Entriamo in ascensore, saliamo al reparto di chirurgia e ci inoltriamo nel corridoio silenzioso, camminando nel buio senza dire una parola. L'infermiera ci fa accomodare in una sala d'aspetto simile a quella che c'è al piano inferiore, con i muri scrostati e le sedie a semicerchio.
Ci sediamo. Dopo qualche minuto di attesa una porta si spalanca e comprare una barella bianca. Sopra c'è Mattia.
Papà mi sussurra di raggiungerlo. Faccio un passo esitante, impaurita da quello che potrei vedere. Ma poi tiro fuori l'ultimo briciolo di forza che ho conservato con cura dentro me stessa e mi avvicino.
Mattia sembra così fragile che potrebbe spezzarsi con un grissino. Ha il colorito cadaverico, gli occhi chiusi, il corpo nudo ricoperto da un lenzuolo grigio, i capelli scompigliati, ed è senza forze.
Gli prendo la mano buona, quella non bucata dall'ago delle flebo, e con la mia, quella libera, scaccio via una lacrima.
Respiro per non piangere. Adesso è il momento di essere forte per entrambi.
Mi abbasso lentamente e con cautela. Ho paura di fargli del male. Mi avvicino al suo viso e le nostre arie si mischiano.
Sento un rumore soffocato, e solo dopo, quando le sue palpebre si alzano e i suoi occhi mi mettono a fuoco, capisco che era un mio singhiozzo. Pensavo che non sarebbe riuscito a riconoscermi, e invece le sue labbra sottili si inarcano in un sorriso stanco ma bellissimo e luminoso.
«Come stai?» mi domanda.
La sua voce è poco più di un sussurro, ma io riesco a sentirla lo stesso e rido così forte che finisco per piangere.
«Dovrei chiedertelo io come stai, scemo» rispondo, e questa volta non cerco di trattenere le lacrime, anzi le lascio scorrere tutte, una per una. Mi bagnano la pelle provocandomi un forte senso di liberazione perché per la prima volta, dopo molto tempo, sto piangendo di felicità.
Piango perché Dio mi ha ascoltata. Piango perché Dio ha fatto svegliare Mattia. Piango perché prima che Dio mi ascoltasse, ho dovuto soffrire tanto.
«Io sono stato meglio di così»
«Ti riprenderai, promesso»
«È stato Maicol»
«Lo so. L'ho già detto ai dottori. Hanno mandato la polizia a casa»
«Quindi è finita?»
«Sì. Non può farti più del male. È finita» Sorrido, cercando le parole nel silenzio e il coraggio nei suoi occhi. «Matti, posso fare una cosa? Visto che sei sotto anestesia, magari non te la ricorderai»
«Falla»
Sorrido timidamente, mi avvicino alla sua faccia ed esito per un istante, annusandogli la pelle. Ha un odore buono. Mi ricorda i giorni felici delle vacanze estive, quelle trascorse al mare, sotto al sole, a nuotare, a giocare con la sabbia e a leggere romanzi d'amore che mi facevano sognare il ragazzo perfetto. La vita non sempre lo è. Ma un odore può esserlo.
Chiudo gli occhi e poso dolcemente le mie labbra sulle sue. Sono morbide e le sento fremere contro la mia pelle.
Mattia trattiene un respiro, sorride sulla mia bocca e poi butta fuori tutta l'aria che sa di lui. «Cazzo! Dovevo quasi morire per avere questo bacio?»
«Scusa se c'ho messo tutto questo tempo per dartelo. Sono stata una stupida»
«Non importa, fallo di nuovo. Non smettere mai più. Baciami ancora.»
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
Ficción General© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...