CAPITOLO 36: LA FENICE E LA FARFALLA

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La musica riempiva il silenzio della stanza di Ginevra. La ragazza era seduta alla sua scrivania e disegnava mentre canticchiava una canzone.

Il tavolo era completamente in disordine, ma non era certo una novità. Pastelli e pennarelli erano sparsi su tutta la scrivania, e alcuni erano caduti per terra. Un paio di matite erano infilate nella sua crocchia morbida e disordinata. Dei fogli staccati dal blocco da disegno erano accartocciati sul pavimento. Su di essi Ginevra aveva fatto degli schizzi che aveva deciso di non trasformare in disegni finiti. Era da un po' che stava disegnando, ma solo da poco aveva trovato un'idea che la convincesse.

In quel momento per lei esisteva solo tutto quello che era in quella stanza: la musica, la sua matita, i suoi colori. Tutto quello che era fuori non era importante mentre tracciava delle linee per rappresentare i suoi pensieri.

Stava disegnando una ragazza sdraiata sul suo letto con un paio di cuffie nelle orecchie. La stava disegnando dall'alto: gli occhi di grafite guardavano la sua creatrice mentre Ginevra le disegnava il corpo. Un braccio era piegato e la mano era appoggiata vicino alla sua testa. Una gamba era tesa, mentre l'altra era leggermente piegata. Indossava una maglietta che scopriva appena la pancia e un paio di pantaloncini.

Il suo abbigliamento le ricordava l'estate che tanto aspettava.

I capelli mossi della ragazza di grafite erano sparsi sul suo petto e intorno a lei. Erano molto lunghi, le arrivavano quasi alla vita. Quando Ginevra decise di colorarli, scelse di renderli di un castano tendente al rossiccio. Era sicura di non aver mai visto una ragazza con quella esatta tonalità di capelli. Come tocco finale, disegnò un paio di occhiali tondi con la montatura sottile e trasparente.

Il disegno le sembrava vuoto, sentiva che mancava un particolare. Pensò di aggiungere un animaletto. La immaginò con un pastore tedesco al suo fianco, così si concentrò su ogni particolare dell'animale. Quel pastore tedesco le ricordava il cane di zia Laura, che era scappato qualche anno prima. Sia lei che Melissa ci erano molto legate: giocavano con lui ogni volta che andava dalla cugina.

Ginevra si sentiva in un altro mondo, come se la sua stanza fosse un pianeta a sé stante, in cui esistevano solo lei, la ragazza di grafite e il pastore tedesco.

Una voce però la obbligò a tornare sul pianeta Terra.

"Hey."

Ginevra si immobilizzò, facendo cadere la matita che aveva in mano. Per fortuna, la punta non cadde sul disegno.

Il suo ritorno alla realtà fu traumatico. Non aveva idea di chi fosse entrato nella sua camera. Aveva una voce melodiosa e inumana, ma che ricordava quella di Erik.

"Chi sei?" disse senza staccare l'occhio dal disegno.

"Il fantasma di Erik."

La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa. Si immobilizzò. Superato lo shock, fermò la musica e si girò di scatto verso il fantasma, il quale si era avvicinato a lei. Non era cambiato di una virgola: era sempre di un color indaco, trasparente, identico a Erik.

"Dimmi."

"Questa è l'ultima volta che verrò da te." annunciò.

Dentro di sé la ragazza scoppiò di gioia, ma non voleva farsi illusioni.

"Quindi..."

"Erik ha deciso di uscire ufficialmente dalla tua vita. Non vuole più tornare con te. Vuole che tu sia felice lontana da lui. È dispiaciuto, ti chiede ancora scusa. Ha finalmente accettato che è stato lui a renderti aggressiva."

Un sorriso radioso le illuminò il viso. Dentro di sé esplodeva di felicità. Si sentì libera come non lo era mai stata: l'unico problema che aveva non c'era più, era stato risolto dalla persona che lo aveva creato. Finalmente, Erik aveva deciso di sconfiggersi. Finalmente, aveva vinto. Dopo mesi, quella E si era staccata definitivamente dalla roccia.

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