Capitolo 19 - In luce, Chris

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Per la strada verso il motel, Mike cominciò a sentirsi poco bene.

Arrancò, aggrappato alla mia spalla, facendosi trascinare come un cadavere.

Non riuscii a spiegarmi quali dolori lo affliggessero, ma non mi fu difficile capirlo quando, non appena arrivati nella nostra camera, lui fuggi a gambe levate verso il bagno.

Nelle successive due ore controllai periodicamente il suo stato di salute, preoccupandomi fin troppo per lui. Chris non perse occasione di prenderlo in giro per il male che lo affliggeva, causando l'ilarità di Lot, ma non la mia.

Era strano rendersi conto di quanto timore potessi provare solo per una banale influenza gastrointestinale.

Come sarei stata se gli fosse accaduto qualcosa di più grave?

Mi offrii più volte di rimanere con lui. Avrei saltato volentieri la cena pur di potergli stare accanto. Tuttavia Mike, sapendo quante ore fossero passate dall'ultima volta in cui eravamo riusciti a consumare un pasto caldo, ci pregò di uscire senza di lui, così da avere ulteriore campo libero nell'utilizzo dei sanitari.

Dopo minuti di tentennamento anche gli altri mi obbligarono a seguirli; perciò, alla fine, decidemmo di camminare una decina di minuti per raggiungere l'unico pub presente nella piccola cittadina.

Ci accomodammo al peggior tavolo di tutto il locale, a metà tra il bagno degli uomini e quello delle donne. Uno strano tanfo mi costrinse a rimanere per gran parte del pasto con una mano appoggiata sul naso.

Non parlammo molto e in verità non seppi spiegarmi il perché. Sia Chris che Lot sembrarono assorti nei loro pensieri, più di quanto non lo fossi io stessa.

Mi sentii improvvisamente agitata al pensiero che l'indomani avremmo raggiunto Seattle. In effetti, Lisa e Lena erano le uniche due Robertson ad aver vissuto sempre insieme, senza mai essere separate. Quello, però, ai miei occhi aveva iniziato a figurarsi come un qualcosa di negativo. Di solito le ragazze mi odiavano e avevo difficoltà a fare amicizia con persone del mio stesso sesso, Allison esclusa; pertanto, immaginai che sarebbe stato lo stesso con le mie due sorelle. Anzi, nel peggiore dei casi, mi sembrò di vederle lì in piedi, davanti a me, con sguardo giudicante, mentre parlavano tra loro in un linguaggio segreto che io non avrei mai potuto comprendere.

A dir la verità in quel frangente credetti che il male che stava affliggendo Mike si fosse spostato su di me, perché mi parve di sentire il mio intestino contorcersi su se stesso. Fortunatamente fu soltanto un'impressione e potei continuare a godermi senza altre preoccupazioni di quella tipologia la nostra cena in totale silenzio.

La prima a parlare, dopo un quantitativo non precisato di tempo, fu Lot.

«Esco un po' fuori per videochiamare il mio fidanzato... se volete ordinare qualcosa da bere fate pure, io non ho granché voglia di ubriacarmi stasera» se ne uscì così, come se qualcuno glielo avesse chiesto.

Io e Chris scrollammo le spalle all'unisono e la seguimmo con lo sguardo per tutto il tragitto dal posto che occupavamo alla porta che l'avrebbe portata all'esterno.

«Tutto bene?» presi coraggio e glielo domandai. Era dalla sera precedente che mi sembrava avesse un atteggiamento strano.

«Sono soltanto pensieroso» tagliò corto, invitando il cameriere a raggiungerci per ordinare un drink.

«Un Mojito e un...» lasciò in sospeso, aspettando che io completassi la sua frase.

«Un Long Island» aggiunsi.

«Cosa ti preoccupa?» non appena fummo nuovamente soli, cercai di indagare sul suo stato d'animo.

«Il mio esame di ammissione a legge e la mia laurea» ancora una volta mi diede poche informazioni, sperando che il mio interesse per la sua improvvisa inquietudine potesse cessare senza troppi fastidi.

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