V. Soffitto bianco

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Il mattino seguente mi risvegliai improvvisamente. Tuttavia ciò non fu dato da alcun suono o rumore e nemmeno da sogni o incubi strani.
Quella notte non avevo sognato nulla.

Provai ad aprire gli occhi ma quello destro doveva essere diventato talmente gonfio che dal solo provarci scaturì un forte dolore.

Provai a mettermi seduto sul letto.
La sofferenza era moltiplicata per cento volte rispetto alla sera precedente.

Quando riuscii a stabilizzarmi in una posizione più o meno comoda, sollevai l'orlo della maglietta.
Avevo l'addome pieno di tanti lividi di diverso colore e dimensioni.
A tratti riusciva difficoltoso persino respirare.

Cercai di usare tutte le forze: mi alzai dal letto ed uscii dalla stanza avviandomi verso il bagno.
Quasi non riuscivo a reggermi in piedi.

Mi avvicinai allo specchio e misi a fuoco il mio riflesso: anche il viso era peggiorato. I lividi avevano iniziato a diventare più scuri e il gonfiore sembrava essere aumentato.
Fortunatamente almeno i tagli sembravano essersi cicatrizzati.

Mi diressi verso le scale. Poggiandomi al corrimano di legno, lentamente, scesi i pochi gradini che separavano i due piani.

Trovai Amy sdraiata sul divano intenta a leggere un libro.
Aveva le cuffiette alle orecchie e stava sorseggiando del caffè da una tazza piuttosto grande.

Non appena mi vide sul suo volto apparve un'espressione preoccupata. Mise giù il libro, tirò via le cuffiette e si sedette composta.

"Buongiorno" dissi timidamente

"Buongiorno a te... come ti senti?" chiese.

"Fa tutto malissimo" risposi con sincerità.

"Siediti pure" disse indicando il posto accanto a sé.
Feci lentamente come chiesto. Sentivo il dolore pulsare.

"Hai la faccia ridotta davvero male... fammi prendere del ghiaccio" si avviò verso il freezer.
Avvolse il sacchetto con il ghiaccio in un panno e me lo passò.
"Ti preparo qualcosa da mangiare..." disse poi avvicinandosi al piano cottura.
"Uova strapazzate e toast vanno bene?" domandò dopo poco.

"Sì, ti ringrazio" risposi

Iniziò ad armeggiare con le padelle.
"Senti dolore anche altrove?" chiese.

"Sono pieno di lividi, riesco a muovermi a stento e anche respirare è difficile" confessai.

"Dovrei portarti da un dottore..."

"Tranquilla, non è necessario" tentai di rassicurarla.

"Non dovresti essere tu a stabilire se sia necessario o meno. Ti ho accolto in casa mia, consapevole di quello che ti è accaduto: prendermi cura di te è il minimo." disse con fermezza.

"Posso chiederti una cosa?" le dissi dopo qualche attimo di silenzio.

"Dimmi pure" rispose la ragazza.

"Intendi davvero nascondermi in casa tua? Sei sicura del fatto che non te ne pentirai?"

"Lo sono. Non ho bisogno di avere sulla coscienza la vita di un ragazzino come te. Se ti fossi visto ieri sera, neanche tu avresti lasciato correre. Finché vorrai potrai restare qui, per me non è un problema"

Era davvero strano. Non riuscivo a capire perché mi avesse accolto con tanta leggerezza.
Che avesse in mente qualcosa di strano? E se avesse avuto cattive intenzioni? E se avesse aspettato che qualcuno mettesse una ricompensa sulla mia testa e mi avesse consegnato alla polizia?
Volevo fidarmi di lei?
Potevo davvero fidarmi di lei?

Black petals of a Blue rose - MAXIDENTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora