Il mattino dopo apro gli occhi con la voglia di richiuderli e ritornare subito a dormire. Sbadigliando, guardo l'ora sul telefono: sono le sette. Sono già le sette.
Riappoggio la testa sul cuscino. Riesco a sentire da qui il profumo forte del caffè.
Oggi è uno di quei giorni in cui spero che accada qualcosa che mi impedisca di raggiungere la scuola: guasto alla macchina, sciopero dei professori, disinfestazione improvvisa.
Purtroppo le mie preghiere non vengono mai esaudite e va a finire sempre che mi alzo dal letto con la voglia di ritirarmi in una baita in montagna, lontano dalla città e da tutte le persone che non sopporto. Mi ci chiuderei dentro e disegnerei fino a provare dolore alle mani. E non avrei bisogno di nient'altro, tranne che di cibo. Forse queste riflessioni sono un po' troppo infantili per una ragazza della mia età, ma non posso fare a meno di pensarle.
Oggi impiego molto più tempo del solito a sbrigare la mia routine mattutina.
«Roberto, i calzini sono sempre nel solito tiretto» urla mamma mentre esco dal bagno. «Non farmi domande inutili.»
Roberto è il nome di mio padre. Io lo chiamo sempre papà e a volte mi dimentico che, oltre a essere un padre, è anche un uomo.
Mamma si chiama Beatrice. E quando la raggiungo in cucina, dopo la doccia ed essermi vestita, butto lì ridacchiando: «ciao Bea»
«Ciao figlia» ricambia guardandomi stranita da sopra la tazza di thè. «Come mai di buon umore oggi?»
«Boh, mi gira così» Prendo uno yogurt e una brioche e vado a sedermi accanto ad Andrea, che fissa imbronciato la ciotola di cereali rigirando il cucchiaino nel latte senza mai prendere un boccone. «Ehi, che succede? Non hai fame?»
«Oggi non vuole andare a scuola» mi informa mamma, seduta di fronte a noi. «Fa i capricci come un bambino piccolo»
Stupita, lascio perdere la brioche e aggrotto la fronte. «E come mai non vuoi andare?» domando al piccoletto. «Qualcosa non va?»
«Perché non voglio e basta!» urla alzandosi e correndo in camera sua.
Guardo mamma interdetta. «Ma che gli succede?»
«Ha qualche problema con alcuni compagnetti di classe»
«Che problemi?» Stringo i denti irrigidendo la mascella.
Io li ammazzo tutti.
«Non ha voluto dirmelo»
«Se fa così è una cosa seria, o no?»
«Tutti abbiamo dei problemi Luana» asserisce lei con fermezza. «Ma questo non ci da il permesso di venire meno ai nostri impegni»
«Ma lui è un bambino e quindi i problemi gli sembrano più grandi» le faccio notare.
«Prova a parlargli tu» Mamma beve l'ultimo sorso di thè, poi appoggia la tazza vuota sul tavolo.
«Ok, ci provo»
Mi alzo ed entro nella sua cameretta dopo aver bussato e aver aspettato di sentire il solito "avanti".
La camera di Andrea è immersa nel blu, con poster di supereroi attaccati alle pareti, tanti peluche e la libreria ricolma di fiabe, favole e libri della scuola.
Lui è seduto al centro del letto con le gambe a penzoloni, i gomiti sulle ginocchia, il viso tra le mani e l'espressione imbronciata.
Decido di entrare dopo un attimo di esitazione e gli siedo vicino, sul piumone azzurro che riporta la figura di un grosso delfino intento a volteggiare spensierato tra le acque del mare.
Vorrei essere lui, in questo momento: libero, spensierato, gioioso.
«Sai, neanche io vorrei andare a scuola» gli confido come se fosse segretissimo.
E in effetti, un po' lo è.
Solleva la testa e mi fissa sbigottito con gli occhi umidi per il pianto. «Davvero?»
Sorrido e gli asciugo le lacrime. «Certo, soprattutto per i compagni di scuola che a volte fanno troppo i simpatici. Però poi penso al fatto che mi piace disegnare e mi convinco ad andare»
Raddrizza la schiena per darsi un po' di arie. «A me piace leggere. La maestra dice che sono il più bravo di tutti»
Mi rilasso. «Ecco, hai visto?!» esclamo orgogliosa. «Non puoi rimanere a casa. Hai tante storie da leggere e la maestra non vede l'ora di insegnarti tantissime altre cose»
Andrea curva di nuovo la schiena, mette il broncio e sussurra triste: «Davide dice che sono un secchione, per questo oggi non vado!»
La mia mente si mette in moto alla ricerca della cosa giusta da dire senza che l'indignazione prendi il sopravvento. «Che ti importa di quello che dice Davide?!» dico decisa. «Sono sicura che è solo arrabbiato perché anche lui vorrebbe studiare di più ma ha poca voglia»
«Essere secchioni è una brutta cosa Lù?»
«Ma no, è solo un termine brutto che si usa per disprezzare una cosa bella»
«Quindi posso continuare a esserlo?»
«A te piace studiare e impegnarti?»
«Tantissimo!» esclama, improvvisamente su di giri. «Da grande voglio leggere. Esiste un lavoro così?»
Ci penso per un attimo. «Mmh, sì. Potresti lavorare in una casa editrice e correggere le bozze. I correttori di bozze leggono un sacco dalla mattina alla sera. Oppure potresti scriverlo tu, un libro, un giorno. Scrivere è un po' come leggere»
«Oggi abbiamo un tema in classe e scriverò. Così poi te lo faccio leggere»
«Quindi ci vai a scuola, ti ho convinto?»
«Sì! Ci vado»
«Bravo»
Gli scuoto i capelli, sorridendo, e lui mi appoggia la testa su una spalla, abbracciandomi. Sniffo l'odore dei suoi capelli. Profumano di buono, di dolce, di delicato, di chi ancora non conosce le cose brutte del mondo. E vorrei tanto che avesse sempre addosso questo odore, questa ingenuità attaccata sulla pelle; ma allo stesso tempo so anche che è impossibile preservarlo dalla vita.
Spero solo di riuscire a stargli accanto e di rappresentare per lui un punto di riferimento nei momenti in cui avrà bisogno di consigli e conforto.
Ci stacchiamo quando bussano alla porta. Papà entra in camera, lo zainetto stretto tra le dita, la camicia bianca e le lenti da riposo sulla punta del naso.
Con occhi verdi e dubbiosi fissa a intermittenza me e Andrea. «Amore tra fratelli di prima mattina?»
«Eh beh» Mi esce fuori un tono scherzoso, tronfio e orgoglioso. «L'ho convinto ad andare a scuola. Direi amore di una super sorella.»
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Quando il vento mi accarezzò la pelle
Ficción General© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. «Rifugiati nelle immagini felici per ritrovare la bellezza che hai perso...