36 🥀 *Una rosa che non riceve acqua* 🥀

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Mentre saliamo le scale, noto delle chiazze strane sui muri.

Trattengo il fiato per non sentire l’odore di pipì e cerco di non rabbrividire davanti all’ambiente tetro e senza luci.

Oltrepassiamo un gruppetto di bimbi seduti per terra, intenti a giocare con delle bamboline di pezza. Sorrido, rendendomi conto che si accontentano di così poco, nonostante il degrado che li circonda.

Mi impongo di non pensare a niente, tranne che a mettere un piede davanti a un altro, ma il mio è come al solito una causa persa: più non voglio fare una cosa e più la mia mente me la impone.

Rimediare agli errori è troppo facile. Dovremmo farci mille domande prima di commetterli, così da non dover raccogliere i pezzi quando tutto è andato in frantumi.

Lara mi tiene la mano. Samuele si mantiene in disparte per tutto il tempo e viene avanti solo per aprire la porta di casa. Ci facciamo strada lungo un corridoio con il pavimento di cotto marrone e quadri attaccati alle pareti raffiguranti scorci di Napoli, bellissimi, realizzati con gli acquerelli.

«Dove li avete comprati?» chiedo, avvicinandomi per osservarli meglio e leggere il nome dell'artista.

Samuele tossisce. «Li ha fatti mia madre» La sua voce è flebile come un soffio, proviene da un punto remoto alle mie spalle. «Ti piacciono?»

«Sì, molto» Continuo a guardarli rapita, tenendo gli occhi ben aperti per non perdermi neanche un dettaglio. «Come mai proprio Napoli?»

«Perché lei è di Napoli»

Mi volto, sorpresa. «Tu sei di Napoli?»

«Mia madre» specifica lui, abbassando lo sguardo. Quando lo rialza, accenna un sorriso. «Io sono di Bologna»

«Hai sangue del sud nelle vene»

«È una cosa brutta?» È sulla difensiva.

«Ma no. È che... lascia stare»

«Dai, dimmi» insiste.

«I miei nonni erano di Napoli» confesso. «Ecco, tutto qua»

«E poi sono venuti qui?» Adesso è lui ad essere curioso, ma non cerca di nasconderlo, a differenza mia.

«Sì, per lavoro, avevano diciotto anni. Hanno aperto una pizzeria. Poi l'abbiamo venduta quando sono morti. Sono morti a breve distanza l'uno dall'altro qualche anno fa. E niente. Mia madre è nata qui e si è sposata con mio padre che è Bolognese da generazioni infinite»

«È un puro sangue»

«In che senso?»

«Lascia stare» dice, togliendosi il giubbotto e appendendolo. Sfila una sigaretta dal pacchetto e se l'accende sventolando una mano per aria. «Stavo solo pensando a Harry Potter. Non so ce l'hai presente» Fa un tiro e mi guarda come se mi stesse studiando. «Vabbè, comunque, niente» Socchiude gli occhi per non farsi accecare dal fumo. «Ci sono i babbani in Harry Potter, no? E poi anche i mezzo sangue come la madre di Harry e i puro sangue come...»

«Il padre» finisco per lui

«Lo conosci, quindi?»

«Chi non conosce Harry Potter?»

«C'è chi non l'ha mai letto. Io tutti e sette, tre volte. Trovami un altro così.»

«Beh, io. Li leggo ogni anno. Quasi sempre d'estate. Penso che una cosa così perfetta non verrà scritta per il prossimo secolo»

«A Napoli ci vai spesso?» cambia argomento.

«No, ma il mare è fantastico. Se potessi, ci vivrei»

«Il mare del sud è tutto bello»

Tossisco per riempire il silenzio. Adesso che la conversazione si è esaurita, inizio a rendermi conto che abbiamo parlato normalmente.

«Samuè ca' staje...» Sbuca una donna nel corridoio. Ha lo sguardo stanco e severo. Nota la mia presenza e si zittisce. «Non credevo ci fossero ospiti in casa»

Mi guarda, e io guardo lei. Non riesco a distogliere gli occhi da questa persona.

Potrei dire con assoluta certezza di avere di fronte a me una donna meravigliosa, se non fosse per l'aria esausta che le segna il volto e la magrezza paurosa. La sua bellezza mi ricorda quella appassita di una rosa che non riceve acqua da molto tempo. Ha una sigaretta tra le dita, i capelli scuri attaccati sulla nuca e gli occhi neri e grandi cerchiati da occhiaie.

«Mio figlio è uno scostumato, non ti ha neanche invitato a entrare»

Non credevo che si potesse osservare una persona con così tanta freddezza e a farla sentire, nonostante tutto, la benvenuta.

«Fa niente. Mi ha invitato Lara»

«Sì. E ora quella peste a jut jucà e se ne fotte. Chilla è na criautura. S'è scurdat» Il suo marcato accento campano mi fa rivenire in mente quello della nonna. «Dai entra, forza»

«Ma'...» interviene Samuele. «Lasciala stare»

«Ma vattin» lo fulmina. «Fatti i fatti tuoi. Vuole entrare, si capisce dagli occhi.»

Quando il vento mi accarezzò la pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora