27 🌞*Nel blu dipinto di blu* 🩵

12 3 0
                                    

«Sei sicura di voler scendere qui?»

Capisco lo sconcerto di papà, l'espressione scettica con cui mi sta fissando, perché in sedici anni di vita non gli ho mai chiesto di lasciarmi lontano da scuola. Io odio l'attività fisica. «Certo, papà» lo rassicuro. «Voglio camminare, sono pochi metri»

Posso quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello mettersi moto. I pensieri gli si leggono in faccia: ma questa mocciosa fa sul serio o sta scherzando per attirare la mia attenzione? Che devo fare? Io sono solo un uomo. Mica ci sono nato, padre!

«Dovrei chiederti il perché?»

«Meglio di no. Ma anche se me lo chiedessi, non saprei cosa rispondere. Non lo so neanche io. Mi sono solo svegliata con una gran voglia di camminare»

Gli cadono gli occhiali sul punta del naso e il gesto di rialzarseli con il dito mi fa sorridere per la tenerezza. «Quando lo scopri, potrei essere il primo a saperlo» propone accondiscendente. «Che ne dici?»

«Ci penserò»

Mi affretto ad aprire lo sportello, salto fuori e lo richiudo. Reprimo un brivido di freddo mentre osservo la Peugeot di papà sparire dietro l'ultima curva a destra. Alzo gli occhi sul cielo: giornata mite.

Sulla strada verso scuola c'è un piccolo parco giochi malandato. Adesso viene utilizzato per lo più come nascondiglio dagli studenti che vogliono saltare la prima e la seconda ora di lezione.

Ci passo accanto e osservo i cespugli incolti che straripano al di là del cancello arrugginito. Un tempo devono essere stati davvero belli, adesso sono solo estremamente tristi. Chissà... un tempo la rugiada dev'essersi posata su di loro, proprio come recita Neruda nella poesia che mi ha letto lui in biblioteca.

So che non avrei dovuto farlo, ma ammetto di averla cercata su internet: "posso scrivere i testi più tristi questa notte" si chiama, e parla di un uomo afflitto per la perdita della donna amata.

L'ho letta tre volte di seguito nel tentativo di carpirne significati nascosti che alla fine, però, non sono riuscita a trovare in nessuna riga, forse perché era tutto lì: nero su bianco, niente di più e niente di meno di una dichiarazione d'amore.

L'ho recitata nella mente per capire se potevo considerarla una metafora della mia vita, di quello che mi è accaduto, di quello che ho passato. E quando mi sono risposta di no, ho soffocato le lacrime nel cuscino fino alle prime luci dell'alba, pensando all'essere umano e alla sua inguaribile indole autodistruttiva, a come ami farsi del male piuttosto che trovare una soluzione ai suoi problemi. E a come colpevolizzi continuamente il destino per avergli messo sulla strada della vita una sfida troppo insidiosa da superare.

Ma è assurdo che dopo aver pianto, aver passato la notte in bianco e aver cercato me stessa nelle metafore della letteratura cilena, una stupida poesia sia riuscita a farmi capire che o li supero, questi problemi, o saranno loro a superare me.

~•~

Mattia sta fumando una sigaretta davanti al cancello di scuola.

Rimango allibita nel vedere i lividi violacei incrostati di sangue sul suo viso. Di nuovo. Questa volta sembrano freschi.

«Matti, ma... ma che è successo?»

Non riesco a smettere di fissargli, nauseata, il labbro spaccato.

«Niente» risponde, tirandosi su il cappuccio della felpa. «Non guardarmi»

Lui abbassa la testa.

Ma stavolta, io non mollo. «E invece dal tuo viso sembra qualcosa di grave»

Quando il vento mi accarezzò la pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora