II. Vicoli bui.

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Corsi fino a perdere il fiato, cercai di allontanarmi il più possibile da casa. Controllai l'ora: 10:50 pm.
Se avessi corso abbastanza veloce forse sarei riuscito a prendere l'ultimo autobus, quello notturno.
Non mi veniva nient'altro in mente.
La cittadina era piccola, ovunque mi fossi nascosto mi avrebbero trovato.

Arrivai alla fermata, non c'era nessuno. Faceva freddo, l'aria usciva dalla mia bocca con fatica e si trasformava in tante nuvolette bianche.
Ero ancora vivo.
Tirai su il cappuccio della felpa.
Avevo con me l'orologio, qualche spicciolo ed il telefono, che però non sarebbe servito a nulla: non potevo chiamare nessuno dei miei parenti, non mi avrebbero aiutato.

Notai che i calzini erano già sporchi e strappati.
Presi il pacco di fazzoletti che fortunatamente avevo in tasca e cercai di asciugare come potevo il sangue che sentivo scorrere sul mio viso. Nonostante la corsa, fortunatamente, il flusso si era momentaneamente fermato.

Il tempo sembrava essersi fermato quando improvvisamente, in lontananza, intravidi il bus.
Si fermò e sentii tanto calore provenire da esso.
Le porte si aprirono e, con sguardo basso, salii.
L'autista non fece domande e mi guardò con fare indifferente: doveva essere abituato ad incontrare gente strana. Mi diede il biglietto, che pagai con quel poco che avevo in tasca.
Sull'autobus non c'era nessuno, d'altronde chi andava in giro a quest'ora in autunno inoltrato?

Il viaggio sarebbe stato lungo quindi dopo un'ora l'autista si fermò presso un'area di servizio. Mi disse che ci saremmo fermati lì per dieci minuti. Lo ringraziai e scesi.

Mi avviai verso i bagni i quali, fortunatamente per i miei piedi, erano abbastanza puliti.
Abbassai il cappuccio e mi guardai allo specchio.
Ero irriconoscibile.
La faccia gonfia e rossa, l'occhio tumefatto, il labbro e la fronte spaccata. Rivoli di sangue ormai asciutto tracciavano delle linee parallele sul mio volto.
Facevo paura.

Cercai di chinarmi per lavarmi la faccia ma sentii di colpo un dolore lancinante alle costole. Fortunatamente c'era della carta igienica: ne strappai a sufficienza, la imbevvi d'acqua e cominciai a pulirmi il viso come riuscii.
Avrei dovuto andare in ospedale.
Non potevo, essendo minorenne avrebbero dovuto chiamare i miei genitori. Non potevo rischiare.
Mi avviai di nuovo verso l'autobus.
Avevo fame.

Il conducente era lì davanti, che fumava una sigaretta. Nonostante avessi alzato di nuovo il cappuccio, aveva iniziato a fissarmi cercando i miei occhi.

"Stai bene?" mi chiese.

"Sì, signore" mentii.

Mi porse un pacchetto.
"Avevo comprato un panino in più per me e dell'acqua ma sono già sazio. Prendilo tu"

Lo ringraziai.
Rimasi a fissare il pacchetto tra le mie mani: esisteva tanta brava gente a questo mondo.

"Puoi mangiarlo sul bus, non preoccuparti. Adesso ripartiamo" disse gettando il mozzicone di sigaretta a terra.

Una volta risalito, divorai il panino che mi era stato dato in dono, bevvi un po' d'acqua e caddi in un sonno profondo.

Era ancora buio quando mi svegliai.
Il panorama che prese forma davanti ai miei occhi assonnati era quello di una grande città, piena di edifici e grattacieli. Lo smog aleggiava nell'aria mischiandosi al fumo dei riscaldamenti: New York.

Il capolinea era la stazione. Quando il mezzo si fermò salutai in modo educato il conducente e i miei occhi furono incantati da tutte quelle luci. Non ero mai uscito dalla mia piccola cittadina, era così strano vedere palazzi tanto alti, ma soprattutto, così tanto bagliore.
Cominciai a camminare senza una meta, saranno state le tre del mattino.

