Capitolo 1

1.3K 10 3
                                    

Guardo l'ora sull'orologio che porto sul mio polso sinistro con trepidazione, vorrei fossero già le due per prendere l'autobus che mi porterà direttamente al mio secondo colloquio. Il primo è andato decisamente male, soltanto il tempo di sedermi e già avevano trovato una scusa per rimandarmi a casa. NON ASSUMIAMO RAGAZZINE.

Dopo l'incidente che si è portato via mio papà, solo il vecchio Walter Sobborghi si è preso cura di noi aiutando me e mia mamma, ed adesso che é andato in pensione mi ha persino offerto il suo lavoro, mi ha chiesto di prendere il suo posto, diventare quindi agente di commercio per la grande distrubuzione organizzata. Lavorare per la FBC. Competitor dell'azienda che mi aveva scaricata dopo soltanto tre secondi.

Ciò mi permetterebbe di visitare città, conoscere gente nuova, permettermi di poter vivere con un tenore di vita migliore, dato lo stipendio che andrò a guadagnare, lavorando per l'ex titolare di Walter, che da quello che mi ha detto è uno che paga bene, non cifre da capogiro, ma spitaci sopra a duemila euro al mese.
In più ti dà anche la macchina.

E alle tre ho giusto il colloquio con lui, speranzosa di fargli una buona impressione, perché non è detto che lui mi assumerà, però ci spero perché Walter ci ha messo una buona parola.

Del resto ho solamente diciannove anni e questo potrebbe essere un problema.
Mancanza d'esperienza. Ci spiace, potrebbe dirmi.

Oppure, questo lavoro è adatto più ad un uomo che ad una donna, c'è da guidare per ore e ore in autostrada, le ore sono tante... ecc... ecc...

Ma mentre mi pongo problemi e paranoie sento la voce di mia mamma che mi chiama.

- Elena l'acqua bolle!

Corro in cucina, mi ero completamente dimenticata della pasta, perché tengo troppo a quel lavoro e non voglio perderlo, sognandolo e bramandolo già, facendo voli pindarici con la mente.
Abbasso il gas e butto la pasta.

- Dieci minuti e c'è pronto.

Rispondo guardando mia mamma, seduta sulla sua carrozzina,  pensando che non sia facile per lei accettare di non poter più camminare e di dover dipendere in tutto da me.

Lei mi sorride celando i suoi veri pensieri per non gettarmi a dosso i suoi problemi, problemi che sono comunque già miei ma, con quel sorriso mi infonde comunque coraggio.

Pranziamo sedute l'una di fronte all'altra, anche se lei è più bassa tenendo il piatto in mano e inforchettando con l'altra, chiacchierando come due amiche e non come madre e figlia, dato che condividiamo spesso ciò che ci accade intorno e perché non ho mai avuto niente da nasconderle.
Finito di mangiare sparecchio la tavola, metto pentole e piatti in lavastoviglie. Do una spazzata veloce mentre mia mamma se ne va in camera da letto.

Finiti i miei oneri finalmente mi vado a prepare uscendo di casa a dieci minuti alle due, indossando una camicetta gialla, jeans neri e anfibi anch'essi neri, nuovi e lucidi. Con un leggero trucco sugli occhi e una spruzzata di profumo.

Con ansia e il cuore in gola riesco a non perdere l'autobus e in capo a mezz'ora finalmente arrivo a destinazione.

Mi guardo attorno, non c'è caldo ma, l'ansia mi porta ad avere le mani sudate anche se siamo a metà maggio.

Sono in anticipo di mezz'ora, meglio così, meglio in anticipo che in ritardo.

Il quartiere nel quale sono finita è sorto da poco c'è aria di pulito, nemmeno una cartina per terra, niente immondizie per la strada ed un parco curato dove portare i figli, qui se la passano bene.
Non ci sono palazzoni ma, solamente case alte due piani, non quattro come dove abito io e a quel pensiero sorrido pensando che almeno abbiamo l'ascensore, altrimenti non saprei come portar fuori mia mamma, dal nostro appartamento sito al terzo piano.

IL SOGNO DI UNA BAMBOLA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora