XIX. Bilico- Attesa

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Quella notte, come tante altre, non chiusi occhio.

Mi appoggiai con la schiena contro il muro continuando a piangere.

Controllavo nervosamente l'orario sullo schermo del cellulare. Non aspettavo altro se non che facesse giorno e che potessi recarmi nella struttura in cui avevano ricoverato Amy, non appena mi sarebbe stato comunicato.

Tra mille pensieri che ormai non ricordo più, il tempo trascorse e furono le sette del mattino.

Il sole sorse poco dopo.

Salii verso il piano superiore e ricordai di non aver mosso un dito dopo che i soccorsi erano andati via.
La macchia di sangue era ancora sul pavimento, aveva cominciato ad asciugarsi: sarebbe stato difficile rimuoverla.

Presi un secchio e diversi panni, li bagnai con acqua calda e del detersivo cominciando a strofinare con energia le piastrelle fredde del pavimento.

Cosa mi passava per la testa? Non lo sapevo neppure io. Ricordo solo che era tutto annebbiato, senza senso, non avevo fame, né sonno, né sete.
Eppure faceva tutto male: la schiena, le dita, le braccia, lo stomaco, la testa e gli occhi.
Ma quello che faceva più male era il petto.

Strofinai, strofinai fino a togliere qualsiasi traccia, sciacquando e strizzando di tanto in tanto il panno nel secchio.

Una volta finito mi alzai.

Il riflesso sullo specchio era terribile.

Avevo la faccia sporca di tracce di sangue, ormai secco.

La pelle pallida e le occhiaie marcate.
Era una vista a cui ormai mi ero abituato.

Sciacquai con energia il viso e decisi di fare un bagno.

Avrei dovuto continuare a fare le solite cose, Amy sarebbe tornata e sarebbe stato triste se avesse trovato la casa a soqquadro solo perché io mi ero fatto prendere un po' dal panico.

Dovevo smetterla, dovevo decisamente smetterla. Era semplicemente un comportamento da bambini il mio, ed io non lo ero più già da tempo.

Alle 7:47 ricevetti un messaggio.
Vi erano le informazioni relative alla struttura in cui avevano portato Amy, tra cui anche gli orari di visita.
Tra i messaggi recenti ce n'era anche uno di Shaila.

Uscii di casa, dopo aver bevuto l'americano che avevo in fretta preparato.
Camminai a passo svelto, anche se mi sentivo stanco.
Lungo la strada telefonai alla ragazza. Non l'avevo ancora avvisata dell'accaduto.
Mi disse che si era insospettita nel non aver ricevuto il messaggio di buonanotte da parte di Amy ma anche che aveva pensato si fosse semplicemente addormentata.
Le dissi di starmi recando in ospedale e che le avrei fatto avere maggiori informazioni. Era scossa, forse in quel momento persino più di me.

Non ricordo molto altro, la mia testa era una nebbia e faceva male.

Giunsi nei pressi dell'ospedale, seguendo le indicazioni inviatemi.
Quando però entrai e mi recai alla reception, chiedendo informazioni di Amy, il receptionist mi disse che era stata trasferita in una clinica specializzata. Che l'avessero portata nuovamente al St. Patrick?
Domandai e mi chiese di aspettare, controllando sul computer.
Attesi per diversi minuti e quando si rivolse di nuovo a me mi disse che i dati non erano ancora stati aggiornati sul database e che non sapesse darmi indicazioni.
Mi suggerì di non restare lì ad aspettare, piuttosto di tornare a casa e chiamare nel primo pomeriggio per avere novità.

Rassegnato rientrai.
Non avevo nemmeno la forza di salire le scale. Dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua crollai sul divano.
Dormii per chissà quante ore.

Venni svegliato da una chiamata.
Era tutto buio e, prendendo il telefono dalla tasca, venni accecato dalla luce dello schermo.
Era Dave.
Risposi.

"Pronto?"

"Felix tutto bene? Che fine hai fatto?"

Controllai l'orario, avrei dovuto essere al locale già da un'ora.

Cercai di alzarmi mettendomi seduto, la testa ancora in confusione.

"Amy, ieri... stanotte è stata portata in ospedale... ha avuto un arresto cardiaco"

Dovevo essere in vivavoce perché sentii anche Sasha sussultare.

"Sta bene? Tu stai bene?"

"Non lo so. Avrei dovuto chiamare l'ospedale dopo pranzo ma mi sono addormentato sul divano, stanotte non ho chiuso occhio."

"Resta a casa per oggi, qui ci pensiamo noi e aggiornaci sulla situazione"

"Va bene..."

"Felix."

"Sì?"

"Prenditi cura di te: dormi, mangia. Amy ha bisogno di te. Vedi di riposare"

"Ci provo" dissi sospirando.

"Aspetto notizie. Chiudo."

"Okay, a dopo" dissi riattaccando.

Erano le dieci di sera. Chissà se mi avrebbero risposto...

Provai a chiamare l'ospedale ma nulla.

Avrei provato il giorno successivo.

Quella sera cercai di mettere in ordine la casa, lavare alcuni panni e provare a mangiare qualcosa che non fosse cibo confezionato.
Avevo fame, tantissima, eppure l'idea di mettere in bocca qualsiasi cosa mi dava la nausea. Non avevo appetito.

Preparai del riso in bianco, forzandomi di mangiarne quanto più riuscissi. Sarei crollato se non avessi messo niente sotto i denti.

Una volta lavate le stoviglie che avevo usato salii al piano superiore e mi buttai a letto.

Mi addormentai dopo alcuni minuti.

Il giorno seguente mi svegliai verso le undici del mattino.
Presi subito in mano il cellulare controllando le notifiche: niente di rilevante.

Digitai il numero della reception ed attesi a lungo in chiamata.
Mi rispose lo stesso ragazzo del giorno precedente.
Gli dissi che non ero riuscito a richiamare, mi disse di non preoccuparmi.

Cercò per alcuni minuti, mettendo la mia chiamata in attesa. Odiavo quelle stupide musichette che trasmettevano, erano orrende e la qualità audio persino peggio delle melodie.

Quando sentii di nuovo la sua voce mi confermò che Amy fosse stata trasferita alla clinica St. Patrick.

Ringraziai e riattaccai la telefonata.

Scesi dal letto, indossai una maglietta a caso e dei pantaloni di una tuta grigia ed uscii di casa.

Black petals of a Blue rose - MAXIDENTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora