CAPITOLO 24: GARA

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Tra allenamenti e lezioni, il ventisei ottobre era arrivato. Quel giorno era più soleggiato e caldo dei precedenti. Sembrava che anche il cielo volesse assistere a quella competizione.
Un forte brusio animava le tribune intorno alla pista di atletica, dove glə studentə stavano prendendo posto.
Ginevra aspettava trepidante di poter scendere dagli spalti e raggiungere la pista, dove un professore di educazione fisica stavano dando le ultime dritte con l’aiuto di un megafono.
“In questa giornata di sole siamo qui per vedere i vostri compagni sfidarsi in varie competizioni di atletica. Saremo felici di vedervi tifare per i vostri amici, fidanzati o fidanzate, ma non vogliamo che si creino litigi e sono assolutamente vietati insulti e cori contro qualche atleta. Come avrete capito, si sfideranno prima gli studenti del liceo artistico e poi quelli dello scientifico. Gareggeranno prima le ragazze e poi i ragazzi. La prima competizione è quella di resistenza, la seconda quella del salto in lungo e la terza quella di velocità. Detto ciò, lasciamo riscaldare qualche minuto le ragazze e cominciamo.”
Alcune ragazze si scaldarono correndo nel piccolo prato all’interno della pista di atletica.
Dopo qualche minuto, le ragazze che si sarebbero sfidate nella gara di resistenza si disposero una di fianco all’altra nelle otto linee della pista di atletica.
“Tre, due uno, via!!”
Le concorrenti non partirono di scatto, ma lentamente. Una ragazza con i capelli corti e scurissimi si distaccò dal gruppo, superando le avversarie. Le altre correvano a un paio di metri da lei. Una ragazza dai capelli azzurri e rasati ai lati la affiancò. Riuscì a superarla per un attimo, ma la ragazza dai capelli scuri accelerò e tagliò il traguardo per prima.  
“La vincitrice è Sara Barro!” annunciò il professore.
Moltǝ ragazzǝ urlarono di gioia dagli spalti. 
“Ora è il turno del salto in lungo.”
Ginevra rivolse un sorriso all’amica mentre si alzava.
“Stracciale tutte Jamie.” disse. 
La ragazza piegò le labbra in un sorriso e raggiunse le avversarie. Dopo qualche minuto di riscaldamento, le atlete formarono una fila indiana e Jamila si sistemò per terza. La prima si preparò e cominciò a correre per prendere la rincorsa. Un gruppo ristretto urlava il suo nome. Saltò, e Ginevra si accorse che aveva fatto un buon salto.
La seconda atterrò solo qualche centimetro prima della ragazza precedente. Mentre tornava in fila, guardò male la prima, che rispose con un sorriso. 
Poi arrivò il turno di Jamila. Ginevra, Jonathan e Raven urlavano fortissimo il suo nome. Jamila guardò glǝ amicǝ, rivolgendoglǝ un sorriso. Poi si voltò e assunse un’espressione concentrata. Il suo sguardo si posò davanti a sé, sulla pista su cui prendere la rincorsa. Partì. Man mano che si avvicinava alla sabbia acquistava velocità… mancava poco… pochissimo… un metro… la ragazza si diede una forte spinta con i piedi e volò in avanti per qualche secondo, per atterrare circa tre metri dopo. Aveva decisamente superato le ragazze che avevano gareggiato prima di lei.
Le altre cinque fecero dei bei salti, ma nessuna superò Jamila.
“La vincitrice è Jamila Ramlah!” annunciò il professore.
Ginevra, Jonathan e Raven esplosero in un urlo di gioia. La vincitrice lǝ guardò sorridendo prima di raggiungerlə sugli spalti.
“Sei stata bravissima.” si complimentò Ginevra abbracciandola.
“Ora le ragazze della competizione di velocità.” annunciò l’insegnate.
Ginevra si alzò e cominciò a dirigersi verso la pista.
“Vai e umilia Layla.” la incoraggiò entusiasta Jonathan.
“Forza Ginny.” 
Un sorriso riempì il viso di Ginevra. Non ne era sicura, ma intravide Erik guardare storto il fidanzato. 
Raggiunse le avversarie vicino alle corsie. Dopo un breve riscaldamento, si sistemò nella corsia più esterna. Il posto alla sua sinistra fu occupato da Layla.
“Pronte a perdere?” le stuzzicò quest’ultima, sicura di sé.
Ginevra e le altre non risposero: non volevano sprecare fiato.
“Tre, due…”
Ginevra  guardò dritta davanti a sé. Un po’ di ansia le stava salendo, ma doveva combatterla.
“Uno, VIA!”
Le otto ragazze partirono di scatto. Layla si trovò subito vicino alle altre, in quarta posizione. Ginevra era appena davanti a lei. 
“Jonathan sta male, Jonathan sta male.”
Quella frase invase la mente di Ginevra, rimbalzando da un lato all’altro della sua testa come una pallina da pingpong.
Non c’era più l’ansia che le stava salendo prima di partire. Le sue gambe si muovevano quasi da sole. Riuscì a superare la seconda.
Sentiva che Jonathan, Raven e Jamila stavano facendo il tifo per lei, ma li udiva quasi come una voce in lontananza. Era concentrata al massimo sulla corsa e su quella frase.
“Jonathan sta male.”
Le sue gambe non potevano andare più veloci. Anche se stava facendo di tutto per aumentare la velocità, non riusciva a superare la prima. Quando stava quasi per affiancarla, la ragazza davanti a lei tagliò il traguardo. Prima che potesse realizzare di essere arrivata seconda, raggiunse la fine della pista.
Uscì dalla sua bolla di concentrazione e sentì le urla di gioia della platea. Ginevra guardò davanti a sé e notò la vincitrice sorridere. Nonostante l’avesse battuta, era felice per lei. 
“La vincitrice è Alexandra Cassidori.” annunciò il professore.
Una volta raggiunte le tribune, Jamila le venne incontro e l’abbracciò.
“Sei stata bravissima.” si complimentò.
“Tu di più.”
Si sedesse al suo posto e guardò il susseguirsi delle altre gare, anche se non le interessava molto.
Appena finì la competizione di salto in lungo tra i ragazzi degli indirizzi dello scientifico, la sua attenzione tornò al campo di atletica.
Jonathan si alzò e si diresse verso la pista.
“Vai amore.” lo incoraggiò lei.
Seguirono altre frasi di incoraggiamento da parte di Raven e Jamila.
Jonathan raggiunse la pista, scaldandosi insieme ai suoi avversari.
Mentre i ragazzi si sistemavano per partire, notò un particolare non richiesto. La farfalla nera svolazzava verso gli otto ragazzi. Pensando alla sua supposizione, scattò in avanti. Sarebbe scesa dagli spalti se Jamila non l’avesse trattenuta. La prese per le spalle e la fece voltare verso di lei.
“Che c’è?”
“La farfalla nera.”
Jamila spalancò gli occhi.
“Scendo fino alla fila più bassa delle tribune.” spiegò Ginevra.
L’amica annuì guardinga.
Scese e si sedette per terra, vicino alla prima fila di posti. Osservava la posta tra i buchi delle transenne.
La calma che stava cercando di costruire si frantumò quando vide Erik nella corsia di fianco al fidanzato, quella in cui prima aveva gareggiato Layla. Jonathan si era fermato nella corsia più esterna. A differenza di Ginevra, lui era indifferente. Una volta che tutti si sistemarono, la farfalla scomparve nella sua tipica nuvola nera.  
Il conto alla rovescia del professore fece concentrare lo sguardo della ragazza sul fidanzato.
“Tre, due, uno, VIA!”
Jonathan partì meglio degli altri. Si vedeva che era concentratissimo. Sembrava quasi non sentire il tifo deglə amicə. Guardava avanti e bruciava metri come se avesse fatto solo quello in tutta la sua vita.
Erik era pericolosamente vicino, a meno di un braccio dietro l’avversario. Ma nonostante gli sforzi, non riusciva a superarlo. Jonathan non si accorse di quella sgradevole vicinanza: era troppo concentrato. Erik guardava con la coda nell’occhio l’avversario, come se tramasse qualcosa. 
E quel qualcosa arrivò poco prima dell'arrivo: allungò il braccio e diede una forte spinta all’avversario. Colto di sorpresa, Jonathan agitò le braccia per reggersi in equilibrio, ma quello sforzo non fu abbastanza. Perse l’equilibrio e cadde di faccia sulla pista. Tuttə si alzarono e un urlo di sorpresa sostituì le urla dei tifosi. Solo Rachel, Layla, Amalia e un ragazzo alto e moro seduto di fianco a quest’ultima non si alzarono. Mentre tuttǝ stavano a guardare, Ginevra aveva compiuto l’ennesima decisione impulsiva. Aveva scavalcato le transenne ed era corsa verso il fidanzato. In un attimo arrivò da lui, si accovacciò e lo aiutò a mettersi sdraiato a pancia in su. Ginevra notò delle ferite sulle mani e una sulla guancia, ma non erano quelle le più gravi. Il suo ginocchio destro era completamente sbucciato e una grande macchia di sangue lo copriva completamente. Ginevra ingoiò un’imprecazione. Doveva fare qualcosa. Tastò la tasca della sua felpa e trovò un pacchetto di fazzoletti. Non desiderava altro. Lo aprì, ne prese uno e lo appoggiò sulla ferita.
Ginevra percepiva il dolore bruciante del fidanzato. Per non farci troppo caso, Jonathan guardava il viso della fidanzata. Con una mano le accarezzò la guancia, continuando a osservarla. Ginevra incrociò il suo sguardo.
Intanto, il professore di educazione fisica gridavano aglǝ studentǝ di restare ai loro posti. I ragazzi che gareggiavano e l’insegnante, dopo essersi ripresi dallo shock, si radunarono intorno a Jonathan. Solo Erik rimaneva in disparte a guardare la scena. Aveva un sorriso soddisfatto e le braccia incrociate.
Raven e Jamila riuscirono a non farsi notare e a raggiungere l’amico.
“Andiamo nell’infermeria della scuola, lì ti disinfetteranno la ferita e ti metteranno una benda.” disse il professore.
Raven aiutò l’amico ad alzarsi e gli cinse le spalle con il braccio, sorreggendolo.
Gli atri atleti e l’insegnate con il megafono seguirono i tre ragazzi, lasciando il vuoto tra Erik e Ginevra. Furono seguitǝ dalle altre classi, che si dirigevano lentamente verso la scuola. Nessun professorǝ però, si era accortǝ della mancanza di Erik e Ginevra.
Quando tuttǝ se n’erano andatə, lei guardò negli occhi l’ex. Si rese conto di essere molto arrabbiata con lui.
Entrambǝ erano in silenzio. Solo la voce nella testa di Ginevra parlava.
Vuoi farlo soffrire, vuoi farlo soffrire…
Sentì le palpebre pesanti, così le chiuse e le riaprì, mostrando a Erik le sue iridi arancioni. Le fiamme bruciavano nella sua testa e dentro di lei.
“Perché i tuoi occhi sono arancioni?” chiese come se niente fosse.
La ragazza non rispose. Lo sguardo di Ginevra cadde vicino ai suoi piedi e notò che aveva la scarpa vicina a una goccia di sangue. Era il sangue della persona per cui avrebbe fatto di tutto, ed era lì a causa della persona peggiore che avesse conosciuto. Scrutò Erik in modo minaccioso per un attimo, come per dargli il tempo di scappare. Lui non afferrò il messaggio e rimase immobile a guardarla.
Troppo tardi. Ginevra scattò in avanti e con un forte pugno in pieno petto lo fece cadere di schiena.
“Ma che fai? Mi fai male.” mugugnò lui.
Prima che si potesse rialzare Ginevra lo prese a calci. Voleva sfogare tutta l’ira che provava su di lui. Il piede si muoveva da solo, come se avesse un cervello proprio che potesse provare solo rabbia.
“TU HAI FATTO DI PEGGIO A ME E JONATHAN!” urlò dopo una serie di calci.
Sul polpaccio scoperto di Erik c’erano i segni delle botte. Si vedeva che gli facevano male, ma cercava di non farci caso. Ancora sdraiato guardò negli occhi Ginevra e le mandò un bacio. Lei rispose con un dito medio davanti alla faccia. Sapeva di aver fatto più male a Erik con quel gesto che con i calci. 
“Ora che Jonathan non c’è, possiamo limonare. Che liberazione.” disse alzandosi.
Ginevra non lo ascoltò. Voleva ferire con le parole: le botte non avevano effetto, erano solo uno sfogo.
“Lo sai che dopo quello che hai fatto ti odio ancora di più?” ringhiò minacciosa.
“Non l’ho fatto per avvicinarmi a te.” disse secco Erik.
“E allora perché?”
“Perché lo odio e odio come ti ha cambiata.”
Ginevra lo guardò negli occhi.
“Allora dovresti odiare te stesso.”
Erik sospirò. Fece cadere lo sguardo.
“Io non perderò la speranza, e questo lo sai.” 
“Cercare di dividere me e Jonathan è come cercare di tagliare un grande albero con un coltello: puoi ferire il tronco, ma non puoi abbatterlo. Tu credi di essere forte, ma in realtà sei più debole di una farfalla. Non riesci neanche ad accettare la realtà. Non riesci ad accettare che io ormai ti ho dimenticato, che per me non sei più niente.”
Lo sguardo del ragazzo si sollevò. Questa volta i suoi occhi erano carichi di rabbia, ma non come quelli di Ginevra. Scattò verso di lei e le prese i polsi, cogliendola di sorpresa. La presa di Erik era molto salda: Ginevra faceva fatica a muovere le braccia. Con quel gesto, l’ex la fece arrabbiare ancora di più. Scuoteva i polsi con tutta la sua forza, ma il risultato era un piccolo movimento delle mani di Erik.
Il ragazzo chiuse gli occhi e sue labbra si avvicinarono lentamente al suo collo. Prima di raggiungerlo però, si fermarono vicino al suo orecchio.
“Shhh. Non fare così. Io posso darti tutto quello che Jonathan non riesce neanche a immaginare.”
Quelle parole sembravano avvolgerla e tentarla. Sembravano quasi una leggerissima nuvola intorno alla sua testa, pronta a entrare e prendere controllo della sua mente. Ma il lupo della rabbia non avrebbe accettato quell’invasione. Piuttosto, aiutò Ginevra a cercare un modo per allontanarlo da lei. Il suo sguardo cadde sulle gambe dell’ex e le venne un’idea. Sullo stinco, scoperto dai pantaloni corti, c’era un livido che Ginevra gli aveva procurato prima. Non era molto esperta di ferite, ma sapeva che un colpo su un livido non facesse bene. 
Le labbra di Erik erano sul collo della ragazza quando urlò di dolore. Quell’urlo l’assordò più del normale a causa della vicinanza delle sue labbra al suo orecchio, tanto che sobbalzò. Ginevra aveva colpito con forza il livido che aveva adocchiato. Il ragazzo saltellò su un piede, tenendosi con una mano la gamba appena colpita.
“La smetti di farmi male?” mugolò Erik.
“La smetti di farmi arrabbiare?” chiese minacciosa Ginevra.
Tra i due tornò in silenzio. Prima che Ginevra potesse anche solo pensare di andarsene, Erik la prese di nuovo per i polsi.
“Non te ne andrai senza di me.” disse secco, facendo trasparire la sua rabbia.
“NON DIRMI QUELLO CHE DEVO FARE!”
Erik, spaventato, ei staccò da lei.
I loro sguardi si incrociarono di nuovo.
“Dimmi: cosa c’è che non va in me?”
“Devi lasciare me e Jonathan in pace.”
Erik scosse la testa.
“Non ti lascerò stare con quel cretino.”   
Con quella frase, Ginevra sentiva che Erik aveva oltrepassato il limite. Nessunə poteva permettersi di insultare Jonathan. Un fuocherello in più si era acceso dentro di lei. Le sue palpebre divennero pesanti. Le chiuse e le riaprì. Sapeva che c’era stato un cambiamento ed era al corrente di come erano diventate le sue iridi. Un bagliore rosso aveva attraversato i suoi occhi, per poi farle tornare arancioni.
Erik se ne accorse. Subito interruppe il contatto visivo e sciolse la presa, allontanandosi leggermente. La sua espressione faceva trasparire la sua paura.
“I… i… t…tuoi occhi.” mugolò.
“Si.” annuì con un tono minaccioso e sicuro di sé.
“Ti conviene aver paura della Ginevra che sono ora. Non sono più l’angioletto che hai conosciuto.” 
Erik era immobile, pietrificato dalle sue parole.
La ragazza fece qualche passo indietro, si voltò e si diresse verso la scuola. Erik non mosse un muscolo: era troppo terrorizzato anche solo per avvicinarsi a lei.
Ginevra camminò a passo svelto, cercando di sciogliere la rabbia. Nella camminata tra il campo di atletica e la scuola, i suoi occhi passarono dall’arancione al marrone. Mentre varcava il portone d’ingresso, incontrò la professoressa di storia dell’arte.  
“Ginevra stai bene? Non mi sono accorta che non c’eri e stavo venendo a cercarti.” disse in preda all’ansia.
“Sto bene, non si preoccupi. Sono solo rimasta indietro.”
“Mi dispiace. La prossima volta farò attenzione a non lasciare indietro nessuno.”
Ginevra annuì, e tornò in classe insieme all’insegnate.

Quel lunedì fu come Ginevra si immaginava. Sembrava che l’unico argomento di discussione permesso fosse la gara di corsa, ma solo pochə studentə parlavano dei vincitorə. La maggior parte parlava della caduta di Jonathan e di Erik.
Mentre si dirigevano verso le loro aule, Ginevra e Jonathan non facevano altro che incenerire con lo sguardo chi parlava della caduta di quest’ultimo, finendo per girare il collo a destra e a sinistra ad ogni passo. Jonathan riusciva a camminare nonostante la benda al ginocchio, ma quel pomeriggio non avrebbe potuto allenarsi.
Ginevra passò l’ora di matematica a scrivere procedimenti e calcoli, tanto che alla fine della spiegazione aveva le mani sporche di inchiostro Chiese di andare in bagno e la professoressa Toschi, la noiosa professoressa di matematica, acconsentì. La ragazza si alzò e uscì dall’aula abbassando la maniglia con la mano pulita. Arrivò in bagno e si lavò le mani, sporcando l’acqua di nero e rosso.
Uscì dal bagno e percorse il corridoio per arrivare nella sua classe. Per tornare nella sua aula Ginevra doveva passare davanti alla classe di Erik, e quell’idea non le era mai piaciuta. Immaginava sempre che mentre passava lei, all’ex veniva la brillante idea di andare in bagno.
Quando ci passò vicino però si accorse che c’era un silenzio innaturale. Di solito sentiva sempre o la voce del professorə o il brusio deglə studentə. Rimase qualche secondo immobile vicino alla porta per capirne la ragione.
“Erik, ieri abbiamo fatto la riunione per decidere come punire il tuo comportamento alla gara.” cominciò la professoressa.
Ginevra sapeva chi stesse parlando: la sua insegnante di inglese, che insegnava anche nella classe dell’ex.
Il silenzio tornò a regnare nell’aula.
“Abbiamo deciso di sospenderti per un giorno. Quel giorno è lunedì prossimo.”
Ginevra, nonostante un po’ se lo aspettasse, rimase immobile per qualche secondo.
Il silenzio tornò nell’aula per l’ennesima volta. Quando Erik riceveva note o brutti voti non se la prendeva, ma quello non era un semplice quattro.
“Posso andare in bagno?” chiese Erik con voce leggermente tremante.
“Oh cavolo.”
La ragazza si allontanò leggermente dalla porta e camminò il più velocemente possibile verso la sua classe.
Poco dopo sentì la porta della terza B aprirsi. Si voltò e vide Erik che si dirigeva verso il bagno, dandole le spalle.
Ginevra voleva che Jamila, Jonathan e Raven lo sapessero il prima possibile. Guardò la professoressa e vide che era concentrata ad ascoltare l’interrogazione di una sua compagna. Aveva cominciato a interrogare mentre lei non c’era. Non sapeva di averci messo così tanto.
Senza farsi notare, prese il cellulare e digitò un messaggio sul loro gruppo WhatsApp.
“Ciao. Erik è stato sospeso. Lunedì non ci sarà a scuola.”
Prima che l’insegnante si potesse voltare verso la classe, Ginevra fece scivolare il cellulare nello zaino. 

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