Capitolo 2 - Dubbi e certezze

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«Elle?» continuò a domandarmi imperterrito «sei tu?».

Non so per quanto rimasi in silenzio a guardarlo, ma, il tempo sembrò improvvisamente dilatarsi.

Tuttavia, malgrado io non proferissi parola, lui non smise per un secondo di pormi quel quesito.

Quasi iniziai a credere, alla millesima volta che lo sentii pronunciare, che quello fosse realmente il mio nome.

«Ehi, senti, non so chi sia questa prostituta da quattro soldi, ma o ti allontani subito da noi o chiamo la polizia» Allison gridò molto più di quanto quella situazione richiedesse.

La stazione, anche se chiassosa e gremita di tante persone, sembrò quasi mettere in stand-by tutte le sue attività per concentrarsi su di noi.

«Elle, devi essere tu... quegli occhi, sono i suoi occhi... e quella cicatrice poi, è inconfondibile» continuò a parlare confuso e io non capii quasi nulla di quello che mi stesse dicendo. Mi toccai per riflesso il piccolo segnetto che da sempre mi ornava la fronte.

Mia madre mi aveva ripetuto molte volte di non ricordare esattamente con quale delle mie tante cadute io me lo fossi procurato, anche se ciò mi era sempre sembrato bizzarro, considerando quanto lei fosse una maniaca della perfezione. Infatti, non avrebbe mai potuto farmi mettere dei punti così male da lasciarmi una cicatrice deturpante sul viso.

«Non te lo ricorderai mai ma, quando avevi un anno appena, sei caduta tra le mie braccia mentre tentavo di portarti al piano di sopra. Ti hanno dovuto mettere tre punti e hai pianto per giorni... non mi sono mai sentito tanto in colpa per qualcosa come in quell'occasione» sospirò, trattenendo a fatica le lacrime.

Era impensabile vedere un omone grande e grosso come lui, con il 90% del corpo tatuato e con l'aspetto da galeotto, comportarsi così senza ragione.

Sapevo benissimo che avrei dovuto fermarlo in qualche modo, eppure, continuai a sbattere le palpebre senza trovare un qualcosa di valido da dire. Alla fine, mi arresi e fui costretta a replicare, sebbene nel profondo un po' mi dispiacesse.

«Non so chi cazzo sia Elle, ma io mi chiamo Sophia e, se non ti allontani immediatamente, sarò costretta ad avvertire la sicurezza» tuonai, ripescando il più odioso dei miei toni, quello che mia madre mi aveva insegnato a utilizzare per dimostrare la mia superiorità agli altri.

I suoi occhi furono trapassati da un'ombra rapida, poi, si volse, celandomi le sue iridi, in direzione dei suoi amici, i quali iniziarono a chiamarlo a squarciagola.

«Eliot sbrigati, non puoi cercare di farti tutte le ragazze del globo! Ormai è tardi!» una delle loro voci giunse alle mie orecchie meglio delle altre e, non appena la udii, rivolsi a quel ragazzo un'occhiataccia carica di disprezzo.

Che modo bizzarro per provarci con una donna, pensai tra me e me.

«Sono Mike, Elle, so che non puoi riconoscermi... ma sono tuo fratello» continuò ancora nel suo monologo, non tenendo conto né delle mie parole né degli schiamazzi dei suoi compagni di viaggio.

«Ti ho già detto che non so chi sia Elle, mi stai facendo perdere la pazienza!» mi alzai in piedi, avvicinandomi a pochi centimetri dal suo volto.

«C'è qualche problema?» una voce maschile si interpose tra noi. Lo pseudo fidanzato di Allison e un suo amico si posizionarono a braccia conserte nel mezzo, facendo guizzare i muscoli. Aspettavano soltanto un mio cenno per occuparsene.

Feccia per feccia sarebbe stato uno scontro da non perdersi.

Fu Mike, però, ad abbandonare il campo di battaglia per primo. Scosse la testa come a risvegliarsi da un incubo, o forse da un sogno che era stato fin troppo bello e, poi, in un lampo, iniziò a correre verso l'autobus, lasciando un vuoto davanti al mio viso che sentii fin dentro le viscere.

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