Capitolo 37 - Anche se lo diciamo a noi stessi (E&B)

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CONTINUA...

Il giorno seguente Bob non si presentò al nostro appuntamento quotidiano.

Rimasi ad aspettarlo molto oltre il suono della campanella, ma purtroppo di lui non vidi neppure l'ombra.

Non so perché mi fossi recata nel nostro posto, considerando che, dopo quello che mi aveva confessato, avevo capito sempre di più quanto io dovessi stargli alla larga. Eppure, per quanto continuassi a ripetermi che una ragazza di buona famiglia come me non potesse stare con un Weiss, non avevo mai smesso di pensare a lui e al modo in cui mi aveva fatta sentire.

Persino il pomeriggio seguente al nostro incontro, alla Grace Academy, fui costretta a subire le bastonate di Miss Havisham molto più spesso del solito, perché continuamente distratta a osservare i volti dei passanti al di là della vetrina. Quanto speravo di vedere i suoi capelli castani con quelle particolari striature dorate e quei due occhi profondi di un colore indefinito che a tratti sembrava azzurro e che ad altri si rivelava più simile a un verde.

Dovettero passare tre giorni prima che io riuscissi nuovamente a ritrovarmelo abbastanza vicino da poter notare qualche altro particolare nascosto del suo aspetto.

Non sapevo cosa gli fosse accaduto dall'ultima volta che eravamo stati insieme, ma c'era qualcosa nel suo sguardo che pareva diverso.

Un'ombra oscura aveva cancellato la serenità che le sue iridi erano capaci di donarmi.

Lo seguii come una maniaca per tutto il corridoio della Dalton e, quando notai come tutti si fossero dileguati dopo l'inizio all'ultima ora, decisi che era il momento giusto per agire.

Mi sarei messa nei guai a non partecipare alla lezione di spagnolo, ma avrei trovato una scusa con l'insegnante che potesse evitare che i miei genitori potessero scoprirlo.

Per quella ragione, sicura di farla franca, spinsi il corpo robusto di Bob nell'unica aula chiusa al pubblico.

Appoggiai entrambe le mani sulle sue spalle e, con un colpo secco, lo costrinsi a entrare. Riuscii nel mio intento solo perché lui era talmente sovrappensiero che non ebbe il tempo di capire cosa stesse accadendo.

Purtroppo per me, non calcolai quanto metterlo in una situazione così potenzialmente spaventosa potesse portarlo a reagire male.

Pertanto, mi ritrovai immediatamente spinta contro la lavagna di grafite con un braccio stretto al collo e con l'altro pronto a colpirmi.

Quando si rese conto che ero io, si affrettò a lasciarmi libera, rivolgendomi uno sguardo altrettanto spaventato.

«N-non volevo» mi scusai, portando due mani all'altezza della giugulare.

Cazzo, quanto era stato doloroso.

«Stai bene?» mi chiese trafelato, spostando i miei palmi per assicurarsi che non mi avesse fatto del male.

Annuii, cercando di sorridergli, malgrado stessi morendo dentro dal dolore.

«Non devi mai arrivare alle spalle di nessuno in questo modo... soprattutto di chi vive in una famiglia come la mia» mi accarezzò, facendo aderire i polpastrelli alla mia pelle improvvisamente bollente.

«Non era mia intenzione... solo che non sapevo come convincerti a parlarmi» cercai i suoi occhi, così diversi rispetto alla prima volta in cui li avevo visti.

«Bastava che mi venissi vicino e mi dicessi: "Ehi, Bob. Ti va di parlare?"» rise, mostrando la sua dentatura bianca e perfetta.

«Mi hai evitata in questi ultimi giorni o non sei venuto a scuola?» gli posi finalmente quella domanda che mi aveva tormentato dall'inizio della settimana.

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