Divoriamo le nostre tre pizze seduti a gambe incrociate su un tappeto persiano ricoperto di polvere, nel cartone e tutto, senza posate e senza proferire parola. Il caminetto scoppietta e la cantina non fa così schifo come ha detto Mattia. C'è solo tanta roba in giro e se non fosse per la puzza di fuliggine, sarebbe perfetta.
Una volta mamma mi ha detto che quando si mangia non bisogna parlare perché si combatte contro la morte: nel senso che se mangi e parli insieme ti può andare di traverso il cibo e puoi morire.
Ricordo che quando ero piccola a lei stava per succedere una cosa del genere.
Stavamo pranzando tutti insieme a casa dei nonni, che erano ancora vivi. Lei ha inghiottito un pezzo di qualcosa che le è andato storto e stava per soffocare. Io e nonna Lucia ci siamo messe a piangere. Papà è rimasto impassibile come al suo solito. Il nonno invece ha preso un bicchiere d'acqua e le ha detto di bere.
Io ero pronta a farle la manovra che ci era stata insegnata dal prof di scienze a scuola. Non sapevo farla benissimo, ma ero disposta a rischiare di tutto pur di salvarla, anche a toglierle il cibo di forza dalla gola. Ma poi mamma ha bevuto l'acqua ed è ritornata a respirare. Da quel momento in poi mi ha detto che quando si mangia si combatte contro la morte.
Dopo l'ultimo morso Mattia scatta in piedi e stiracchiandosi i muscoli della schiena con uno sbaglio, dice: «seguitemi».
«Dove?» domandiamo io e Margherita scambiandoci un'occhiata perplessa.
«Venite e basta!» Il suo tono autoritario non ammette repliche.
Ci infiliamo nelle scale in punta di piedi, saliamo silenziosi fino al quinto piano e ci fermiamo davanti a un grande balcone con i vetri offuscati dalla polvere.
«Andiamo» dice Mattia, aprendo le ante.
Una violenta folata di vento ci colpisce in pieno volto. Seguiamo Mattia stringendoci nei giubbotti per il freddo e chiedo: «adesso cosa hai intenzione di fare?» Stiamo agendo di nascosto e non ho potuto urlare come avrei voluto
«Saliamo la scala!»
«Questa scala antincendio?» Margherita non vuole crederci. «Ma porta al tetto!»
«Esatto, proprio dove stiamo andando» Sorride e comincia a salirla. «Forza!»
Margherita mi precede. Io la seguo. Non guardo giù e penso solo a mettere un piede davanti a un altro senza inciampare. Siamo noi tre aggrappati a una scala di ferro, circondati dal buio della notte, che saliamo verso il tetto.
Ma per fortuna il tragitto è breve, appoggio le ginocchia sulle tegole, mi tiro su, mi accorgo della vista spettacolare e rimango a corto di parole. «Wow, ma qui è bellissimo» sussurro, come se non avessi mai visto niente di più bello in vita mia.
La luna è un diamante che luccica al centro del cielo e poco più sotto, verso l'orizzonte, fanno capolino le forme frastagliate delle colline in penombra.
I lampioni in fila indiana gettano fasci di luce aranciata sulle strade, costeggiando le macchine nelle vie intersecate come ventricoli di un cuore da cui spicca la cupola della Basilica di San Petronio.
«Sì, è un posto meraviglioso» ribatte Mattia.
«Vieni qui spesso?» Margherita si mette seduta sulle tegole. «Non hai paura di cadere?»
«Ormai ci sono abituato. E poi ci vengo solo quando i problemi mi sembrano davvero grossi. Guardo tutto questo e penso che esiste qualcosa di più grande di me e dei miei problemi. Qualcosa più grande di tutti noi. E passa tutto, o quasi.»
Anche io vorrei avere una scala che conduce sul tetto. Visto da quassù, il mondo non fa così schifo come credevo. Sembra quasi perfetto. La prospettiva d'insieme lo rende sopportabile.
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
Algemene fictie© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...