28 - TRAVIS -

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- Sei solo una puttana - sento il nuovo compagno di mia madre urlare e lei che gli dice di parlare piano visto che i suoi figli stanno dormendo nel salotto. Si dormendo come no. Questi prima scopano urlando come animali, poi litigano. Come tutte le notti del resto. E io come tutte le notti sto tenendo le mani coperte sulle orecchie di mia sorella, per non farle sentire le porcherie che si dicono prima e le parolacce che si dicono poi. Siamo gemelli eppure totalmente diversi. Io biondo e con gli occhi azzurri, lei mora e con gli occhi scuri. - hanno finito di urlare ? - mi chiede la mia piccola tigrotta e io le faccio segno di no. - me ne fotto dei tuoi figli e dovresti fare così anche tu - se non avessi le mani poggiate sulle orecchie di Victoria le metterei sulle mie, ma lei è più fragile e io devo proteggerla, da tutto e da tutti. Lei come per capire quello che sto provando mi tappa le orecchie con le sue di mani, piccole e gracili in confronto alle mie, e io le sorrido. Dopo mezz'ora il compagno di mia madre se ne va sbattendo la porta e io abbandono le orecchie di mia sorella dicendole che l'incubo è finito e può iniziare a sognare. Così aspetto che si addormenta, ma io non ci riesco, resto sveglio a osservarla dormire pacificamente, cosa che io non riesco più a fare. Tanto non ho bisogno di dormire, io a differenza sua non vado a scuola, mi alzo alla sua stessa ora e esco di casa con lei, vado a scuola con lei, ma all'ora di entrare in classe, quando lei si allontana io torno a casa, tanto la mamma va al lavoro poco dopo che noi usciamo, così mi riposo due ore e poi vado a lavorare. Spaccio droga per tutto il giorno, guadagno molto poco, ma almeno posso andare a fare la spesa. Penso che mia madre sappia quello che faccio, ma non si interessa del fatto che suo figlio, che a quattordici anni dovrebbe andare a scuola e studiare per costruirsi un futuro, invece va a spacciare droga. Ogni volta che sbaglio lei dice " tale padre tale figlio " e io capisco che mio padre era solo un pezzo di merda, ma magari spacciava e commetteva sbagli per portare il pane in tavola come faccio io. Magari teneva alla sua famiglia proprio come me. 

Dopo poco sento mia madre che parla, inizialmente penso stia parlando da sola, poi capisco che non è così e mi avvicino alla porta della sua piccola camera per ascoltare meglio - o bisogno di soldi - dice e attraverso la sottile porta in legno sento un brusio, la voce di un uomo, dall'altro capo del telefono - devo mantenere i miei figli, così non ce la faccio, mi devi mandare soldi... - altro brusio - certo che ho un lavoro... - e poi ancora quella voce maschile che parla veloce - si lo so... lo so che me lo hai procurato tu, che è un lavoro decoroso, ma i miei figli hanno bisogno ci essere come gli altri ragazzi e tu non puoi far finta che non esistano - ancora quel brusio, poi mia madre torna a parlare prima di riagganciare - grazie, allora a domani - 

Io corro sul divano letto di fianco a mia sorella e faccio finta di dormire quando la mamma apre la porta della sua stanza e prima di andare in bagno ci guarda con uno sguardo dolce, ma allo stesso tempo disperato. 

- vichi ? - chiamo mia sorella che è in camera sua ad ascoltare la musica, ma lei come al solito non mi risponde, così busso alla sua porta - avanti - mi dice mezza incazzata e io so già cosa mi chiederà - se ne è andata quella puttana ? - ecco, questa è la prima cosa che dice quando Camille viene a casa nostra ormai da troppi mesi - Vichi è la mia ragazza quella che tu stai chiamando puttana, vedi di portare più rispetto - lei sbuffa e io mi siedo di fianco a lei sul suo letto. 

- mi tratta sempre male, e poi fa del male a te, ti fa fare cose sbagliate, quella è malata di testa, lo vuoi capire o no che va rinchiusa in un manicomio ? - 

- si ma è grazie a lei che stiamo in una casa più grande ed è grazie a lei che ho un lavoro che mi paga bene - lei sbuffa di nuovo - se per lavoro che ti paga bene intendi uccidere persone allora io ti dico che preferivo quando eravamo dei poveri di merda e vivevamo in uno scantinato - mi dice - tu dai troppo retta a quella pazza - la deve smettere di chiamarla così - piantala - le dico incazzato - la cena è pronta fra dieci minuti - esco sbattendo la porta e la sento urlare un "vaffanculo" da dietro la porta in legno. 

- vaffanculo - sento urlare da un uomo a cui mia madre  è appena andata addosso. Lei, avvolta nel suo cappotto malridotto gli chiede scusa e torna a camminare di fretta verso il viale praticamente desolato. Io continuo a seguirla, fianco a che non arriviamo a un parchetto tutto distrutto, lei si siede su un altalena e io rimango a fissarla da lontano su un cespuglio. Dopo poco arriva una macchina lussuosa e scendono quattro uomini, tre in divisa e uno vestito in giacca e cravatta. È sicuramente uno straricco, ma cosa ci fa con mia madre. Si avvicina e le da una busta, lei lo ringrazia, i suoi uomini si guardano in torno e perlustrano un po il territorio, li tengo osservati, ma ne perdo di vista uno. Non vorrei mai che mi scoprissero, potrei finire nei guai o ancora peggio far finire nei guai mia madre - capo guarda cosa abbiamo qui - qualcuno mi tira su per il cappuccio della felpa bucata in vari punti e mi spinge verso quello vestito in giacca e cravatta. Mia madre inizia a dirgli che sono suo figlio e che non dovevo, anzi non volevo seguirla, che è statao uno sbaglio. - haii detto che è tuo figlio ? - mi guarda l'uomo moro e dagli occhi scuri come la notte che mi ricordano tanto quelli di Victoria. Mi guarda da capo a piedi ed estrae una valigetta, poi la porge a mia mamma - per comprargli dei vestiti nuovi - poi mi guarda un ultima volta e sale in auto. Anche da lì dentro non toglie il suo sguardo su di me e io faccio lo stesso. Continuiamo a guardarci fino a che l'auto nera non sparisce dietro l'angolo di un condominio popolare. - non devi dire niente a nessuno di quello che è successo - mi dice mia madre tirando poco il cappuccio della mia felpa verso di lei - lui... - mi faccio coraggio e cerco di farle la fatidica domanda - lui era... lui è mio pa... pa - non riesco a dire quella parola, nella mia mente lo ho sempre odiato, anche se immaginavo che fosse come Robin Hood - si - mia madre da la risposta che avevo temuto e tenendo la valigetta in una mano e il mio polso magro nell'altra mi trascina verso casa.  

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