Capitolo 22 - La cabina telefonica

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Corremmo da Mike il più velocemente possibile. 

Non stavamo più nella pelle. 

Ce l'avevo fatta. 

Ci ero riuscita. 

Le avevo incuriosite a tal punto che era stato più semplice di quello che pensassi portarle dalla nostra parte. 

Non ci restava soltanto che capire come recuperare il numero inciso nell'anello che Lisa aveva venduto e, poi, metterci al lavoro per riuscire a comprendere quale fosse il codice che nostra madre aveva deciso di farci conservare per tutti quegli anni.

I nostri cinque anelli inizialmente erano uno solo; perciò quei numeri dovevano essere letti, per forza di cose, tutti insieme.

Quando arrivammo nella nostra squallida camera di motel, lui non c'era. Tutti i suoi vestiti erano stati perfettamente piegati e inseriti in valigia. C'erano tutti i suoi effetti personali, persino il suo cellulare, ma una cosa importante mancava: il suo pallone.

Cercammo disperatamente online tutti i campi da basket presenti nella zona e ne trovammo uno non molto lontano da lì. 

Chris mi permise di andare da sola, lasciandomi la possibilità di condividere con nostro fratello quella notizia che in qualche modo riguardava soltanto noi due. Addirittura mi diede il permesso di guidare il suo pick-up e io mi sentii onorata, quasi come la prima volta in cui mia madre mi aveva fatta sedere sulla sedia in pelle del suo ufficio alla Harbour.

Non rispettai proprio tutti i segnali stradali e, probabilmente, rischiai di commettere infrazioni più o meno gravi un paio di volte, ma alla fine, giunsi a destinazione.

Mike stava palleggiando assorto, come se quel movimento fosse diventato meccanico e totalmente involontario.

«Lui ne aveva memoria, tu no. Cerca di comprendere quanto quel muro gli abbia fatto male... ha vissuto sedici anni nell'errata consapevolezza che tutti voi steste desiderando ciò che lui voleva... accettare che non tutti abbiano atteso il momento del ricongiungimento, com'è stato per lui, non deve essere stato semplice» mi aveva detto Chris prima che io uscissi dalla porta, e, sebbene io non gli avessi risposto, sapevo che aveva ragione.

Ci avevo già riflettuto anche io prima di lasciarlo da solo quella mattina e, per quella ragione, avevo provato invano a domandare a Mike se fossero stati proprio quei pensieri ad avergli fatto cambiare idea sulle nostre sorelle, ma, allo stesso tempo, non essendo a conoscenza della sua situazione con Lot, non ero riuscita a comprendere al meglio ciò che lui stesse provando.

Ora che finalmente ero alle sue spalle, quasi mi sembrava di averlo tradito.

Non ero una brava sorella se non ero stata in grado di interpretare i suoi silenzi?

«Mini» sussurrò senza neppure avere il bisogno di voltarsi «responso?» aggiunse a bassa voce.

«Abbiamo appuntamento con loro tra poco... sono dentro, Mike, sono dentro» non riuscii a contenere la gioia.

«Sì?» si voltò all'improvviso. I suoi occhi erano già colmi di lacrime.

«Non sai che sollievo mini... avevo paura di dover andare fino in fondo senza di loro» si avvicinò a me, allargando le braccia.

Mi spinsi verso di lui, facendo aderire il mio petto alla sua pancia.

«C'è un solo problema. Lisa ha venduto il suo anello... quindi qualcosa mi dice che alla nostra fedina penale, oltre a un'irruzione nel cuore della notte negli archivi dell'orfanotrofio, si aggiungerà presto un'effrazione in casa di qualche ignaro compratore» risi, ma fu più per stemperare la tensione che non perché fossi realmente divertita. Dovevamo riuscire a ritrovare quell'oggetto ma, senza qualche informazione in più, non potevamo ancora sapere quanto sarebbe stato possibile o impossibile farcela.

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