7 🍸 *Un sabato tranquillo (parte I)* 🍸

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Luglio (passato)

Arrotolai ciocche di capelli intorno alle dita e mi morsi la pelle interna della guancia fino alla fermata del pullman. Era umida e viscida; se avessi continuato a mordere, mi sarebbe uscito il sangue.

Mancava ancora qualche metro a una Ford Fiesta verde parcheggiata vicino le pensiline, sotto i lampioni che coloravano d'arancione la strada deserta.

Il cielo catturò il mio sguardo verso l'alto e vidi la luna brillare in un'infinita distesa di stelle stupende.

«Siamo sicure di quello che stiamo facendo?» domandai a Margherita prima di entrare in macchina. «Se ci scoprono abbiamo finito di uscire per sempre»

«Amo, sei impazzita?» Mi prese il viso tra le mani. «È dall'estate scorsa che vogliamo uscire con questi e adesso fai la caca sotto?»

«Chiedevo solo»

«Coraggio, dai! Entriamo»

Aprimmo la portiera e ci sedemmo sui sedili posteriori. «Buonasera» salutammo.

Il ragazzo seduto davanti allungò il braccio per darci la mano. «Buonasera. Piacere, Mattia. Matti per gli amici»

«Piacere Luana»

«Margherita»

Ma noi già lo conoscevamo. A scuola, lui e i suoi amici, non passavano inosservati: orecchino, folti capelli chiari, jeans strappato sotto a una t-shirt verde con la scritta "I'm always right". Il suo sorriso gentile fu un balsamo per i miei nervi.

«Lui è Daniele» disse, indicando con la testa il ragazzo rosso seduto accanto a me e Margherita. «E questo alla guida è Samuele. Ceh ragazze, scusate per la maleducazione, ma è muto dalla nasci....»

«Zitto, coglione» Samuele sollevò la testa e mi fissò nello specchietto retrovisore. «Non è vero, non ascoltatelo, in realtà sono molto socievole. Comunque ciao»

Il cuore mi saltò in gola. Aveva degli occhi bellissimi, neri come il carbone, ipnotici, ed io ero cotta di lui da almeno un anno.

«Ciao»

Con le presentazioni fatte, lentamente mi sentii a mio agio e conclusi che la serata sarebbe stata un crescendo di emozioni, qualcosa che avrei ricordato per tutta la vita e che un giorno avrei raccontato ai miei nipoti, con un sorriso nostalgico.

Iniziammo a cazzeggiare e a parlare di quanto facesse schifo la scuola, il preside, i genitori, i compiti a casa e i professori.

Era tutto molto figo.

Svoltammo definitamente la serata con del gin sorseggiato direttamente dalla fiaschetta di Mattia, ma non feci in tempo a ingerire un goccio, perché Samuele attirò la mia attenzione alzando il braccio con un pacchetto di Marlboro tra le mani.

«Fumi?»

«No, no, grazie»

«Ok. Bello il vestito» Mi stava guardando la porzione di gambe scoperte. «Giallo è un bel colore, mi piace un casino.»

Tentai di abbassarmi l'abito, ma l'orlo elastico si ritirò su. «Sì, ehm, bello. Piace anche a me.»

«E cos'altro ti piace?»

«In che senso?» Arrossii.

«Mmh, non lo so. La musica, ad esempio. Ti piace?»

«Sì. Oddio, non quella che piace a te, probabilmente.»

Inclinò il volto e sorrise in un modo che mi fece venire il terremoto nello stomaco. «Perché, che musica mi piace secondo te?»

«Rap, trap, hip hop?» era così ovvio.

«Non solo» Collegò Spotify al lettore della macchina. «Questo è rapcore e scommetto che ti piacerà.»

«E cosa scommettiamo?»

«Un ballo»

«Un ballo?» domandai confusa.

«Sì, un ballo in spiaggia. Ballerai con me, quando vincerò.»

Decisi di stare al suo gioco. «Va bene, tanto perdi.»

«Vedremo! Io non perdo mai» schiacciò il tasto play e partì la canzone di un cantante popolare tra i miei coetanei, di cui però non ricordavo il nome.

«Come si chiama?»

«Notti in bianco.»

«Intendo il cantante...»

Samuele spalancò gli occhi. «Esci fuori da questa macchina. Subito!»

Sbiancai per l'imbarazzo e la paura che facesse sul serio. «Cioè, so che in molti lo ascoltano, ma non so il nome e...»

«Ehi, sto scherzando» Scoppiò in una risata. «Si chiama Blanco. Ascoltalo.»

Decisi di dare una chance a quella canzone, che stranamente mi piacque.

Il vento gli scuoteva i capelli nerissimi. Aveva la carnagione chiara e i tatuaggi sulle braccia: un tipo che in altre occasioni non mi avrebbe degnata di uno sguardo neanche per sbaglio; uno di quelli belli e inavvicinabili con l'espressione imperscrutabile che fa paura, ma che al  tempo stesso ti magnetizza come una calamita.

Indossava gli abiti che indossavano tutti i diciottenni della nostra scuola, conformi alla moda, con gli strappi e le t-shirt scure. Ma sembrava che quel genere di vestiti, a lui, gli si addicessero di più che agli altri. Mi diedero l'impressione che non fossero solo una moda ma che facessero davvero parte di lui come una seconda pelle, qualcosa di ancestrale.

Ero cotta, cottissima di lui.

Quando il vento mi accarezzò la pelle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora