CAPITOLO 21: PRIMI GIORNI DI SCUOLA

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Per Ginevra fu difficile alzarsi la mattina del primo giorno di scuola. Dopo un quarto d’ora passato a rimandare la sveglia decise di scivolare fuori dal letto. Si diresse stancamente in cucina per prepararsi la colazione. Era talmente assonnata che quando prese la bottiglia di latte rischiò di farla cadere.
Fece colazione e si lavò la faccia e i denti. Mentre usciva dal bagno, però, rischiò di sbattere contro la porta.
Verso le sette e mezza era pronta senza un filo di trucco. Salì in macchina e rimase tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, pensando a quella meravigliosa estate che purtroppo era finita.
Il suono di una notifica riempì la macchina, facendola sorridere. Accese il telefono e aprì WhatsApp.
“Arrivo tra cinque minuti amore. Tu sei già a scuola?” le aveva scritto Jonathan.
“Tra pochissimo sono arrivata.” rispose, poi ripose il cellulare nello zaino.
Arrivò a scuola un po’ prima dell’inizio delle lezioni. Si accorse subito di Jamila e Raven che la stavano aspettando vicino all’ingresso.
“Ciao mamma.” salutò Ginevra.
“Ciao tesoro. Buon primo giorno di scuola.”
“Grazie.”
“Quando finisci viene a prenderti papà.”
“Va bene. Ciao mamma.” 
Scese dalla macchina, attraversò la strada e salì sul marciapiede opposto, dove i suoi amicə la aspettavano. Si salutarono sorridendo e Jamila non perse l’occasione per osservare l’abbigliamento dell’amica.
“Oggi non sei vestita così male.” commentò sorridendo.
Le labbra di Ginevra si piegarono all’insù.
“È la prima volta che me lo dici da quando ci siamo conosciute.” osservò.
Un sorriso spuntò sul viso di Jamila. 
“Sapete qualcosa di Jonathan?” cambiò argomento Raven.
“Poco fa mi ha scritto che arrivava tra cinque minuti.” rispose Ginevra.
“Mi sa che è arrivato.” disse Jamila guardando il marciapiede opposto.
Ginevra si voltò e lo vide. Camminava verso di loro con un sorriso stampato in faccia, che contagiò la fidanzata. Alcune ragazze a qualche metro da loro si girarono a guardarlo.
“Ciao” salutò lui appena arrivò vicino aglə amicə.
“Ciao amore” salutò Ginevra facendo un passo verso di lui.
Le ragazze che l’avevano guardato si voltarono nel momento in cui i due si scambiarono un bacio.
La campanella interruppe le loro chiacchere e li convinse a unirsi alla folla di ragazzə che stava entrando a scuola.
Ginevra salutò glə amicə e il fidanzato prima che ognuno entrasse nella sua classe.
Dal terzo anno, glə studentə del liceo artistico dovevano decidere di seguire un indirizzo più specifico: Ginevra aveva scelto l’indirizzo di grafica, Jamila quello di design. Per questo, non potevamo stare in classe insieme.         
La professoressa pinto, l’insegnante di storia dell’arte, una donna sulla quarantina, alta e bionda aspettava i suoə studentə seduta in cattedra. Indossava come sempre un paio jeans blu e una camicia. Un paio di occhiali rotondi circondavano i suoi occhi verdi.
La loro aula non era particolarmente grande, ma riuscivano a starci ventiquattro alunnə senza problemi.
Ginevra si sedette in terz’ultima fila vicino alla finestra, aspettando che il resto della classe entrasse. Molte persone che entravano, Ginevra non le conosceva: si ricordava di Layla, una ragazza che non le stava per niente simpatica, Jasmine, una frana in matematica ma bravissima in storia dell’arte e nelle materie artistiche. Moltə altrə, non lə aveva mai vistə. 
Si appoggiò alla finestra e guardò oltre il vetro, pensando a quell’estate fantastica. Ma ormai era tutto finito. La professoressa aveva già cominciato a borbottare le solite frasi di inizio anno: diceva di impegnarsi di più perché era iniziato il triennio, di non ridursi all’ultimo con lo studio e altre cose del genere.
“Ora parlate voi. Raccontatemi cosa avete fatto quest’estate.” disse l’insegnante con un tono più frizzante.
“Sabrina, comincia tu.” continuò, guardando una ragazza bionda in primo banco.
“Ehm, ecco…”
Cominciò a parlare, raccontando delle sue vacanze in Valle d’Aosta. Il suo compagno di banco raccontò della sua settimana in Spagna, un altro parlò della sua vacanza a Roma e un’altra ancora disse un paio di frasi sulla sua estate in Sicilia. Mentre la compagna di banco di Ginevra raccontava del suo ritorno dai suoi parenti in Albania, la ragazza pensava a cosa dire: tolte le relazioni d’amore e d’amicizia  iniziate, non c’era niente di strabiliante. Ma nonostante non avesse fatto niente di particolare, era stata l’estate migliore della sua vita grazie alle persone con cui aveva passato quei momenti. Quando la sua compagna di banco finì il suo racconto, arrivò il turno di Ginevra.
“Ginevra, tu cos’hai fatto quest’estate?” chiese la professoressa con un sorriso.
La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, imbarazzata.
“Ehm, ecco… non ho fatto niente di speciale, sono rimasta a casa tutta l’estate. Sono andata al mare nella mia città.” spiegò. 
“Non essere timida, qui nessuno vuole giudicarti.” continuò la donna.
La professoressa di storia dell’arte era quella che riusciva a capire meglio Ginevra. Sapeva che era timida e che non le piaceva parlare davanti a tuttə, così cercava sempre di incoraggiarla.
Ginevra si girò verso la finestra, pensando a cosa dire.
“Ho passato molto tempo in spiaggia.”
L’insegnamento annuì, poi si rivolse a Rachel.
“Tu cos’hai fatto quest’estate?”
La ragazza fece un sorriso di scherno.
“La prima settimana di settembre sono andata a Genova con il mio ragazzo.”
Pronunciò le ultime tre parole guardando con la coda nell’occhio Ginevra. Lei rispose alzando gli occhi al cielo e girandosi verso la finestra.
Ora che ci rifletteva, la prima settimana di settembre, il fantasma di Erik era apparso molte volte…
Non poteva essere una coincidenza. Si spremette le meningi per cercare una correlazione, ma non le venne niente.
Quando suonò la campanella, Rachel fu la prima a uscire dalla classe per l’intervallo.
Ginevra prese la barretta che si era portata per merenda e aspettò che Jamila uscisse dalla sua aula. Una volta insieme, si diressero verso la terza F. Jonathan e Raven le stavano già aspettando sull’uscio della porta. 
“Ciao amore. Ti sei cacciata nei guai?” chiese Jonathan guardando la fidanzata, con le labbra
leggermente piegate all’insù.
Il suo sorriso la contagiò.
“Per adesso no.”
Il ragazzo rise lievemente, e Ginevra non si perse quello spettacolo: il suo sorriso e la sua risata lo rendevano sempre più bello.
“Andiamo a fare un giro?” propose lei.
Il ragazzo annuì e prese per mano la fidanzata. Ginevra sorrise e cominciò a camminare. Raven e Jamila decisero di non seguirli per uscire in giardino e prendere un po’ d’aria fresca.
Ginevra e Jonathan arrivarono alle scale e salirono al primo piano. Il ragazzo si fermò a prendere qualcosa alla macchinetta prima di continuare il loro giro.
“Di solito non prendevi il caffè.” osservò Ginevra.
“È che sono stanchissimo, e se non ne prendo uno mi metto a dormire.”
La ragazza annuì e aspettò che il bicchierino si riempisse. Una volta pronto, Jonathan prese il caffè e i due continuarono il loro giro.  Poco dopo però , Ginevra si pietrificò. La farfalla nera svolazzava a pochi metri da lei. Volava davanti a sé, verso l’altra parte del corridoio. Se la sua supposizione era giusta…
“Che è successo amore?” chiese Jonathan.
Ginevra camminò a passo svelto cercando di non perdere di vista l’insetto.
“Hai visto la farfalla nera?”
La ragazza annuì senza staccare lo sguardo dall’animale.
La farfalla accelerò ancora, costringendo Ginevra a correre. Anche Jonathan si mise a correre cercando di non rovesciarsi addosso il caffè.
L’insetto girò a destra in un corridoio più corto e meno luminoso, dove c’erano tre aule computer e altre classi.
Quando arrivarono in fondo al corridoio, la farfalla scomparve in una piccola nuvola nera. Ginevra si guardò intorno, cercando quel qualcosa che avrebbe confermato la sua supposizione.
In un angolo, notò Erik e Rachel sussurrarsi qualcosa. Erano uno di fronte all’altro e Rachel aveva le spalle appoggiate al muro. Vicino a loro c’era la porta chiusa di un’aula.
Ginevra sapeva bene che era meglio farsi gli affari suoi, ma quei due le sembravano troppo sospetti. Fece cenno a Jonathan di fare silenzio e si avvicinò alla porta dell’aula. Fortunatamente, la folla di ragazzə tutt’intorno in qualche modo li camuffava. Mentre apriva la porta, sperò con tutta sé stessa che non cigolasse e che dentro non ci fosse nessuno.
La spostò abbastanza da potersi nascondere dietro insieme al fidanzato. Diede una veloce occhiata all’interno: non c’era nessuno. Sì voltò e tese l’orecchio.
“Hai già comprato quello che ti serve?” sussurrò Rachel.
Dalla voce, Ginevra intuì che stesse sorridendo.
“Non ancora. In realtà, non sono sicuro di farlo.” sussurrò Erik.
“Come non sei sicuro? Pensavo che l’avresti fatto domani.”
“Non lo so baby. Ci devo pensare ancora un po’.”
“Ma su cosa devi riflettere?”
Erik ci mise qualche secondo a rispondere.
“Non lo so. Ma ci voglio pensare. Più che altro, non so cosa scrivere.”
“Giusto. Prenditi un po’ di tempo. Deve essere una frase perfetta.”
“Hai ragione. Una frase perfetta.” ripeté lui.
Ginevra sentì il suono delle labbra che si univano in un bacio, ma rimase con l’orecchio teso, in caso dicessero qualcosa. Quando il suono terminò, i due non si dissero più niente.
La campanella trillò ma Erik e Rachel rimasero fermi, così Ginevra e Jonathan ne approfittarono per svignarsela. Aprirono bocca solo quando girarono l’angolo.
“Cosa vuole scrivere Erik di così importante?” si chiese Ginevra infastidita.
“Non lo so. E poi, cosa deve comprare?” si chiese Jonathan con lo stesso tono della fidanzata.
“Ma soprattutto: perché ci deve pensare?”
Si fecero molte domande a vicenda, senza però trovare risposte.
Ginevra arrivò in classe un attimo prima che la professoressa di biologia varcasse la soglia.
Tuttə erano tornatə in classe, tranne Rachel. L’insegnante se ne accorse ma non disse niente.
“Buongiorno ragazzi.”
Mentre glə studentə la salutavano con dei “buongiorno” in momenti diversi, la donna si sedette alla cattedra.
Sistemò la borsa e accese il proiettore. Inserì la password mentre chiedeva cosa avessero fatto quell’estate.
La porta si aprì e tuttə si girarono verso la ragazza appena entrata.
“Rachel, hai sentito la campanella?” la rimproverò la professoressa.
“Scusi prof.” disse un po’ seccata, e si sedette al suo banco.
“Anche gli anni scorsi eri sempre in ritardo.”
Rachel non rispose.
Mentre la professoressa parlava, Ginevra non era presente. La sua mente era impegnata a capire cosa Erik e Rachel si fossero dettə. Ma prese così le parole che si erano dettə non avevano senso. Ogni teoria che formulava cadeva dopo poco tempo a causa di altri aspetti che all’inizio non considerava.