Un ragazzino di soli sedici anni che vagava scalzo in una grande città, tutta da esplorare, nel bel mezzo della notte.

Se non fossi stato conciato in quel modo avrebbe anche potuto essere la trama di un libro interessante.

Camminai molto, cercai di seguire le strade più buie nel tentativo di trovare un posticino in cui avrei potuto nascondermi.

Per quella via c'erano alcuni negozietti dall'insegna sbiadita, la cui entrata era bloccata da dei senzatetto che dormivano avvolti in decine di strati di coperte. Avevo freddo, cercai di avvicinarmi e sedermi vicino a loro per riposare un po'.
Riuscii a riposare solo per una mezz'oretta, appoggiato al muro.

Con tono infastidito l'uomo che si era appena svegliato mi urlò:"Hey, che ci fai qui?! Via dalla mia zona!"

Impaurito mi alzai di scatto, sentii di nuovo dolore alle costole e per poco non mi accasciai a terra.

"Hey amico cos'hai?! Devi andartene hai capito? È inutile che provi a fare l'indifeso con me, devi sparire da qui!"

Con fatica mi alzai e ricominciai a camminare. Trovai finalmente un vicoletto che sembrava desolato, dove avrei potuto fermarmi a riposare. Bevvi un po' d'acqua dalla bottiglietta e improvvisamente iniziai a realizzare tutto ciò che mi era accaduto.

Le lacrime cominciarono a farsi strada nel mio volto senza che me ne rendessi conto.
Non provavo paura, non sentivo più l'ansia che fino a qualche ora prima mi stava divorando.
Ero solo triste. Triste per tutto quello che era successo. Triste perché la mia vita era stata sconvolta per un semplice bacio e per colpa di quel "migliore amico" che avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa.
Iniziai a singhiozzare senza accorgermene.

Che fine avrei fatto? Ero minorenne, non potevo sparire per sempre. Avrebbero denunciato la mia scomparsa alla polizia? Mi avrebbero trovato? E se fossi andato io a denunciare ciò che era accaduto? No. Nessuno mi avrebbe creduto. Mi avrebbero sicuramente rispedito a casa.

Mi faceva male tutto e non avevo medicine con me.
Fortunatamente ero stato abbastanza furbo da prendere diversi strappi di carta alla stazione di servizio, mi sarebbero tornati utili forse.

Il mio flusso di pensieri venne interrotto dall'incedere tranquillo di alcuni passi.

"Sono stanca" sentii in lontananza.

Era la voce di una ragazza.

"Lo so, ma cos'altro potremmo fare? È questa la nostra vita ormai, è questo che è stato deciso per noi." rispose un'altra.

"Chi l'ha deciso? Chi ha deciso che dev'essere ormai tutto così?"

Le voci si avvicinavano.

"Amy lo so ma per adesso dobbiamo semplicemente andare avanti. Lo sai che io ci sono sempre per te e cercherò di aiutarti in qualunque modo."

"Pensiamo a tornare a casa per ora, ho davvero bisogno di dormire" disse con tono affranto la prima ragazza.

Le voci delle due donne si avvicinavano sempre di più. Si stavano dirigendo verso l'uscita del vicolo, dove mi trovavo.

Io continuavo a singhiozzare e piangere, non riuscivo a contenere quegli spasmi.

Si fermarono di fronte a me quando si accorsero della mia presenza.

"Amy dobbiamo andare a casa, è tardi..." disse la seconda ragazza.

"Come ti chiami?" chiese la ragazza di nome Amy.

Alzai la fronte dalle mie ginocchia. Riuscii ad interrompere per un attimo lo scorrere delle lacrime e rivolsi loro il mio sguardo. Erano due ragazze di colore, indossavano una tuta ed erano molto belle. Avranno avuto una trentina d'anni ma il trucco marcato le faceva sembrare più giovani.

Aprii la bocca ed insieme alla mia voce rauca uscì, ancora una volta, una nuvoletta di fumo bianco quasi invisibile a causa della penombra.

"Felix" risposi.

Black petals of a Blue rose - MAXIDENTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora