Quel pomeriggio Ginevra uscì ancora una volta per fare una passeggiata. Al posto che fermarsi sulla panchina, si sedette sulla spiaggia. Non c’era nessuno, a parte una coppia in lontananza. Non vedeva molto dei due, ma si accorse che le loro mani erano unite. Quei due volti sconosciuti le ricordarono lei e Erik: quando stavano insieme erano andati qualche volta in spiaggia.
Ogni volta che passavano del tempo insieme, lei si sentiva bene. Ma quei momenti non sarebbero più tornati: ormai lui se n'era andato.
Guardò i due mentre il dolore le stringeva il cuore. Faceva sempre più fatica a vederli: le lacrime rilucevano nei suoi occhi, oscurandole la vista. Desiderava ardentemente essere con Erik, tenergli la mano, baciarlo, sorridergli… Le lacrime si moltiplicarono nei suoi occhi, scendendo lente e rigandole il viso.
Li guardò così intensamente che per un attimo le sembrò di vedere lei e Erik. Prima che potesse rendersene conto, sparirono.
Con ancora le lacrime agli occhi, prese il cellulare e aprì Instagram. Non usava molto i social, ma quella volta non aveva voglia di guardarsi intorno. Ma quello che trovò su era ancora peggio. Subito nella home vide una foto che desiderò non aver mai visto. Erik aveva postato da poco una foto con Rachel. D’istinto, spense il telefono. Le lacrime uscirono a fiumi dai suoi occhi. Avrebbe voluto dimenticarlo così facilmente come lui aveva dimenticato lei. Ma a differenza sua, lei lo amava.
Riaccese il telefono e si ritrovò di nuovo nella home di Instagram. Ma la situazione non migliorò: vide la foto di un ragazzo e una ragazza baciarsi. Non li conosceva, eppure le sembravano così familiari. Ancora una volta, le lacrime le offuscarono la vista. In quei due sconosciuti, Ginevra vedeva lei e Erik. Vedeva tutto quello che era stato e che non sarebbe più tornato. Il dolore le strinse di nuovo il cuore, trascinandola negli abissi di quell’oceano nero e infinito.Quello che non sapeva però, era che quella foto non era vera. La sconosciuta non era così felice. Era stata appena lasciata anche lei, ma, non riuscendo ad accettare la cosa, aveva postato una foto scattata durante la loro relazione. Il suo obiettivo era mostrare che la sua vita non poteva andare meglio, ma in realtà, stava piangendo insieme a Ginevra. E lei non lo sapeva.
Dopo cena, come sempre, la ragazza andò in camera sua. Si arrestò appena lo vide. Sul suo armadio era appeso un disegno di Erik. Il lupo della rabbia si svegliò di colpo, accendendo dentro di lei il fuoco. Lo staccò con violenza, prese un accendino e si diresse verso il giardino fuori da camera sua. Appena fu sull’erba, lo accese e gli diede fuoco. Fu un gesto liberatorio: vedere le fiamme avvolgere e distruggere una rappresentazione di quella persona che tanto amava e odiava le fece sfogare tutta l’ira che aveva accumulato. Quando mancava un pezzettino, spense il fuoco con un soffio deciso e lo strappò.
Rimase sveglia fino a tardi a disegnare. Usò solo il grigio, il nero e il blu: gli unici colori che rappresentavano le sue emozioni.Nonostante fosse una persona creativa e fantasiosa, non si sarebbe mai immaginata il sogno che fece quella notte.
Si trovava in una grande stanza con i muri bianchi, senza finestre né porte. Era ben illuminata nonostante non ci fossero fonti di luce. Indossava un lungo vestito nero e un paio di tacchi alti e neri. Quell’abbigliamento non assomigliava per niente a quello che indossava di solito: lei non era così elegante, preferiva vestiti più sportivi.
