CAPITOLO 14

122 12 40
                                    

NON È FINITA FINCHÉ
NON È FINITA

La paura è la più primordiale emozione dell'uomo, ancora prima della sofferenza.
Veniamo a questo mondo piangendo, impreparati per la luce e l'oscurità, già spaventati per tutto ciò che si dovrà imparare.
Ma c'è una sorta di bellezza in questo, perché la paura ti fa apprezzare la felicità, il tempo che si possiede.
L'essere umano reagisce, è nel suo istinto e nulla lo fa correre più veloce della paura.
Paura di morire, di essere abbandonati, di restare nel buio, senza nulla che possa salvarci.
Rhea Pierce aveva più paure di quante solo 10 mesi prima ne avesse.
La sua vita aveva avuto un senso e aveva creduto alla luce, al punto da non essersi accorta che non stava osservando il sole ma una luce a neon in un bunker.
Tentava d'ignorare l'oscurità ma di notte gli incubi le davano il tormento, tanto da non poter più dormire in un letto ma solo sul divano.
Ma gli incubi la inseguivano, cercando di rivelarle ricordi che grondavano di sangue e urla.
Ciò che più temeva erano i ricordi buoni, i sogni incredibilmente lontani ma anche genuini, in cui era ancora una figlia, una cugina e nipote, una studentessa e una fidanzata.
Ricordi in cui rideva e correva tra le braccia di suo padre, imparava la matematica e andava alla cerimionia dei diplomi da poliziotto di Dean.
Oh Dean, non sapeva di aver dimenticato tanto di lui ma la macchina dell'Hydra non aveva pietà, rimuoveva giorni o settimane alla volta e non momenti isolati.
Alcuni giorni voleva solo ricordare tutto e basta, altri pregava di non farlo mai.
Ma chi doveva pregare?
La sua famiglia non aveva mai creduto in una specifica divinità.
Erano sempre stati uniti da un senso di appartenenza, credendo in qualcosa di più pagano come la rincarnazione o un legame che dura per sempre.
Ma ora aveva spezzato ogni legame, o almeno è ciò che credeva.
Il mondo la pensava morta e sui telegiornali, dopo Washington, tutti avevano detto che era meglio che Sinner fosse deceduta piuttosto che in giro come il Soldato d'Inverno.
Bucky, di lui aveva ricordato molte cose, come il fatto di averlo conosciuto a nove anni e che era stato incaricato da Alexander di addestrarla.
Persino che l'aveva accompagnata in diverse missioni, la sola che sapeva con precisione era quella contro la MANO per vendicare la morte di Dean.
Aveva urlato quella notte, quando aveva scoperto ciò che aveva fatto ma allo stesso tempo non aveva provato alcun tipo di rimpianto.
Gli avevano portato via il suo cuore e lei aveva strappato il loro, se l'erano meritato.
Così come credeva di meritare tutte quelle torture, aveva fatto del male e il karma torna indietro.
Ma paura non significa terrore o panico, e a volte era tutto ciò che sentiva.
Quella notte non voleva dormire, si era vestita senza sapere dove andare e invece di trovarsi in cucina, nella sua casa a Long Island, si ritrovò in una stanza dai colori smorti.

<<Ciao, Piccola Piovra>>

Rhea si voltò e appoggiò una mano al muro, alzò gli occhi al cielo<<Oh porca...>>

<<Anche oggi di buon umore.>>

<<Anche oggi non stai zitto.>>ribatté.

Alexander era lì, di fronte a lei, sulla soglia di una porta chiusa.
Indossava il suo solito completo, lo stesso che aveva quando Fury gli sparò al petto due volte. Non era cambiato di una virgola, era lo stesso uomo di dieci mesi prima.

<<Perché ho qualcosa da dire, mi ascolterai?>>

<<Preferisco farmi investire ripetutamente che ascoltarti ancora. Tu non sei reale>>

Infatti non lo era.
La prima volta che ebbe un'allucinazione con suo padre fu al cimitero, il giorno in cui andò a spiare Steve, Natasha e Sam.
Da allora non l'aveva mai lasciata, era come un fantasma che la seguiva ovunque e le faceva perdere il controllo.
All'inizio vederlo era stato piacevole ma poi aveva iniziato a dire verità scomode, apparendo ovunque e in ogni momento.
La tormentava, era il suo incubo a occhi aperti, perché col tempo vederlo le faceva solo male.

𝐒𝐈𝐍𝐍𝐄𝐑 - 𝐓𝐡𝐞 𝐀𝐯𝐞𝐧𝐠𝐞𝐫𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora