Capitolo 1.

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«Signora, il caffè lo deve pagare.»

Sono le sette e un quarto di un Lunedì mattina piovoso e freddo, e il bar in cui lavoro è già pieno di clienti maleducati e frettolosi.

Ho il raffreddore, i capelli umidi a causa della pioggia che ho preso prima di arrivare al lavoro, e il mio umore è pessimo, ma sono costretta a fingere un sorriso e mostrarmi cordiale e gentile con chiunque oltrepassi quella porta in legno antico.

«Pagare?! Sul cartello qui fuori c'è scritto che oggi è offerto dalla casa.» replica la donna dai capelli bianchi e gli occhietti vispi, colorati sulle palpebre con un ombretto color ocra.

Sospiro, cercando di mantenere ugualmente il sorriso e non perdere la pazienza. «Certo, certo. Ma c'è anche scritto che è offerto dalla casa solo se accompagnato con del cibo. Muffin, brioche, quello che più la aggrada, insomma. E a quanto vedo... lei ha ordinato solo il caffè.»

È incredibile come la personalità di noi lavoratrici cambia drasticamente quando siamo a contatto con i clienti. A volte mi sorprendo di quanto bene riesco a fingere.

L'anziana sbuffa. «Lo sapevo io! Siete dei furfanti! Avete appena perso una cliente abituale.» sbatte una banconota sul bancone e se ne va in tutta fretta. Lavoro qui da anni e non l'avevo mai vista prima, ma anche su questo punto è meglio sorvolare.

D'istinto lancio uno sguardo alla mia collega Athena, una ragazza poco più grande di me, con una lunga treccia bionda e due iridi nere, e lei scrolla le spalle come d'abitudine. «Non te la prendere.» mima con le labbra, mentre serve una tazza di caffè latte ad un cliente.

Finisco di pulire i pochi bicchieri rimasti, prima di accogliere la solita – vera – cliente abituale che si presenta qui ogni mattina allo stesso orario.

È finalmente ora di pausa quando mi sfilo il grembiule di dosso e afferro la chiave dal cassetto sotto la cassa, per andare a chiudere la porta.
Sono già pronta a girare il piccolo cartello che segna la chiusura quando delle nocche battono contro il vetro leggermente appannato e due occhi, uno dal colore diverso dall'altro, compaiono nella mia visuale.

«Siamo chiusi!» esclamo per avvertire l'ennesimo cliente che pensa di poter venire in orario di pausa per toglierci quei pochi minuti che abbiamo per riposarci.

«Voglio solo un caffè! Si congela qui fuori.» esclama il ragazzo al di fuori della porta.

Sbuffo rumorosamente.
Il proprietario del bar non è in città e la mia collega è andata via un'ora fa. Va bene essere gentili, ma sono troppo stanca per darla vinta all'ennesimo idiota che non rispetta i nostri orari.

«Mi spiace, siamo chiusi.» fingo un sorriso per evitare che l'uomo possa innervosirsi e fare una di quelle scenate a cui sono ormai abituata.

«Qui c'è scritto che chiudete alle tredici» indica il cartello. Poi picchietta un dito affusolato sull'orologio che porta al polso. «Sono le dodici e cinquantanove.» specifica.

Non ci credo.

«Ci sono altri bar nei dintorni... sicuramente troverai un caffè di ottima qualità da qualche altra parte.»

«Voglio berlo qui.» insiste.

«Buona giornata.» giro il cartello e dò le spalle alla porta, pronta per bermi una fanta e rilassarmi un po'.

Non dovrei comportarmi così, lo so benissimo. Ma questa mattina sono particolarmente stanca, dopo una notte senza sonno a causa del raffreddore e il ritardo del pullman di questa mattina che mi ha fatta arrivare in ritardo, e poi... non succede niente se per una volta decido di non assecondare un cliente. Giusto?

𝐕𝐢𝐜𝐢𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora