17 🧓 *Il sorriso d'un santo* 🧓

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Ci facciamo strada lungo un piccolo sentiero acciottolato, talmente stretto che per entrarci tutti quanti dentro siamo costretti a camminare in fila indiana. Adiacente al piazzale che costeggia il retro della chiesa di San Lorenzo c'è un campetto di calcio, una porzione di terra con l'erbetta sintetica circondata da abitazioni malandate e recinzioni di ferro. Qui, i ragazzi si mettono a calciare una lattina di coca cola che nelle loro menti brillanti dovrebbe fungere da pallone.

La profossoressa, che si sta limitando a osservare con sguardo serio e concentrato la cassetta piena di bombolette spray e la copia A4 della figura che dovremmo riprodurre sul muro gigante, a un certo punto mi domanda se posso andare a prendere all'oratorio il rosso fuoco, il verde menta, l'arancio pastello e il nero opaco. Rispondo con un «certo, prof.» e lei solleva la testa e mi sorride, ringraziandomi in anticipo per l'aiuto.

Riattraverso il sentiero nel senso opposto, dimenticatondomi completamente di chiederle la posizione esatta dell'oratorio.

Spero di riuscire a trovarlo.

Il complesso accanto alla chiesa è dotato di tre porte bianche. Mi avvicino a quella più grande, sperando che sia quella giusta. Ma quando abbasso la maniglia e sbircio all'interno, mi rendo conto che si tratta solo di un vecchio e buio magazzino che emana un forte odore di stracci. Tossisco per la polvere che mi si è incastrata in gola e provo con la seconda porta, quella che sta in mezzo. Questa volta ci azzecco. All'interno l'ambiente è luminosissimo, grande e pulito. C'è un altare, una piccola statua della Madonna e la luce che filtra attraverso le finestre colorate che narrano storie sacre di Gesù Cristo e i suoi discepoli. C'è perfino un palco. Credo che qui dentro ci facciano i saggi di fine anno i bambini delle scuole.

Non ho mai pregato seriamente Gesù Cristo. Forse dovrei provare. Ho sempre creduto nel destino e nel Karma. Dio lo prego solo quando sono davvero molto triste. Chissà che non mi ascolta proprio perché lo prego poco e pure a convenienza? Forse Dio è incazzato con me. Devo pregarlo più spesso.

Lascio perdere Dio e, tossicchiando, mi avvicino timidamente al signore che è seduto sulla seggiola di legno all'angolo del palco. Credo che sia l'anziano custode, assorto nella lettura del giornale. Lo tiene stretto tra le dita ossute, sollevato davanti al viso, e infatti dalla mia posizione non riesco a vedergli gli occhi ma solo la massa di capelli canuti che ha sul cranio.

So che questa volta sono costretta a chiedere informazioni, altrimenti le bombolette me le posso scordare. Devo smetterla di vergognarmi. Sarebbe bello far apparire gli oggetti dal nulla in modo da non dover domandare favori agli altri, ma questo potere ancora non ce l'ho.

Saluto il custode con voce sottile e mani sudate che poi decido di intrecciare dietro la schiena, ma lui sembra non accorgersi di avere qualcuno vicino a sé.

Silenzio.

Ho parlato troppo a bassa voce?

Forse dovrei riprovare con un tono più alto. Meglio abbondare. Con nonna Lucia funzionava sempre.

Mi schiarisco la gola: «SALVE SIGNORE!»

Il secondo tentativo funziona. D'altra parte i secondi tentativi riescono sempre meglio dei primi. Il signore abbassa il giornale, solleva la testa e lentamente mi adagia sul viso due piccoli occhi grigi. Secondo me, questi due occhi hanno visto tante cose nella loro lunga vita e scommetto che i due terzi di queste non sono neanche tanto belle, ma il terzo mancante dev'essere straordinario.

Il sorriso con cui mi accoglie, invece, è strano e ostinato; mi sta trafiggendo il petto, un punto nel cuore che non sapevo neanche di avere. Sembra il sorriso di un santo. «Dimmi bella signorina» mi dice.

«Mi scusi. La professoressa mi ha chiesto di venire a prendere gli altri colori spray che mancano. Potrebbe aiutarmi?»

«Ah, voi siete quelli della scuola. Mi dovete scusare se non sono venuto ad accogliervi»

La gentilezza con cui lo dice, e il rammarico che gli sento nella voce, mi fanno quasi commuovere. Nonostante l'età e gli acciacchi, eccolo che rimane fedele alla sua galanteria d'altri tempi!

«Ma no... non si preoccupi» lo rassicuro. «Non importa che non sia venuto. La vostra accoglienza l'abbiamo sentita lo stesso»

«Ah! Ma io non sono venuto perché sono un mal vivente»

"In che senso" sto per chiedergli, ma poi lui prosegue, probabilmente vedendo la confusione farsi largo sul mio viso.

«Mal vivente nel senso che un altro, se avesse avuto gli stessi problemi di salute che ho io, a quest'ora non sarebbe seduto qua a parlarti»

«Oh mi dispiace. Davvero. La vita di nessuno è perfetta. Bisogna trovare la forza per andare avanti», dico, parole di circostanza, ma sincere. Le penso davvero. Cos'altro si dice in questi casi?

«Ah! Non importa. Un giorno chiesi a un sapiente: qual è l'unico modo per non morire? E sai che mi rispose, questo che sapeva tutto?»

Non ne ho idea. «Cosa?» gli domando.

«Non rispose. Così io gli dissi "mio caro, l'unico modo per non morire è non vivere". Lui rimase ancora zitto e io risi. Pensai "morirò contento, perché se muoio significa che ho vissuto. Il brutto non è 'morire'. Il brutto è 'non vivere affatto' ". Beh signorina...» Si alza vacillante. Sembra che la forza di gravità lo stia spingendo verso il basso. «Adesso vado a prenderti i colori che ti servono. Tu aspettami qui eh.»

Dico di sì con un cenno del capo, incapace di proferire una parola. E mentre lui scompare dietro le quinte del palco, posando il giornale su un tavolo, io ripenso alla storia sulla vita e la morte che ha appena finito di raccontarmi.

Di fronte alle lezioni di vita raramente riesco a dire qualcosa di sensato.

Le persone vissute mi inibiscono, o forse mi stupiscono. Inoltre, verso quelle più grandi provo un timore reverenziale che mi spinge ad ascoltare ciò che dicono, ma che allo stesso tempo mi fa venire voglia di chiudere in fretta la conversazione.

Quando il vento mi accarezzò la pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora