Capitolo 31 ♡ Cora

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Uscita da scuola, la prima cosa che feci fu aggiornare i miei amici sulla nostra chat di gruppo. Sembravano entusiasti per me e per il passaggio al turno successivo, ma quando gli chiesi se avevano qualche idea su come avremmo potuto totalizzare più punti di Rachele e Christian tutti rimasero in silenzio.
Era un compito impossibile, lo sapevano anche loro.
Io non ero mai stata una tipa popolare.
Dana lo era stata, un tempo, ma ora le persone la guardavano in modo diverso. Solamente un anno prima avrebbe avuto una buona probabilità di vincere, sopratutto se fosse finita in coppia con Christian. Tutti avrebbero votato la coppia degli innamorati perfetti. Ma il tempo era passato e ci aveva insegnato che quella era solo apparenza. Non erano perfetti, non erano nemmeno innamorati. Non entrambi, quantomeno.
Per salire al primo posto ci sarebbe servito un miracolo.
«Cora» sentii chiamarmi alle mie spalle.
Ero nel cortile della scuola, dove Dana mi aveva chiesto di aspettarla mentre recuperava delle cose che aveva scordato in classe.
«Eccoti finalmente. Ci hai messo così tanto che ho iniziato ad aver paura che qualcuno ti avesse rapito» la presi in giro io, avvicinandomi mentre lei mi veniva incontro. Portava lo zaino su una sola spalla e la mia voglia di farglielo indossare correttamente era così alta da farmi formicolare le mani, ma non lo feci.
«Vuoi camminare mentre parliamo?» mi chiese lei, senza nemmeno far caso alle mie parole. Ma sapevo che mi aveva sentita.
Iniziammo a passeggiare, una di fianco all'altra, sul marciapiede alberato fuori da scuola, senza una vera meta precisa in mente. Ormai era tardi e, anche se non era ancora orario di cena, il cielo si stava tingendo di blu, la luna già alta tra le nuvole. Le giornate avevano iniziato ad allungarsi, ma faceva ancora troppo freddo per sentire l'arrivo della primavera imminente.
«Mi dispiace davvero per settimana scorsa» le dissi. Stava per parlare lei, l'avevo vista, ma non le avrei mai dato la possibilità di scusarsi per prima.
«Sono io che mi devo scusare, ti ho urlato in faccia senza che ce ne fosse un valido motivo» replicò lei, le mani nelle tasche dei pantaloni. Esalò un respiro rapido e profondo. «Non mi sorprenderei se decidessi di odiarmi per come mi sono comportata. Io mi odierei se fossi in te.»
«Non sono arrabbiata con te. Forse lo ero, all'inizio, ma ora non più» la rassicurai, ma lei non sembrava convinta. Per nulla. «Davvero pensi di essere una persona così orribile?»
La domanda mi girava in testa da giorni ormai. Continuavo a pensare alle sue parole, quel pomeriggio, a come sembrava odiare più se stessa che la ragazza che diceva di essere la sua migliore amica ma non aveva esitato a raccontare una menzogna su di lei a centinaia di sconosciuti.
Il vento iniziò a soffiare più forte, facendo svolazzare la coda alta di Dana e la mia gonna. Una foglia arancione si impigliò nella mia frangetta, ma non feci in tempo ad accorgermene che la mano di Dana si era già allungata verso di essa. La prese con due dita, buttandola per terra. «Non penso di essere una persona orribile. Sono una persona orribile, Cora.»
«Io non penso che tu lo sia.»
«Me lo hai già detto.»
«E non mi credi?»
«No.»
«E cosa potrei fare perché tu mi creda?»
Lei parve pensarci a fondo, ma senza trovare una risposta che la soddisfacesse. «Qualunque cosa tu faccia, non penso che ti crederò mai. So di avere ragione. Sono oggettivamente una persona orribile.»
«Beh, questo non mi fermerà dal voler essere tua amica. Spero che tu ormai lo abbia capito» le dissi, dandole una piccola spallata giocosa. «Se vuoi raccontare a qualcuno perché pensi di essere tanto pessima io ci sarò sempre. Ci sarò anche se vorrai raccontarmi perché altre persone ti fanno arrabbiare, o perché ti sei innamorata di qualcuno. Sarò sempre lì, questa volta pronta a non farti sentir obbligata a fare quello che penso io. A meno che tu non mi chieda un consiglio, ovvio.»
«Va bene così, Cora. Non devo diventare il tuo piccolo progetto da riportare sulla retta via solamente perché il fato ci ha fatto capitare nella stessa squadra in una gara scolastica» replicò lei. Stava dando piccoli calci ad un sasso, trovato qualche metro prima sulla strada, portandoselo dietro.
Io volevo solamente allungare la mano verso la sua e stringerla di nuovo, come avevamo fatto prima nel teatro. Volevo solamente che capisse che anch'io la vedevo e volevo capirla, non per giudicarla o per giocare alla croce rossina, ma solamente perché mi andava di farlo. Non era una motivazione valida di per sé?
«Non sei un progetto. Qualunque cosa tu intenda dire con questo» dissi invece, stringendo i pugni lungo i fianchi per impedire alle mie dita di allungarsi verso le sue senza il mio consenso. «Okay, forse ci siamo conosciute per caso, ma non credo che le cose avvengano veramente per pura coincidenza. All'inizio, quando non ci conoscevamo, non ti trovavo per nulla simpatica e mai avrei pensato che saremmo potute diventare amiche. Eppure eccoci qua.»
Le labbra di Dana si schiusero in un piccolo sorriso amaro. «Anch'io non ero molto felice di essere la tua compagna di squadra. Mi ricordavo così bene di te, non perché eri amica di Flora, ma per il tuo coming out forzato qualche anno fa.»
«Non è stato forzato. Tutti i miei amici e la mia famiglia lo sapevano già da tempo. È stato solamente reso più pubblico di quanto mi sarei mai aspettata» borbottai pensierosa io.
Non mi faceva molto piacere ripensare a quel periodo e il fatto che Dana, una persona che allora era praticamente una sconosciuta, se lo ricordasse ancora mi faceva salire piccole ondate di panico al petto.
Dana si strinse nelle spalle. «È stato comunque qualcosa fuori dal tuo volere, quindi da considerarsi forzato. Ti davano pure della lesbica invece che della pansessuale. Pensavo ti desse noia.»
«Certo che mi da noia!» esclamai. «È la mia identità di cui stiamo parlando, non vorrei mai che le persone me ne privassero.»
«Perché non le hai mai corrette, allora? Come hai fatto con me?»
«Ci ho provato, all'inizio» ricordai, le memorie che tornavano alla mente come tanti piccoli galleggianti gialli. «Nessuno ha mai voluto ascoltare. Sei stata la prima a farlo.»
«Davvero?» chiese Dana e la sua voce suonava veramente sconcertata. Annuii leggermente e vidi i suoi occhi perdersi in lontananza, probabilmente all'inseguimento di qualche pensiero sfuggente.
In qualche modo, durante il silenzio che seguì la nostra conversazione, arrivammo davanti a casa sua. Abitava abbastanza vicino a scuola e forse quello che avevamo appena percorso era la strada che faceva tutti i giorni. Aveva senso che il suo subconscio l'avesse spinta ad arrivare fin lì.
Ci ritrovammo davanti al suo vialetto nel giro di pochi secondi. Si era fermata davanti ad esso, guardando prima la casa e poi me, io rimasi in silenzio, aspettando che dicesse qualcosa.
«Vuoi entrare? Non abbiamo mai finito di fare quel gioco delle trentasei domande» propose lei, gli occhi nocciola leggermente offuscati da quella che sembrava paura.
Annuii, sorridendole. «Ho anche promesso a Lani che ci saremmo viste per imparare a risolvere il cubo di rubick, non posso rompere questo patto.»
Dana alzò gli occhi al cielo, ridacchiando.

Una volta entrate ci accolse un immenso silenzio. Dana mi disse che probabilmente Lani non era ancora tornata da casa della sua amica, ma che sicuramente lo avrebbe fatto prima dell'orario di cena.
Ci sdraiammo sul suo letto, a pancia in sù, con i nasi rivolti verso il soffitto, le domande che ci mancavano sugli schermi dei cellulari.
Era strano essere nella sua camera dopo aver litigato in quel luogo pochi giorni prima. Prima di entrare mi chiesi se le mura racchiudessero ancora quei sentimenti burrascosi, ma una volta messo piede all'interno della stanza non avevo sentito nient'altro che un leggero odore di spray per spolverare alla fragola.
«Siamo sicure di voler continuare con le domande? E se funzionassero davvero?» le chiesi, senza guardarla, fingendo di essere interessata nel lampadario fiorito che si stagliava sopra le nostre teste.
«Sarebbe un pensiero così orribile?» La sua voce era flebile e spaventata. Non potei fare a meno di arrossire, le guance e le orecchie improvvisamente rosse.
«Direi di sì. Sono fidanzata» le ricordaii.
«E sei diversa da me, non penserai mai a nessuno in quel modo, oltre al tuo ragazzo» constatò lei, ma non in tono cattivo, solamente come se fosse un dato di fatto che avrebbe dovuto rassicurarmi. «Non ci innamoreremo, te lo prometto.»
Avrei dovuto credere a quella promessa. Avrei dovuto voler credere a quella promessa.
«E questa volta faremo come dico io: tutte le domande noiose saranno saltate» continuò Dana. «Ecco, questa qui è carina: condividi con il tuo partner un momento imbarazzante della tua vita.»
La lasciai fare solamente perché, se non avessimo seguito il metodo preciso che era stato studiato appositamente per l'ordine delle domande, sicuramente non avrebbe funzionato. Non ci saremmo innamorate, era appurato dalla scienza di quel test.
«Ti ho già raccontato della volta in cui ho quasi vomitato addosso ad una bambina sconosciuta, non penso che ci sia cosa più imbarazzante di quella. Anche se, devo ammettere, sono molto brava a mettermi in imbarazzo» risposi io, contorcendo le dita dei piedi dentro le calze. Le diedi una piccola gomitata sul braccio. «Tocca a te, ora.»
«Ribatterò dicendo che la mia esperienza più imbarazzante è stata quando una bambina sconosciuta mi ha quasi vomitato addosso, allora.»
«Devi dire cose vere, non bugie» la ripresi io, dandole un'altra gomitata, questa volta più forte.
Dana ridacchiò. «Sto dicendo la verità, sei tu che non mi credi.»
Alzai il busto di scatto, guardandola dall'alto, mentre torreggiavo su di lei per la prima - e probabilmente ultima - volta nella mia vita. «Non stai dicendo sul serio! Perché non me lo hai detto quando te l'ho raccontato la prima volta? Sapevi sin dall'inizio che ero io la bimba che hai aiutato a ripulirsi?»
«Eravamo troppo piccole, non ti ho riconosciuta, onestamente avevo rimosso l'accaduto, ma quando ne hai iniziato a parlare mi è tornato tutto in mente» spiegò lei, un sorriso raggiante e le mani appoggiate dietro la testa, come se fosse a prendere il sole in una giornata estiva, sdraiata su un prato incolto, solo una coperta da picnic a dividerla dal terreno umidiccio.
Nascosi il viso fra le mani, mugugnando: «Okay, bene. Andrò a sotterrarmi. Hai per caso una pala qua in casa? Abbastanza grossa, mi piacerebbe fare in fretta.»
Sentii Dana ridere e stringere i miei avambracci con una presa salda. Mi aspettavo che avrebbe tolto la presa o che avrebbe cercato di liberare la mia faccia, invece mi trascinò giù, il suo corpo sotto il mio, mentre le sue mani si portavano dietro la mia schiena e continuava a sganasciarsi dalle risate.
Io ero scioccata da quel gesto, da come cinque minuti prima sembrasse voler smettere di esistere e in quel momento si era trasformata in un raggio di sole, ero scioccata dalla sua risata così cristallina che prima di allora non avevo mai sentito. Rideva così anche per gli altri, o era qualcosa riservato a me?
Il mio stomaco era tutto sottosopra, come se un banco di pesci avesse deciso di nuotare su e giù per il mio addome.
Avrei tanto voluto replicare con qualcosa di intelligente, qualcosa di divertente che l'avesse fatta ridere ancora di più, ma l'unica cosa su cui i miei pensieri riuscivano a concentrarsi era il battito veloce del suo cuore.

Like Rain ♡ {GIRLxGIRL}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora