Capitolo 8 - Lo spirito della verità (Parte 4)

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Tacho sapeva che la sua virtù migliore era la sua tenacia. Sapeva che non era né intelligente né molto abile, ma quelle carenze le sopprimeva con tenacia. Per questo decise di persistere con Jazmín, anche se lei continuava con il suo rifiuto. Se il problema era che lui non fosse un gitano, lo sarebbe diventato.

Era agosto e nelle giornate invernali più fredde si gelava nel cortile coperto; di fronte a quel panorama, Cielo mise dei riscaldamenti nelle stanze dei ragazzi.

Jazmín tornò dal freddo della strada, dove era stata con i ragazzi e Justina per fare i rumeni, e corse a riprendersi dal freddo nella sua stanza riscaldata.

Entrando, si imbatté in un sentiero di petali rossi e bianchi che conducevano verso una tela rossa, posta nell'apertura che separava le due stanze; si sentiva una chitarra che suonava alcuni accordi fiamminghi. Molto intrigata, Jazmín si avvicinò alla tela rossa, ma si spaventò quando si dietro si accese una luce che rivelò una figura in controluce, mentre un flamenco esplodeva a tutto volume.

L'ombra tirò via il tessuto, ed ecco Tacho.

Aveva pantaloni neri molto stretti, stivali bianchi, una camicia rossa fuoco, lucente, aperta fino al petto, su cui poggiava un rosario di plastica bianca. Aveva i capelli raccolti, le basette dipinte fino alle guance, un cappello nero a nappe e una rosa rossa tra le labbra: era uno stereotipo perfetto di gitano.

 Con commozione, si tolse la rosa dalla bocca e cominciò a ballare quello che lui immaginava fosse il flamenco, cantando con la sua voce impostata sulla canzone che suonava.

In atteggiamento da gitano, danzò intorno a Jazmín, che lo guardava tra sorpresa e tentazione. Tacho terminò la sua canzone, si inginocchiò davanti a lei e disse:

- Oh, mia rosa dell'Alhambra, rosa della moreria... Farò quello che mi comandi, purché tu sia mia. -

E rimase in silenzio, agitato, in attesa della reazione di Jazmín. Ma lei iniziò a ridere a crepapelle, non era la reazione attesa da Tacho.

- Sono andato bene? -

- Sei stato molto divertente. -

- Ma ti ho colpito, no? -

- Molto carino. - disse lei.

- Vedi che posso essere un gitano? -

- No... - disse ridendo. - Tu non sarai mai un gitano. -

- Perché no? - disse lui, già arrabbiandosi e alzandosi in piedi. - Cosa mi serve per essere gitano?-

- Essere nato gitano. - disse lei. - Ma mi è piaciuto ugualmente. - aggiunse sorridendo, lusingata.

- Beh, potrei essere il tuo finto gitano. -

- No, Tacho. - disse Jazmín riportando la distanza di sempre.

- Smettila con questa cosa del gitano e non gitano! - protestò lui.

- Non scherzarci! - concluse lei la chiacchierata. Fece per uscire ma prima gli assicurò: - Io sposerò un gitano, un vero gitano! -

Ma Tacho era tenace. Allora, se si trattava di essere veramente gitano, sarebbe stato gitano e per questo senza perdere tempo, per puro impulso, si diresse a sud della città, nel quartiere dei tablados, dove c'era una piccola comunità gitana.

Entrò in un locare vuoto, tranne che per un vecchio che beveva un bicchiere di un liquido verde chiaro.

- È chiuso. - disse l'uomo, senza guardarlo.

- Lei è il proprietario? Devo parlare con un gitano. -

Il vecchio lo guardò strano, ma non rispose. Tacho gli si avvicinò, deciso.

Casi Angeles - L'Isola di EudamonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora