Capitolo 10 - Andate avanti...

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Aprii gli occhi nel preciso istante in cui entrammo nel territorio di Fargo.

Sorrisi di gioia non appena oltrepassammo il confine.

Eravamo in North-Dakota.

Eravamo per la prima volta a casa, insieme.

Pensai ai fratelli Cohen e a quell'assurda cittadina che aveva dato il nome sia a un film che a una serie tv. Mi sembrò incredibile che io avessi guardato ogni episodio e ogni minuto di quella pellicola senza mai rendermi conto di come, in realtà, quello fosse proprio il luogo da cui provenivo. Ero nata lì, ero cresciuta per i primi anni della mia vita a poche miglia di distanza, ma, per gran parte della mia esistenza, non ne ero neppure stata consapevole.

Era stato l'orfanotrofio di quella città ad avermi ospitata per qualche settimana, dopo l'improvvisa scomparsa dei miei genitori, ed era stato quello stesso luogo a essere il punto di inizio della mia nuova vita.

Ero nata al Sanford Medical Center come Elle Robertson nel 2004.

Due anni dopo, ero rinata al St. John's orphanage come Sophia Harbour-Fitzgerald.

Chiunque fossi, tutto era iniziato lì.

Tutto era cominciato a Fargo.

«Dove volete andare?» Chris spezzò quell'assordante silenzio in cui ci eravamo avvolti sia io che Mike. Entrambi eravamo rapiti dalla visione di un susseguirsi di costruzioni che sembravano familiari e, che per mio fratello, in effetti, avrebbero potuto esserlo per davvero, ma che per me non avrebbero potuto portare nessun ricordo a galla.

«Facciamo una breve sosta al motel e poi andiamo St. John's» Mike fu più veloce di me nel rispondere.

L'ansia di sapere mi stava attanagliando lo stomaco, così tanto che avrei preferito che avessimo raggiunto direttamente quel luogo ove sedici anni fa la mia nuova identità era nata. Ma, come al solito, qualcosa mi aveva impedito di controbattere a ciò che aveva appena affermato, risoluto, mio fratello.

Una volta giunti a destinazione, Chris ci chiese di potersi rilassare un secondo sotto la doccia. Le diciassette ore di viaggio, distribuite in così poco tempo, lo avevano destabilizzato. Tuttavia, era stato lui a condannarsi a tale fatica, io, infatti, ci avevo provato a chiedergli più volte di farmi guidare, anche soltanto per una breve tratta, ma lui ormai, impuntatosi, me lo aveva impedito.

Colsi la palla al balzo, decidendo di sfruttare quel tempo, che altrimenti avrei perso seduta sul letto ad aspettare di poter partire nuovamente, per prepararmi al meglio.

Patricia mi aveva insegnato che apparire in certe occasioni era l'unica cosa che contava. E, non so esattamente per quale motivo, anche io in quel frangente ne fui più convinta che mai.

Mi truccai come mia madre mi aveva insegnato. Infatti, non avrebbe avuto senso presentarmi come la vera Elle, tutt'al più la falsa Sophia era ciò di cui avevamo bisogno. Anche perché l'aspetto da galeotto di Mike non sarebbe stato certamente d'aiuto per raggiungere i nostri scopi.

Non so perché avessi portato con me, oltre alla parrucca rosa e a quelle scure nelle versioni lunga e corta, anche una con un insulso taglio medio di un castano scuro. Eppure, malgrado fosse rientrata nella mia selezione senza un apparente motivo, quest'ultima fu sorprendentemente la mia prescelta, perfetta com'era per quell'occasione.

La chiamavo la mia parrucca da chiesa, perché era l'unica che Patricia mi permettesse di indossare agli eventi pubblici della nostra azienda.

Scelsi con cura un abito longuette scuro, un blazer bianco e un paio di occhiali da sole grandi quanto tutto il mio viso.

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