In quell’outfit si sentiva fragile, come se potesse cadere da un momento all’altro con quei tacchi sottili. Percepiva la tristezza sulla sua pelle, come se quel vestito fosse fatto di negatività, tessuto dal lupo della tristezza in persona. Davanti a lei, a qualche metro di distanza, apparve Erik. Lui indossava una felpa di un azzurro freddo, spento, simile al grigio, e un paio di jeans dello stesso colore.
Ginevra percepì qualcosa nella sua mano destra. La sollevò e vide un cuore rosso poco più grande di un pugno. Sembrava di vetro e aveva l’aria di qualcosa di solido. Portò la mano destra all’altezza della bocca e soffiò. L’oggetto rosso si diresse lentamente verso il ragazzo. Ginevra abbassò la mano mentre osservava il cuore che volava verso l’ex. Appena fu abbastanza vicino a Erik, lui distrusse il cuore con un pugno. Tanti pezzi rossi come cocci di vetro caddero ai suoi piedi. Ginevra provò un forte dolore al petto. Mise entrambe le mani sul suo cuore e si chinò leggermente in avanti, straziata.
“PERCHÉ L’HAI DISTRUTTO?!” urlò lei.
Nella sua voce non c’era traccia di rabbia, ma solo di agonia.
Erik rimase impassibile a guardarla.
“RISPONDI!”
Il ragazzo alzò le spalle.
Era proprio Erik: non si rendeva conto della situazione. Non si accorgeva che la stava facendo soffrire come non mai. Non gli interessava niente di lei.
Lentamente, il dolore divenne sempre meno acuto, finché arrivò a non provare più niente. Quando ormai stava bene, sentì qualcuno toccarle la spalla destra. Era troppo leggero per essere umano. Ginevra girò la testa lo vide. Un ragazzo quindici centimetri più alto di lei le sorrideva. Intuì che aveva sedici anni come lei, forse uno o due in più. I suoi capelli erano corvini e pettinati in un ciuffo disordinato. Alcune piccole ciocce cadevano sulla sua fronte trasparente. Indossava una maglietta nera e un paio di jeans blu.
Ginevra era sicura di non averlo mai visto. Non capiva cosa ci facesse in quel sogno. La pelle del ragazzo però era più chiara del normale: più che una persona, sembrava uno spettro.
Appena Ginevra vide il suo sorriso, non riuscì a non piegare le sue labbra all’insù.
“Chi sei?” chiese lei senza abbassare le labbra.
“Sono sicuro che mi riconoscerai.” rispose con una voce vellutata e tranquilla che non aveva mai sentito.
La ragazza si accigliò e scosse leggermente la testa.
“Ti chiami così?”
Il ragazzo sconosciuto non rispose, ma Ginevra intuì la risposta. Lui continuò ad accarezzarle la spalla. Lentamente il suo lungo vestito nero si trasformò in una vivace felpa arancione e in un paio di leggings dello stesso colore. Grazie a quel cambio di look, Ginevra si sentiva molto più a suo agio. In quel momento, si sentiva bella.
“Ehm… grazie.”
Ginevra aveva una strana sensazione: più guardava lo sconosciuto, più notava che in lui c’era qualcosa di paranormale. Non sapeva cosa, ma percepiva che in lui c’era qualcosa di unico e non normale.
“Sei bellissima.” si complimentò lui accarezzandole la spalla.
Lo sguardo di Ginevra cadde verso il basso.
“NO!”
L’urlo di Erik squarciò la tranquillità, facendo voltare Ginevra verso l’ex. Il ragazzo sollevò la mano destra, dove un cuore simile a quello che aveva distrutto occupava il palmo. Anche quello era rosso, ma sembrava fatto di nuvole e non aveva per niente un’aria solida. Sembrava riuscirsi a distruggere con un soffio. Erik portò la mano all’altezza della bocca e soffiò l’oggetto verso la ragazza. Il cuore non si dissolse, ma volò come aveva fatto prima quello di Ginevra. Mentre la nuvola si avvicinava lentamente, il fuoco della rabbia si accese dentro di lei e divampò in tutto il suo corpo. La ragazza aveva gli occhi fissi sulla nuvoletta. Più si avvicinava, più le veniva voglia di distruggerla. Appena le fu abbastanza vicina, Ginevra tirò un pugno all’oggetto. Invece che distruggersi in mille pezzi quello si dissolse, diventando niente. Un forte dolore attraversò il petto di Erik, che lo costrinse a portarsi le mani al cuore. Anche lui si chinò dal dolore.
“PERCHÉ L’HAI DISTRUTTO?!” urlò lui addolorato.
“Anche tu hai fatto lo stesso, no?” rispose lei indifferente.
“Ti prego, ricostruiscilo.” la implorò.
“No.”
“Riparalo e starai benissimo.”
“HO DETTO DI NO!”
Dopo quella frase, Erik rimase in silenzio nel suo dolore.
“Se vuoi che quel no rimanga no, dovrai affrontare tutto.” spiegò lo sconosciuto senza staccare lo sguardo da Erik.
Ginevra si accigliò.
“Cosa intendi per “tutto”?”
Le labbra del ragazzo si piegarono in un sorriso. I suoi occhi guardarono la ragazza.
“Non posso dirti tutto. Ma sono sicuro che riuscirai a capire quello che intendo.”
Dopo un ultimo incrocio di sguardi, lo sconosciuto si dissolse in una nuvola bianca. Poco dopo anche Erik scomparve. Lo guardò smaterializzarsi finché non sentì qualcosa nella mano destra. Questa volta era molto più piccolo e soffice. Sollevò la mano e la aprì. Una piccola pallina bianca era immobile nel suo palmo. Era soffice, sembrava una pallina di cotone.
“Ma…”
Sarò per sempre una parte di te.
Era sicura di non aver mai sentito quella voce in sedici anni di vita. Un po’ le ricordava la voce di una bambina, ma sapeva che non poteva essere una voce umana. Guardò la pallina e giunse alla conclusione che a parlare era stato quell’oggetto.
“In che senso?” chiese inarcando le sopracciglia, confusa.
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“Tutti sempre molto chiari…” osservò con un tono ironico.
La pallina si dissolse e poco dopo anche la stanza la imitò. Tutto divenne confuso e Ginevra aprì gli occhi.
Le ci volle un minuto buono prima di riprendersi dallo shock. Sapeva che fosse un sogno, ma doveva significare qualcosa. Un sacco di domande le frullavano in testa. Primo: chi era quel ragazzo? Era sicura di non averlo mai visto. Secondo: cosa intendeva per “affrontare tutto” lo sconosciuto? Non riusciva a capire cosa dovesse fare. Certo, doveva superare ancora la loro separazione. Al pensiero della perdita dell’ex, le lacrime premettero per uscire dai suoi occhi. Le trattenne: voleva pensare in modo lucido al sogno, non piangere come una bambina. Nel ricacciare dentro le lacrime, il dolore percorse la gola e l’esofago prima di arrivare al cuore. Una sensazione dolorosa in tutte e due i sensi, ma per lei necessaria. Terzo: cosa intendeva la pallina? Non aveva idea di cosa fosse, e non capiva come potesse essere una parte di lei. Non aveva studiato molto anatomia, ma sapeva che in nessun umano c’erano palline del genere. Forse.I giorni successivi furono devastanti per Ginevra. Dopo l’amaro incontro, non vide Erik per un po’. Ogni pomeriggio dopo scuola, Jamila veniva a casa sua per studiare e per aiutarla a sentirsi meglio. Lei era bravissima a scuola, mentre Ginevra se la cavava. Non era la prima della classe ma non aveva mai insufficienze in pagella. Ma quando era sola, si buttava sul disegno. E quello che ne usciva avrebbe potuto definirsi inquietante. Usava per la maggior parte colori come il nero, il blu e il grigio. Un giorno disegnò lei accovacciata in un angolo affiancata da un lupo con la pelliccia di una fredda tonalità di azzurro: la personificazione del lupo della tristezza. L’animale aveva la bocca lievemente aperta, come se fosse pronto a mangiarla. Le sue stesse emozioni la stavano divorando. La tristezza la stava divorando.
La disperazione si ripercosse anche sui suoi voti. A volte non riusciva proprio a stare attenta da quanto era presa a scarabocchiare sui quaderni disegni che riflettevano i suoi pensieri. Jamila rimediava offrendole sempre i suoi appunti e aiutandola a capire le lezioni che si perdeva. Inoltre, durante una verifica di matematica, i suoi pensieri la fecero distrarre a tal punto da farle sbagliare gran parte degli esercizi, nonostante avesse capito l’argomento. Resistette alla tentazione di strappare il foglio quando si rese conto di aver preso cinque meno. La sua insegnate, la professoressa Toschi, era molto esigente: promuoveva solo se la media dei voti era almeno un sei pieno. Anche un cinque virgola nove per lei era una ragione sufficiente per dare il debito a qualcuno. Si promise che Erik non l’avrebbe passata liscia se avesse preso l’insufficienza in pagella, visto che quella verifica era l’unica andata male. Ma i suoi voti appena sufficienti non le permettevano di avere un sei come media.
Ma la cosa peggiore erano i flashback. Ovunque andava, ogni cosa le ricordava Erik. In molte parti della sua scuola aveva vissuto qualche momento con lui, e tornarci da sola e con il cuore spezzato era una tortura. Se si metteva a fissare intensamente un punto che collegava a un ricordo, la sua mente proiettava la scena in modo nitido, come se avesse fatto una registrazione e decidesse di premere play. La scena si interrompeva quando i suoi occhi erano gonfi di pianto e correva in bagno a piangere. Una volta, andò anche peggio: vide Rachel e Erik darsi un bacio in un luogo in cui, qualche mese prima, lei e l’ex si erano baciati e avevano passato un bellissimo intervallo. Avevano parlato un sacco e si erano coccolati fino al suono della campanella. Appena li vide, le lacrime le stavano già rigando il viso. Era corsa in bagno seguita da Jamila, che l’aveva aiutata a calmarsi.
Passare gli intervalli in bagno a singhiozzare le provocava anche il problema di arrivare in ritardo in classe. A volte l’insegnante di turno la ignorava, altre volte si beccava una ramanzina. Ogni volta che qualcuno le faceva notare del suo comportamento, lei annuiva in silenzio, accumulando rabbia. Ma un giorno, quando non ce la faceva più, alla domanda “Come mai sei in riardo?” rispose con un sprezzante “Non sono affari suoi.”. Finì fuori dalla classe, ma a lei non importava.
Riteneva che molti professori prendevano in considerazione solo quello che succedeva in classe, e giudicavano gli studenti di conseguenza. Non riuscivano a capire che spesso dietro ad alcune reazioni c’era un miscuglio di emozioni che l’alunno non riusciva a tenersi dentro. Per questo, in quel periodo era definita come maleducata solo perché la tristezza e la rabbia avevano preso possesso della sua mente.
Ginevra non riusciva a vederne la fine. Era negli abissi di quell’oceano nero. Da lì, era impossibile scorgere la luce del sole. Si poteva intravedere solo uno sconfinato specchio d’acqua nero che non la faceva respirare.

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Tutto Normale
ParanormalCOMPLETA IN REVISIONE (LO SARÀ) Ginevra è triste come non mai: Erik, il suo ex fidanzato, l'ha appena mollata, lasciandola annegare in un oceano di dolore e insicurezze. Ma un misterioso ragazzo dai capelli corvini entrerà improvvisamente nella sua...