Rifiuto il passaggio di Emma e mi faccio venire a prendere da papà. Non sono in vena di conversazione, così mi limito a guardare fuori dal finestrino. Papà mi lancia occhiate, ogni tanto fa domande.
Quando noi adolescenti restiamo in silenzio troppo a lungo, gli adulti si preoccupano. Vogliono controllare la nostra vita per prevenire disastri ed eventi traumatici. Ma io adesso non ho nemmeno la forza di dirgli di guardare la strada, figuriamoci rassicurarlo.
Sono tanca, sfinita.
Gli atteggiamenti degli adulti mi confondono. Cosa pensano davvero? Vorrei entrare nelle loro teste, capire le loro priorità, perché scelgono di fare certe cose piuttosto che altre. Ma alla fine mi rendo conto che non ha senso: per capire gli adulti, dovrò diventarlo anch'io. E manca ancora tanto.
Fisso l'asfalto, i lampioni che si accendono ai lati della carreggiata.
Le lacrime scendono sul mio viso senza fare rumore, fino a quando ci fermiamo davanti a una gelateria. Un uomo infagottato passa correndo e a me riviene in mente Mattia, le nostre corse sotto cieli tetri che ci facevano desiderare l'estate.
Noi umani siamo continuamente insoddisfatti. Quando fa freddo, vogliamo il caldo. Se fa caldo, vogliamo che ritorni il freddo. E se non riusciamo a realizzare i nostri desideri, soffriamo o compiamo stupidaggini. Siamo insoddisfatti ed egoisti. Io per prima, perché voglio che lui stia male a causa mia. Ma allo stesso tempo sono insoddisfatta perché vorrei avere la forza di chiudere per sempre con questa storia. La nostra: la mia e la sua. Io non la volevo. Lui me l'ha imposta con la forza. Eppure c'è e mi tocca sopportarla.
Papà sbatte le mani per richiamare la mia attenzione e distarmi dal torpore del viaggio. «Su, coraggio e sangue freddo» dice. «Andiamoci a prendere un gelato»
«Cosa?» gli domando tirando su con il naso per frenare un singhiozzo.
«Andiamo a prendere un gelato!»
«Un gelato in inverno?»
«Assolutamente sì!»
Mi accarezza i capelli, e io gli sorrido
«Voglio cioccolato e yogurt» sussurro.
«Io decido dentro»
Scendiamo dalla macchina, attraversiamo sulle strisce pedonali e, con uno scampanellio della porta, ci facciamo strada all'interno di un locale semideserto.
Sono presenti solo altre due persone, ma il gelato ha un aspetto fantastico e ci sono tante vaschette con decine di gusti.
Leggo i nomi anche se alla fine scelgo gli stessi di sempre: yogurt e cioccolato, come ho detto in macchina.
Mi metto a mangiare il mio cono accanto a papà, che ancora osserva i titoli dei gusti sui cartellini. Lo guardo: labbra arricciate, occhiali appoggiati sulla punta del naso, il corpo proteso verso il bancone. E' buffo, quasi infantile. Ma mi piace così. In fondo gli adulti sono solo dei bambini cresciuti.
«Signore, ha scelto il gusto?» domanda la donna di mezza età dietro il bancone, impaziente di concludere l'affare. Ha il cappello a forma di cono in bilico sulla chioma giallo canarino, il vestito rosa e una gomma da masticare tra i denti.
«Sì, sì» dice papà, sorridendole. «Per me caffè e amarena»
Fingo un conato di vomito. «Bleah! Caffè e amarena?
«Cosa ha che non va caffè e amarena?!»
«Amarena? Già solo il nome fa... bu. È strano! Amarena! Il gelato è dolce. Amarena invece mi ricorda amaro»
STAI LEGGENDO
Quando il vento mi accarezzò la pelle
Ficción General© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...