XLI. Rondine

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Passeggiavo per le solite strette vie poco trafficate.
Lì c'era silenzio ed i rumori della città erano così lontani da essere udibili appena se ci si soffermava ad ascoltare con attenzione.
Tornavo dal bar, Amy mi aveva chiesto di passare in panetteria a prendere delle baguettes calde che avremmo accompagnato alla cena.

Il sole stava per tramontare ma c'era ancora tanta luce.
Nuvoloni neri si radunavano nel cielo azzurrino, preparando un temporale estivo, probabilmente per il giorno successivo.

La panetteria era quasi sempre aperta, persino con quel caldo torrido.
Questo perché la clientela maggiore si aveva proprio quando le persone tornavano da lavoro, a mezzogiorno e in prossimità della sera.
Non c'era molta confusione, era ancora abbastanza vuota dentro, e sul bancone erano rimaste poco più di una cinquantina di baguettes.
L'aria profumava di pane appena sfornato e la ragazza al bancone fu gentile come sempre.
Salutai, augurandole una buona serata e lei fece altrettanto.

Camminavo, cercando di godermi la tranquillità di quella passeggiata e di non pensare ad altro, tenendo tra le braccia il pane caldo.

Sentii uno sfarfallio.
Mi voltai, per assicurarmi di non essermi sbagliato.
Nella strada non c'era nulla, né dietro né davanti a me.
Feci per proseguire ma lo sentii di nuovo.

Notai che in un piccolo angolo riparato c'era qualcosa che si muoveva.
Mi avvicinai.

Una rondine cercava di battere le ali mentre, spaventata, tentava con le zampette di fuggire da me rifugiandosi in quell'angolino.
Era tutta nera.
La contemplai per secondi, forse minuti.
Cosa avrei potuto fare per aiutarla?
Cosa avrei potuto fare per salvarla?

E nulla mi veniva in mente.
Presto smise di agitarsi.
Per un attimo pensai fosse morta, ma notai che la sua ala sinistra si muoveva ancora debolmente, al ritmo del suo flebile respiro.

Non avrei saputo cosa fare se l'avessi presa, come prendermi cura di lei né come guarire le sue ferite, se ne aveva.

Me lo chiesi più volte.
Cosa potevo fare per lei?
Nulla, fu la risposta.

Restai ancora ad osservarla, attendendo che nella mia mente facesse capolino un'idea.
Ma nulla arrivò.

Controllai l'orario sullo schermo del telefono: era già tardi.
Avrei dovuto fare in fretta per l'appuntamento di quella sera.

Controvoglia mi avviai verso casa.
Mi dispiaceva per quella piccola creatura.
La mente si dispiaceva.
Il cuore era vuoto e non provava nulla.

E di quel lungo giorno ricordo proprio il vuoto.

Quella sera mi aspettavano nell'appartamento due donne, anche abbastanza giovani.
Forse in altre situazioni le avrei anche trovate attraenti, in quei loro completini di seta scura.
Invece fu difficile.
Fu difficile sopportare il nulla.

Fu difficile spogliarsi.
Fu difficile venire travolto da due corpi e dalla loro insistenza.
Fu difficile tollerare i morsi, i graffi che mi lasciavano.
Fu difficile sopportare i polsi legati che facevano male.
Fu difficile tollerare tutto quello e ancor più difficile fu non sentire nulla, neanche un po' di dolore, di sofferenza, di tristezza dentro di me.
Assolutamente nulla.
Il vuoto totale.

Di quella notte ricordo anche quanto fu difficile salire quei pochi gradini davanti casa e di come crollai sull'ingresso subito dopo essermi chiuso il portone alle spalle.

Non avevo più energia sulle gambe e avevo male ovunque.
Ricordo la fatica nel salire ogni gradino verso il bagno.

Ricordo i pensieri che sovvennero alla mente quando, lentamente, mi spogliai, osservando allo specchio le ferite che mi erano state lasciate.

Ero pieno di segni orribili di diverso colore lungo tutta la pelle tormentata.
Li avevo sul collo, sul petto sulle spalle e persino sulle braccia.
E l'unica emozione che provai quel giorno fu il disgusto, dato da quella vista.

Riempii la vasca di acqua calda e mi ci immersi.

Per un attimo mi sembrò che tutta quella fatica e sofferenza fossero state lavate via.
Ancora una volta mi ritrovavo a fissare il soffitto del bagno pensando al nulla, spostando lentamente con le mani il liquido trasparente che riempiva la vasca.

Mi divertiva tenere le mani a pelo d'acqua e sentire la resistenza che questa aveva contro la mia mano.
Se la immergevo e poi cercavo di uscirne fuori lentamente potevo sentirla appigliarsi alle mie dita come se volesse che restassi immerso in essa.
Era molto rilassante.

La mia mente però venne riportata ai brutti pensieri.

Vedevo il mio corpo in modo diverso.
Era ormai diventato un oggetto, un mezzo per ottenere ciò di cui avevo bisogno, qualcosa che mi permetteva di procurare piacere agli altri e di avere un potere su di loro... anche se questa era solo un'illusione ed in realtà ero io a venir controllato dal denaro.

Il mio corpo non era più mio. L'avevo venduto in cambio delle cure per Amy e adesso chi lo possedeva lo cedeva a destra e a manca per farne soldi.

Corina mi aveva detto che avrei potuto scegliere la mia clientela. Ma era davvero così? Avevo così paura di dire di no, avevo così paura di essere minacciato da Pedro se l'avessi fatto. In fondo forse una scelta non l'avevo.

Non potevo scegliere la persona con cui condividere me stesso, mi veniva imposta, che mi piacesse o meno.
Dovevo soddisfare tutte le richieste e assecondare tutte le voglie.
Era difficile non crollare, non scoppiare in lacrime, non cominciare ad urlare.
Cercavo di non pensare all'unica cosa che forse mi avrebbe dato sollievo: farla finita.
Amy aveva bisogno di me, chissà cosa le avrebbero fatto se fossi sfuggito a quell'obbligo.
Non potevo.
Avevo accettato io una cosa del genere ed erano mie responsabilità e dovere di portarla a termine.

I miei capelli davano fastidio quando erano slegati, specialmente se bagnati. Eppure era l'unica cosa che di quel corpo gracile e debole amavo ancora. Forse perché era l'unica cosa che mi era concesso controllare.

Avrei tanto voluto affidare il mio corpo a qualcuno che se ne prendesse cura, a qualcuno che lo amasse e che lo rispettasse. Volevo divertirmi, innamorarmi, amare, essere coccolato, fare l'amore ed essere felice. Volevo semplicemente vivere come qualsiasi ragazzo della mia età.

Ma tutto questo mi era stato negato.

I giorni andavano ormai così: quelli tranquilli e spensierati si alternavano a quelli difficili e faticosi, in un misto di leggerezza e infinita pressione.

Quella notte mi accoccolai tra le coperte.
Pur ripensando a tutto quello che avevo vissuto quella sera, non una singola lacrima bagnò il cuscino.
Non accadde più per molto tempo.

Due giorni dopo tornai in quella via.
La rondine non era più lì.

Black petals of a Blue rose - MAXIDENTDove le storie prendono vita. Scoprilo ora