CAPITOLO 21

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You must think that I'm stupid

You must think that I'm a fool
You must think that I'm new to this
But I have seen this all before
Sam Smith – Too Good At Goodbyes

Kristen oggi

Quando arrivo nell'ufficio di Edward, devo ancora avere la faccia stravolta perché la prima cosa che mi dice è: «Ti è successo qualcosa.»

La sua non è una domanda, è un'affermazione. Non volevo farmi vedere conciata in questo modo. Non mi va di fargli pena ulteriormente. Devo sembrargli così patetica e senza speranze. Vorrei averlo conosciuto in un altro momento della mia vita, sarebbe stato tutto talmente diverso che mi viene un groppo in gola. Sono sicura che il suo atteggiamento nei miei confronti sia dovuto solamente alla pena che prova per me. Non mi avrebbe degnata di uno sguardo se non fossi in questa situazione. Non gli sarebbe mai potuta piacere una ragazza insignificante come me.

«Nulla di grave», svio il discorso.

«Non si direbbe.»

Sono stanca di contraddire le persone oggi, perciò, opto per il silenzio, nella speranza che lui non faccia altre domande. Mi avvicino al lettino e mi lascio aiutare a salirci come sempre.

Istintivamente, inspiro il suo profumo. È così buono, così stranamente... simile ad un odore già presente nei miei ricordi. Cerco di seguire quest'aroma come un segugio, ma arrivo all'ennesimo vicolo cieco.

La testa mi pulsa improvvisamente. Succede ogni volta che cerco di concentrarmi più del dovuto su qualcosa che mi sembra di riconoscere. È come se il mio corpo mi proteggesse dal mio passato. Realizzo amaramente che anche io lotto contro me stessa e contro quello che non ricordo. Più mi sforzo, più il mio fisico mi lancia segnali inequivocabili che c'è qualcosa di più doloroso nascosto in qualche angolo recondito del mio cervello.

«Allora vuoi dirmi cosa è successo?»

L'insistenza di Edward mi riporta nel suo ufficio. Ha iniziato a massaggiarmi le gambe e non me ne sono neppure resa conto. Alzo gli occhi al cielo e sbuffo rumorosamente. Non ho davvero voglia di parlare.

Lo vedo sorridere nonostante sia stata piuttosto sgarbata. Gli compare una fossetta profonda su una guancia a cui non avevo ancora fatto caso. Cerco, però, di non farmi distrarre dalla sua bellezza e sbotto: «Io davvero non capisco il tuo atteggiamento nei miei confronti. Sei così con tutte le tue pazienti?»

Lui si ferma e il sorriso svanisce dal suo viso. Mi pento di essere stata troppo cruda e cattiva nel giudicarlo. Mi mordo il labbro nel completo imbarazzo.

«Sei la prima paziente che seguo da solo, se questo può rassicurarti. Ma se il mio atteggiamento – rimarca la stessa parola che ho utilizzato – ti crea problemi, posso chiedere alla dottoressa Peters che sia solo lei a seguirti.»

Si allontana da me e si affaccia alla finestra. Il suo tocco mi manca immediatamente. L'idea di non vederlo mai più, di non sentire più le sue mani su di me, mi butta in un precipizio di sconforto che mi toglie il respiro.

Non lo conosco bene, anzi non lo conosco proprio, eppure passare il tempo con lui mi fa bene, mi fa sentire meglio. Con ogni probabilità, la realtà dei fatti è che oggi mi sento abbandonata da tutti e la paura di rimanere completamente sola, mi fa pensare che anche lui sia fondamentale nella mia vita.

«Mi dispiace. È solo una brutta giornata. Me la sto prendendo con te ma tu non hai colpe. Scusa», ammetto sinceramente.

Ci mette un po' e sembra non credere del tutto alle mie parole, come se sapesse che sono solo di circostanza. Ho la strana impressione che sappia leggermi come nessuno riesce. Il modo in cui mi guarda è diverso, intenso e va oltre un semplice sguardo. Va oltre quello che c'è fuori. Si immerge nei miei occhi, nei miei sguardi, in me.

AMNESIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora