PROLOGO

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A COLORO CHE NON SANNO
PERDONARSI PER I PROPRI
PECCATI E CHE OGNI GIORNO
VIVONO UNA BATTAGLIA.

NON SIETE SOLI.


"

È un peccato il non fare niente col pretesto che non possiamo fare tutto"
-Winston Chirchill

Ci sono leggende, miti e racconti più antichi della conoscenza stessa.
Storie che hanno un potere ineluttabile, inaffondabile, che hanno una missione.
C'è sempre un buono, un cattivo e un sacrificio da compiere.
Nella mitologia greca, per esempio, vi era un mito sui dodici Titani, una di loro in particolare.
Rea, questo era il suo nome, significa scorrere.
Era figlia di Gea e di Urano, ovvero della Terra e del Cielo.
Rea sposò Crono, suo fratello e da lui ebbe molti figli, i primi dèi.
Ma il titano del tempo, a conoscenza di una profezia su come uno dei suoi figli l'avrebbe distrutto, divorò la sua progenie.
Ma Rea era più che una moglie, più che un ruolo, era una madre ed era una donna.
Avrebbe sfidato l'interno cosmo e il tempo per salvare i suoi figli.
Riuscì a salvare da Crono solo Zeus, Era, Ade, Poseidone, Estia e Demetra.
Il mito narra che solo uno sarebbe stato il prescelto, il dio dei fulmini.
Rea riuscì a far nascere Zeus su un'isola, Creta, in una leggendaria grotta e all'arrivo di Crono lo ingannò. Dando al marito, da ingoiare, un pezzo di roccia.
Ciò che Rea fece fu un peccato, disubbidì all'ordine naturale.
Per quanto due religioni diverse, la sola ad arrivare a tanto fu Eva.
Quando la medesima colse la mela dall'albero proibito, questo venne chiamato peccato.
Ella aveva disubbidito, perché ciò che aveva desiderato era maggiore a ciò che le era stato predestinato.
Tutto questo per dire che osare, spingersi oltre, ha cambiato il destino del mondo più di una volta.
Vi era un'altra come loro, una bambina, che scelse la propria audacia, fece un tentativo ma non per pura curiosità.
Ella aveva buone intenzioni ma al destino non importa ciò che desideri, solo ciò che fai.
Ciò che fece fu commettere peccato e per anni fu certa che le conseguenze fossero una penitenza.
Il suo nome assomigliava alla madre degli dèi, colei che affrontò il tempo ma questa bambina di nove anni, sarebbe divenuta colei che avrebbe affrontato lo spazio.

<<Rhea, vieni qui. Non allontanarti>>

Ad aver parlato, tra pareti di metallo, era un uomo.
Egli sembrava del tutto fuori posto, ma passo dopo passo, quelle mura sembravano conformarsi con la sua giacca grigia.
Aveva una quarantina d'anni ed era in forma, perché mai aveva smesso di allenarsi, desiderava essere pronto.
Le pelle era chiara, pallida sotto la luce glaciale delle lampade a neon.
Da giovane era stato sempre impeccabile, fiducioso nella democrazia e la vena ribelle della figlia sembrava non averla presa da lui.
Suo padre, ovvero il nonno di Rhea, era stato in un battaglione durante la Seconda Guerra Mondiale e con la cintura gli aveva insegnato che il caos e l'ordine non erano opposti ma parte di una sola cosa.
Aveva gli occhi blu, profondi come gli abissi e altrettanto freddi, essi stavano fissando la sua stessa figlia.
Rhea era completamente avvolta in una luce propria, al suo passaggio scaldava ogni cosa.
Strinse di nuovo il mignolo del padre, era il solo modo in cui gli teneva la mano ma non sembrava dipenderne.
Ella fissava ogni dettaglio di quel posto abbandonato da Dio, le pareva di essere nel luogo sbagliato, nulla le piaceva.
Le sue dolci e carnose labbra erano piegate in giù, come se stesse giudicando ogni cosa.
C'erano troppe persone in silenzio, aveva pensato, mentre un uomo parlava davanti ai due. Aveva un accento tedesco e forse per questo non lo ascoltava.
Vi erano molte sale, tanti progetti ma loro andavano verso uno soltanto e da lì aumentavano le guardie presenti.
S.W.
Queste iniziali erano sulla porta ed ella le fissò tanto intensamente che mai le avrebbe dimenticata, quasi fossero state tatuate sopra di lei.
C'era un vetro a separarli ma da esso non vedeva nulla, eppure sapeva che qualcuno vi era oltre.

𝐒𝐈𝐍𝐍𝐄𝐑 - 𝐓𝐡𝐞 𝐀𝐯𝐞𝐧𝐠𝐞𝐫𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora