Sono talmente distratta che a malapena mi accorgo del cigolio della porta.
Deve essere entrato qualcuno.
Non ho nemmeno pensato che la professoressa, non vedendomi arrivare, avrebbe mandato gli altri a cercarmi.
«Ehi. Hai fatto? Quanto ci vuole?»
La sua voce.
Sgrano gli occhi e mi irrigidisco. Fisso il muro, senza respirare, immobile, i piedi incollati al pavimento di linoleum bianco e i muscoli del viso che non rispondono agli stimoli del cervello. Sembro una mummia in un museo, una di quelle impalate su se stesse che la gente può osservare solo da dietro una teca di vetro.
«Mi senti? Ci sei?»
Sento la porta chiudersi dietro di me con un tonfo. Lui che si avvicina. Il suono delle sue scarpe che rimbalzano, stringendomi il petto a ogni nuovo passo.
Con il respiro pesante, in apnea, provo a guardarlo roteando le pupille all'indietro, ma lo scarno spazio nei miei bulbi oculari me lo impedisce e ottengo solo l'effetto di farmi venire un brutto mal di testa.
Un brivido mi percorre la schiena quando sento il suo fiato caldo sulla mia nuca.
È troppo vicino. Devo allontanarmi.
Avanzo a piccoli passi verso il tavolo.
Con mani tremanti afferro il giornale del custode e inizio a far finta di essere troppo occupata a leggere le notizie dell'ultima giornata. In realtà non riesco a distinguere neanche le lettere, sembrano segni distorti della lingua aramaica.
Cerco di ritrovare la calma ricordandomi di come si respira: uno, aria dentro. Due, aria fuori. Tre, dentro, quattro fuori.
I capelli legati non riescono a nascondermi il rossore delle guance.
Ho il rumore del mare in testa, l'immagine delle onde che si infrangono contro la battigia e che ritornano indietro sparendo nel buio dell'oceano.
Chiudo gli occhi, scossa da brividi. Il suono diventa reale. Mi sento sommersa come se stessi affogando nell'acqua fino alla gola. Forse è così che si impazzisce, quando cominci a percepire rumori e odori che non appartengono al presente.
Quello salmastro dell'acqua salata mi penetra le narici e per un attimo rimango spiazzata dalla sensazione di averlo vivido nel naso: nessun odore immaginario riuscirebbe a essere sentito così chiaramente nella realtà. Subito dopo però, con sgomento e confusione, mi rendo conto che questo non è l'odore del mare, ma il profumo di Samuele.
«Daniele è davvero uno stronzo, ma gli ho detto che deve lasciarti stare» dice.
Non l'hai capito che me ne starò zitta, che questa risposta non te la voglio dare, che con te vicino mi si congela tutto? Cuore, intestino, fegato. Che non sono più una persona, con te vicino?
Guardo il muro e il giornale.
Il giornale trema. Le mani tremano.
Fermi!
Il muro ha delle crepe...
Silenzio.
Un sospiro. «Guardami un attimo. Girati e guardami. Poi puoi pure mandarmi a fanculo, ma dimmi qualcosa.»
Ha delle crepe piccolissime come quelle che ci sono anche nel formaggio. Il muro. Chissà di che materiale è fatto.
«Io non ci dormo più la notte e...»
Credo che non si tratti di un materiale pregiato ma di uno a poco prezzo. Ma che importa. È bello lo stesso e...
«Eccomi qua. Scusa il ritardo signorina»
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
General Fiction© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...