Capitolo 17

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In macchina lo guardo, lo osservo, lo ammiro, pensando che l'ho chiamato padrone e non ha fatto una piega nella camera d'albergo, senza sfoggiare sul suo volto il suo trionfo, mentre le mie interiora si annodavano e combattevano perché non pronunciassi quella parola, che alla fine è uscita come lui desiderava anche se non ha mai chiesto di essere chiamato in quel modo.

Adesso che le carte sono state svelate e messe sul tavolo tutto mi è più chiaro. Paolo mi ha sempre visto sotto quest'aspetto, mi ha sempre considerato come la sua sottomessa e ha insegnato al mio corpo ad accettarlo. Dovrei esserne triste ma non riesco ad esserlo, perché non ha solamente convinto il mio corpo ma anche la mia mente, che non riesce a smettere di pensare che il mio posto stia proprio tra i suoi piedi, accettando ciò che più gli aggrada per compiacerlo anche se so che è sbagliato.

Forse perché provo ancora un briciolo di soddisfazione per averlo portato in paradiso con la mia bocca e anche questo sebbene sia sbagliato mi rende ugualmente felice.

E il piede che ha sulla gamba ne è la prova inconfutabile, in quanto lo sento più vivo che mai mentre lo accarezza rendendolo importante.

Dovrei provare schifo per me stessa avendo accettato questo compromesso, invece mi sento viva e libera più di prima. Davvero non mi capisco.

- Padrone? Sussurro con una sincerità imbarazzante che mi esce dal cuore.

- Dimmi Elena? Risponde sereno, calmo, pacifico e solare più che mai, guardando la strada.

- Dovrò sempre chiamarti in questo modo? Chiedo con sudditanza e vergogna.

- Solo se lo vorrai, altrimenti potrai chiamarmi semplicemente Paolo come hai sempre fatto. Risponde e dentro di me lo ringrazio, percependo bonaccia nel mio subconscio e rilassamento, mentre mi culla il piede che adesso sa di essere suo, come il resto di me stessa che ha sempre saputo che in un modo o nell'altro io gli appartenevo.

Quando arriviamo a destinazione mi aiuta con entusiasmo a montare gli espositori e a caricarli, insegnandomi con dedizione e interesse, procurandomi un benessere interiore che mi fa stare bene e che mai vorrei scacciare dalla mia mente.

Mi offre la mano per andare a bere il caffè di mezza mattina e io lo afferro come si afferra un salvagente in mezzo al mare mentre sto per annegare, con gioia e speranza.

Sto bene, lui mi fa stare bene e io non riesco a smettere di stare bene anche quando mi invita a togliermi le scarpe dentro al supermercato fino a che non riesco a montare l'ennesimo espositore da sola, correggendomi con rispetto quando sbaglio, caricandolo infine di vino bianco. Senza provare vergogna perché mi ha insegnato che non devo avere vergogna quando gli mostro i miei piedi, anche se altre persone mi stanno guardando mentre lavoriamo assieme e sia ben chiaro che non lo faccio per ore ma soltanto per pochi minuti.

E sto bene anche quando andiamo a pranzare sorridendo alle sue battute, osservando la bellezza delle sue fossette che vorrei leccare, ammirandolo con occhi carichi di entusiasmo.

E quando penso che la giornata lavorativa sia finita lui entra in un grande magazzino di abbigliamento portandomi con sé come se fossimo due fidanzati, per comprarmi dei nuovi vestiti da indossare domani. Vorrei dissentire a quell'ennesimo acquisto, a quello sperpero di denaro ma, ho rinunciato, so che se decide una cosa poi non torna indietro, dovendo accettarlo.

Lascio che lui frughi tra l'abbigliamento femminile cercando quello che più lo aggrada, anche se magari non è di mio gusto ma, gli accordi sono chiari è lui decide cosa devo indossare e cosa no e infatti l'ordine che aspettavo arriva dritto nella mia testa.

- Elena entra in quel camerino e spogliati tenendo soltanto il collant, il perizoma e il reggiseno.

Chiede indicandomi una serie di camerini tutti uguali, vedendone cinque in fila con le tende spesse color crema e un grande tavolone davanti in vetro, con sopra alcuni capi d'abbigliamento abbandonati. Mentre una signora esce dal primo a sinistra, catturando per un attimo la mia attenzione

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