Capitolo 16 - Gli anelli

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Una signora che avrebbe potuto, con il suo aspetto pittoresco, far parte del programma Vite al limite, non si degnò neanche di salutarci, prima di iniziare a inveire contro di noi.

Mike fu costretto a inserire un piede nella porta, onde evitare che lei la chiudesse.

Immaginai che il tonfo glielo avesse quasi fratturato ma, fortunatamente, sembrò essere capace di reggere il dolore fin troppo bene.

«Conosce Anthony Marcus Williams?» le domandò, sperando in un possibile aiuto da parte sua.

«Aaaah» uno strano suono le uscì dalla bocca «cosa siete sbirri?» ci interrogò, ridendosela tra sé e sé.

Negammo all'unisono, piuttosto inquietati dal suo modo di fare.

«Sono sua sorella... fortunatamente non biologica. Se lo cercate, non è qui... se volete soldi da me, non ve ne darò... cercate quella puta di sua moglie o quei mangiafagioli con cui si è imparentato» sputò sul pavimento della veranda, colpendoci quasi sui piedi «non voglio saperne niente!».

Tentò nuovamente di rientrare in casa, ma questa volta fui io a essere più veloce di lei.

«Dacci un indirizzo e ce ne andremo via dai coglioni» scelsi di parlare l'unica lingua che sembrava capace di comprendere.

«Vivono in una topaia sulla settima, accanto al Taco de Mexico, forse quella conchuda di sua moglie la potete trovare lì o altrimenti al civico 235» mi scostò dandomi una spintarella non proprio amichevole «e se adesso è tutto... andate al diavolo voi e quel chupa mierda... e, se lo vedete, ditegli che non dimentico i mille dollari che mi deve» sbatté la porta, facendo tremare l'intonaco esterno.

Io e Mike restammo sconcertati per qualche secondo sulla soglia della porta.

Come eravamo soliti fare, decidemmo di non riunire nella nostra testa tutte le informazioni che quella sottospecie di donna ci aveva dato, ma optammo semplicemente per rimetterci in viaggio per raggiungere la strada che ci aveva indicato.

Convinsi mio fratello a non seguire il consiglio della sorella di Tony; perciò, invece che andare in quella specie di fast food messicano, ci recammo direttamente a casa sua.

Quando arrivammo davanti al numero civico che ci era stato indicato, notai come l'abitazione stesse praticamente cadendo a pezzi.

«A questo punto direi che topaia era un complimento» constatai, concentrandomi soprattutto sui gradini di accesso all'ingresso, i quali, due su tre, erano sfondati.

Feci attenzione a non far incastrare il piede in quegli spazi, riuscendo ad allungare la gamba abbastanza da metterla in sicurezza.

Chris e Lot rimasero in auto per lasciarci tutto il tempo di cui necessitavamo per parlare con nostro fratello; io e Mike, invece, ci prendemmo per mano, cercando di farci forza a vicenda.

Avremmo mai smesso di suonare campanelli di casa sparse nei più disparati quartieri americani? O avremmo dovuto continuare la nostra ricerca per tutta la vita?

Questa volta fui io a premere quel bottone.

Attendemmo un po' prima che qualcuno ci degnasse di attenzione.

«Chi è?» la vocina appena percettibile di un bambino si fece spazio nella piccola apertura della porta. 

Quest'ultima, infatti, non era spalancata, ma solo di poco scostata per permettere alla persona all'interno di scorgerci.

«Siamo Mike e Elle Robertson... cerchiamo Anthony Marcus Williams» fu il secondogenito a parlare, sebbene la sua voce apparisse estremamente alterata.

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