Durante il cambio dell’ora ci ragionò un po’, ma quando entrò la professoressa di italiano e assegnò un tema sulle loro vacanze, smise di pensarci. 

La prima settimana di scuola passò e Ginevra conobbe tuttə i professorə nuovə.
Conobbe la nuova professoressa di discipline grafiche, una donna sulla quarantina, mora e dal viso gentile, che fece una breve introduzione sulla sua materia. Incontrò anche il nuovo professore di fisica, un signore un po’ tarchiato e con i capelli bianchi, che dopo le presentazioni spiegò la prima pagina del libro. Giovedì conobbe la sua professoressa di filosofia, una donna sulla cinquantina che parlò della sua materia come se fosse la più bella del mondo. Fece capire che avrebbe insegnato la sua materia con passione. Ginevra lo sperava: quando un insegnante spiegava senza averne voglia si sentiva e demotivava glə studentə. Si chiedeva come potesse avere voglia lei di studiare se non era per primə lə professorə ad avere voglia di spiegarla. 

Ginevra, Jonathan, Raven e Jamila si erano organizzatə per uscire quel sabato pomeriggio. Si erano messə d’accordo per fare l’ultimo bagno nel mare dell’anno visto che faceva ancora caldo.
Ginevra prese il suo zaino e uscì di casa poco dopo le tre e mezza. Mentre camminava le arrivò una notifica. Prese il cellulare e guardò WhatsApp: le aveva scritto Jonathan. Curvò le labbra in un sorriso e aprì la chat.
“Stai arrivando?”
“Sì. Jamila e Raven sono già lì?” rispose Ginevra.
La risposta le arrivò dopo neanche un minuto.
“Sì, sono già qui. Stiamo aspettando te.”
“Arrivo tra pochi minuti.”
Mise il telefono nello zaino e accelerò il passo.
Appena mise piede sulla sabbia, vide in lontananza gli amicə e il fidanzato presi da un’animata conversazione. Quando Ginevra fu abbastanza vicina interruppero la loro discussione per salutarla.
“Siete tuttə in anticipo.” obiettò mentre si sedeva vicino al fidanzato.  
“Beh, sai come sono fatto.” disse Jonathan con un sorriso, cingendole le spalle con il braccio.
“Io sono venutə qui per fare il bagno, quindi io proporrei di buttarci subito.” disse Raven alzandosi.
Tuttə si misero a correre verso il mare tranne Ginevra, che si stava ancora svestendo. Li raggiunse quando ormai erano riemersə.
Appena si mise in piedi nell’ acqua, un’ondata di acqua la travolse, facendole chiudere gli occhi.
“Hai caldo Ginevra?” scherzò Raven dopo averle schizzato.
Quando riaprì gli occhi, notò che l’amicə era molto vicino. Glə schizzò a sua volta, facendoglə ingoiare qualche goccia di acqua salata. Si divertì a guardare Raven tossire.
“Vedo che non hai più caldo.” scherzò Ginevra.
Mentre ridevano e si divertivano, non immaginavano che sulla spiaggia il fantasma di Erik li osservasse. Aveva come sempre un’espressione neutra, era immobile e silenzioso. Dopo qualche minuto si trasformò nella sua solita nuvola indaco. Viaggiò invisibile sulle strade di Tarri fino alla casa di Erik.
Entrò dalla finestra e si materializzò di fronte a lui, come faceva sempre.

Erik
Il ragazzo era sdraiato sul letto della sua stanza. Si alzò solo quando il fantasma si materializzò nella sua camera.
“Allora? Che sta facendo?” chiese.
Il fantasma assunse un’espressione più triste del solito.
“Sta facendo il bagno con i suoi amici e Jonathan.” riferì.
Erik abbassò lo sguardo, più triste del fantasma. Era l’ennesima volta che avrebbe voluto essere al posto di Jonathan e dei suoi amicə. 
Attraversò la sua stanza a grandi passi, fino alla finestra. Sospirò. 
“Ho deciso, lo farò.” dichiarò guardando la strada oltre il vetro.

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