta nel silenzio più assoluto.
Mi alzaii e anche Rachele fece lo stesso, rivolgendo un'occhiata alla sua compagna di squadra. Quando la metà dei partecipanti si trovò sul palco, ognuno con la propria tela e la propria sedia, la vicepreside parlò di nuovo: «Molto bene. Chi non dipingerà aspetterà dentro la stanza accanto che gli artisti finiscano, poi verrete chiamati uno ad uno per giudicare quale quadro vi appartiene. Davanti vi troverete tutte le opere, ne potrete scegliere cinque, se l'opera creata dal proprio compagno fa parte di quella selezione allora riceverete quindici punti. Riceverete punti extra se riuscirete a trovare con esattezza il quadro che vi dovrebbe rappresentare. Ora, voi ancora giù, seguitemi.»
Quindi alla fine il compito peggiore era il mio. Tutta la prova gravava sulle mie spalle. E io che speravo di cavarmela con un semplice disegno.
Senza più calcolare noi, distribuiti sul piccolo palco, la vicepreside si allontanò seguita dall'altra metà dei ragazzi. Dopo qualche secondo di silenzio, qualcuno chiese: «Ma quindi possiamo iniziare?»
Onestamente, non ne avevo la minima idea, ma qualcuno disse di sì e qualcun altro si alzò alla ricerca di qualcosa da poter usare sulla tela, quindi diedi per scontato che il tempo della prova era iniziato.
Iniziai a girovagare - con Rachele al mio fianco - per il laboratorio d'arte, situato proprio affianco al teatro. Ecco perché non ci eravamo riuniti in palestra quel giorno. Presi delle matite e dei colori ad acqua, uno dei pochi materiali che sapevo usare correttamente. Lei invece optò per un set di pennarelli indelebili neri.
Mi sedetti ad un tavolo, allontanandomi da Rachele, con le spalle che davano verso il muro, così che nessuno potesse osservarmi mentre disegnavo. O almeno, provavo a farlo.
Per prima cosa dovevo ideare uno schizzo, capire cosa disegnare. Avrei dovuto pensare non a qualcosa che le potesse piacere, ma a qualcosa che urlasse solamente "Cora", qualcosa che la distingueva da qualunque altra persona riunita in quella stanza, qualcosa che la rendeva unica e speciale. Per fortuna avevo iniziato a conoscere tutte le cose che la rendevano unica e speciale.
Solo pensando al suo amore per la biologia marina, a tutti quei piccoli fatti che buttava dentro le conversazioni, ogni accenno di rabbia che provavo nei suoi confronti iniziava a svanire.
Più pensavo a lei e alle cose che la rendevano Cora, più mi ritrovai a sorridere senza un vero motivo. Era una delle ragazze più dolci che avessi mai conosciuto, con un amore spropositato per il mondo marino, ma non solo. Amava i suoi amici senza alcuna barriera a fermare i suoi sentimenti. Probabilmente faceva lo stesso con la sua famiglia.
Mi dava ancora noia che pensasse di conoscermi meglio di me stessa e che pensasse di essere in grado di rimettere apposto la mia vita solamente chiedendo scusa a Christian. Ma iniziavo a capire che forse non lo aveva fatto con malizia. Cercava veramente di fare del suo meglio, come sempre.
Mi sentivo un po' una stupida ad averla trattata in quel modo, forse avrei veramente dovuto chiederle scusa come diceva Lani.
La matita sembrò iniziare a muoversi da sola, senza nemmeno darmi il tempo di pensare a fondo su cosa avrei voluto posizionare dove. Tutto sembrava trovare un incastro perfetto senza che nemmeno io dovessi provarci. Così, senza nemmeno che me ne accorgessi, stavo trasformando quello che doveva essere un semplice disegno in una vera e propria lettera d'amore.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora