42 🃏 *Il sorriso di Joker* 😁

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Faccio scricchiolare qualche foglia secca perché mi piace sentire il rumore che fanno sotto la suola della scarpa.

Provo a specchiarmi in una pozzanghera fangosa, ma l'acqua nera non riesce a restituirmi l'immagine del mio viso.

Infilo la chiave nella serratura e il palazzo mi accoglie silenzioso come un cimitero. Ignoro l'ascensore e prendo le scale. Mentre le salgo non faccio neanche caso a dove metto i piedi, troppo occupata a cercare di capire come sto. Dentro me stessa vedo parole taciute, violenza trasformata in vergogna, rabbia assopita, fiumi di lacrime, telai di macchine, scarpe perdute sulla sabbia, trucco tolto con l'acqua di un lavandino davanti allo specchio di un lurido cesso anonimo.

Disconnetti i pensieri mi ordino, rivolgendomi a me stessa come se non fossi io. Disconnetti il cervello. Basta.

Ma più me lo impongo e più le immagini di quella sera si fanno nitide, nella mia testa, intensificandosi come se mi stesse scorrendo davanti il trailer di un horror.

Ero sicura che lo avrei odiato per sempre, e adesso che non lo odio più, mi sento vuota, come se mi avessero strappato con la forza una parte vitale del mio corpo.

Entro in casa ignorando i richiami di mia madre e tiro dritta in stanza.

Mi scappa una smorfia simile a quella di Joker che ride di fronte ai suoi incubi diventati realtà. Ma il mio, di incubo, è un difetto di percorso, il buco nero in uno spazio temporale immutabile. Non può essere altrimenti. Non accetto altro.

Cammino fino alla scrivania, apro il cassetto, afferro una cartellina verde, la apro, trovo il disegno degli occhi di Samuele, mi siedo e lo guardo con una matita ballerina in bilico tra le dita.

Un fermo immagine sulla scrivania.

Un fermo immagine nella mia mente.

Una matita come un'arma.

Una matita come un coltello con cui ridurrò a brandelli il mio dolore.

Chiudo gli occhi, inspiro, vedo il mare e li riapro. Mi alzo, cammino, lancio la matita per terra ed espiro. Mi fermo, abbasso le palpebre, vedo lui e inspiro. Alzo le palpebre ed espiro. Mi sdraio sul letto, prendo il cuscino e mi tappo gli occhi con forza. Vedo la luna, vedo il mare, vedo lui. E sento il caldo, il rumore delle onde, il rumore dell'affanno. I ricordi sembrano uscire da una televisione guasta che si blocca e riparte all'improvviso dopo un lungo ronzio. Inspiro ed espiro e inspiro ed espiro ma le immagini non spariscono.

Quando il vento mi accarezzò la pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora