Quella dei miei sedici anni è stata un'estate calda, torrida e soffocante.
Bologna era una fornace e il sudore mi si appiccicava sulla nuca, sulla fronte, ovunque, anche tra le gambe. Il sole cuoceva la strada, i muretti e gli alberi; riscaldava tutto e ammazzava l'ossigeno, intossicava l'ombra e toglieva il respiro.I miei compagni di scuola avevano organizzato una festa in spiaggia e io avevo fatto i salti mortali per ottenere il permesso di andarci, soprattutto perché nei programmi dei miei genitori c'era una cena improrogabile e Andrea, il mio fratellino, non poteva rimanere solo in casa senza supervisione degli adulti.
Era una situazione molto frustrante.
Sentivo un nodo in gola ogni volta che pensavo a quanto mi stessi perdendo, un'angoscia che rendeva ogni discussione con i miei genitori ancora più estenuante.
Avevo desiderato poche cose in sedici anni di vita, ma la festa era una di quelle a cui non potevo assolutamente rinunciare.
Per cui, alle quindici spaccate del venti luglio duemilaventuno, dopo una lunga ed estenuante conversazione con mia madre e mio padre -che spinti dalla disperazione avevano deciso di chiamare una babysitter- andai a farmi aggiustare i capelli da Giusy, una parrucchiera amica di mamma.
«Giusy» la pregai, seduta davanti allo specchio del suo salone all'angolo della strada. «Giusy, ti prego, fammi bellissima! Devo essere super figa stasera.»
Lei mi tranquillizzò con un occhiolino complice e un sorriso radioso dietro cui ruminava la sua solita chewin gum infinita. «Non preoccuparti tesoro, ci penso io. Tu rilassati, sarai all'altezza.»
Nessuno aveva idea del perché Giusy non smettesse mai di masticare. Forse voleva scaricare il nervosismo, come gli atleti della nazionale italiana di volley che avevo visto in TV durante le olimpiadi: secondo mamma masticavano per eliminare lo stress, quindi avevo concluso che anche Giusy lo facesse per lo stesso motivo.
Trovo triste che adulti e atleti abbiano bisogno di gomme per stare meglio, ma a lei ne avrei offerte anche mille, se poi il prezzo da pagare fosse stato quello di acconciarmi i capelli così bene ogni giorno.
Le ciocche mi ricadevano lungo i fianchi in morbide onde castane, la linea in mezzo ad incorniciarmi il viso raggiante.
Mi guardavo allo specchio, stretta in un vestitino giallo che mi faceva sembrare con molto più seno di quanto ne avessi in realtà, e non riuscivo a riconoscermi.
Sentivo l'adrenalina ovunque, nel corpo e nella bocca dello stomaco.Ero ritornata di nuovo bambina.
Com'era possibile che all'improvviso la mia vita fosse diventata così maledettamente eccitante?
Mi stavo spruzzando un po' di Pink Sugar sul collo -la mia fragranza preferita allo zucchero filato- quando sentii suonare il campanello.
Gettai la boccetta sul letto e corsi ad aprire la porta. Era Margherita.
Lo short di jeans e il top rosa che avevamo comprato insieme al centro commerciale le stavano da Dio. Si era arricciata i capelli e si era messa il rossetto rosso, gli orecchini con le note musicali e le zeppe.
«Sei bellissima» le dissi, e ci abbracciammo lì, sulla soglia di casa, fra sorrisi impazienti e un po' emozionati.
«Anche tu lo sei, amo. Pronta? Siamo in ritardo! Quelli ci lasciano a piedi.»
Uscimmo e ci mettemmo a camminare come delle donnine grandi sulle nostre scarpe alte e colorate, facendo congetture sulla serata e premendo le labbra fresche di rossetto davanti ai display dei nostri cellulari.
I ragazzi ci stavano aspettando alla fermata del bus.
Io mi sentivo in colpa per aver mentito a mamma e papà, dicendogli che saremmo scese a Rimini con i mezzi pubblici e non con la macchina insieme a degli sconosciuti. Ma al pensiero che anche Marghe avesse detto una bugia ai suoi genitori mi sentii meno triste e continuai a camminare, sorridendo... o fingendo di sorridere, e cercando di convincermi che il senso di colpa sarebbe scomparso, come il rossetto sulle labbra... ma sapevo che sarebbe rimasto lì, a mordermi dentro.
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
General Fiction© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...