(Agosto, passato)
Urla, rabbia, lacrime, recriminazioni.
Io al centro del salotto che litigo con mio padre. I suoi occhi verdi, carichi di aspettative tradite, che si spengono sempre di più con il passare del tempo.
«Non ci vado!» sentii la voce uscirmi fuori dalla bocca, il cuore battermi forte nel petto come se volesse scappare via.
«Perché?»
Quel tono, a papà, non glielo avevo mai sentito. Anche il volto stravolto dalla rabbia mi era del tutto nuovo.
Trattenni altre lacrime, anche se sapevo che presto sarebbero state incontrollabili.
Mancavano due giorni ai campionati regionali, e sapevo di aver appena infranto tutte le aspettative che papà aveva riposto in me. Aveva pianificato la giornata, preso ferie, fatto sacrifici per vedermi vincere.
E io stavo demolendo tutto. Mi sentivo schiacciata sotto il peso della sua delusione, ma non potevo farcela. Non potevo gareggiare solo per farlo felice.
«Perché non voglio! Non sono pronta!» gridai.
«Dammi una spiegazione sensata!» La sua voce rimbombava nella stanza, riempiendo ogni angolo di tensione. «Non puoi tirarti indietro adesso!
«Non ci sono spiegazioni, non andrò a fare quella gara e basta!»
Mamma cercò di calmarlo, come sempre faceva quando lui perdeva il controllo. «Roberto, lasciala stare. Se non se la sente, non possiamo obbligarla. Chiamerò Marco, dirò che sta male. Può ricominciare a settembre.»
Ma mio padre non ascoltava. Il suo volto era una maschera di rabbia. «Stupida! Sei solo una stupida!» sibilò, gettandomi un'occhiata carica di disprezzo prima di uscire dalla stanza, sbattendo la porta.
Rimasi immobile per qualche secondo, il silenzio assordante dopo quelle urla sembrava ancora più opprimente. Mamma sospirò, mi lanciò uno sguardo pieno di compassione, ma non disse nulla. Poi se ne andò anche lei e io corsi in camera mia. Mi gettai sul letto, mi infilai sotto le coperte, presi il cuscino e lo morsi con forza, cercando di soffocare i singhiozzi. Non volevo farmi sentire, non volevo che nessuno sapesse quanto stessi male.
Piansi finché non sentii la gola bruciare, la testa pulsare e le forze abbandonarmi.
~•~
Per tutto il mese di settembre mi faccio lasciare da papà davanti l'entrata della piscina, ma non appena svolta la curva scappo via e passo il pomeriggio in giro per librerie, negozi di CD e profumerie.
Mamma e papà la sera indagano, hanno sempre voglia di parlare, nonostante la lunga giornata di lavoro.
«Come va a scuola? E con i compagni? E i professori che dicono? Quel compito poi come è andato? E gli allenamenti? Margherita non si fa vedere da un po'»
Io riesco a dire poco, se non la solita frase di circostanza con cui spero di ammansirli per un altro po' di tempo: «è tutto ok, non c'è nulla che va male.»
A quel punto loro smettono di fare domande e io non so come sentirmi: arrabbiata, sollevata, indifferente?
Mi metto sotto le coperte e cerco semplicemente di rifugiarmi in un posto neutro della mia mente.
Il giorno dopo però ricomincia tutto.
Al piccoletto preparo sempre le cose che mamma mi scrive sui bigliettini attaccati al frigo: oggi carne, oggi pesce, oggi riso.
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
Ficción General© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...