Andrea non è dalla vicina. Strano.
Possibile che mamma e papà gli abbiano fatto aspettare il mio ritorno in casa da solo? Conoscendoli, è improbabile.
Entro e do un'occhiata in giro.
Oggi casa nostra sembra essere uscita dalla pubblicità di Extreme makeover home edition, con tutte le tende stirate e i pavimenti tirati alla lucido, i mobili spolverati, i quadri appesi alle pareti e il profumo di detersivo a limone.
«Andrea?!» chiamo.
Ma non risponde nessuno. Silenzio.
Ecco, ho capito. Vuole farmi uno scherzo. Non sarebbe la prima volta.
Sorrido al soggiorno vuoto, ai libri sistemati sulle mensole in ordine alfabetico. «Andrea, non è il momento di giocare a nascondino! Forza!»
Ancora silenzio. Strano. Dovrebbe saltare fuori urlando "Luanaaaaaa" mentre corre in cucina a fare tana per lui, invece qui non vola neanche una mosca.
Mi incammino a passo di marcia verso la sua cameretta e spalanco la porta chiamandolo per l'ennesima volta. «Andr...», ma la voce mi muore in gola. Il letto è immacolato e i giochi perfettamente accatastati nei cassetti.
Di lui nessuna traccia.
Faccio partire la chiamata con papà e gli domando perché non è andato a prenderlo a scuola. «Rientro a casa alle cinque per accompagnarti a nuoto, ma Andrea doveva andarlo a prendere Beatrice» è la risposta prevedibile, seguita da quella più realistica di mamma che si incazza dicendo: «tuo padre è una persona inaffidabile. Gliel'ho ricordato mille volte che doveva andare a prenderlo. A quello le cose gli entrano da un'orecchio e gli escono dall'altro. Vabbè timbro e corro subito!»
«Mamma, tranquilla vado io»
Dannazione! Non lo capisco proprio papà. A volte sembra che gli importi solo del lavoro e della mia piscina del cazzo. E mamma che si lamenta senza fare nulla per metterlo di fronte alla sue responsabilità, è anche peggio.
Nessuno è andato da Andrea. Non è un'esercitazione per vedere se riuscirà a ritornare a casa da solo. È successo davvero. Chi se ne importa del bambino per strada che sta aspettando i genitori?
Esco di casa, sbatto la porta e scendo le scale. Sono furiosa. Una volta fuori, imbocco la strada verso la scuola elementare e arrivo in venti minuti.
Andrea è seduto sul marciapiede di fronte al cancello d'entrata, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento sui palmi aperti delle mani. Sulle labbra ha il broncio.
Chissà da quanto tempo sta aspettando...
Se fosse stata viva nonna Lucia, tutto questo non sarebbe successo. Era lei ad andare a prendere Andrea a scuola e a portarlo in pizzeria in attesa che i nostri genitori rientrassero da lavoro.
Con nonna Lucia l'organizzazione filava liscia come l'olio. Vorrei che scendesse un attimo dal paradiso per venire a mettere in sesto la mia vita: il tempo di darmi una mano, poi può ritornare su. Se l'ha fatto Cristo che era un uomo fra gli uomini perché non può farlo anche la nonna che era una donna fra le donne?
Intreccio la mia mano con quella del piccoletto e ci mettiamo a camminare su un marciapiede pieno di negozi che si stanno già preparando a imbellettarsi per le vacanze Natalizie.
Lo accetto, anche se non lo capisco. Tutti quei colori, quelle palline e quei nastrini che sarò costretta a vedere fino al sette gennaio mi mettono ansia. Preferisco il mondo tradizionale e non quello addobbato a festa. Gli addobbi servono a sbattere in faccia alle persone l'idea che a Natale bisogna spendere, festeggiare e divertirsi. Ma non tutti possono farlo. Il Natale, per chi lavora o per la gente con mezzi limitati, non ha nulla di speciale.
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
General Fiction© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...