Capitolo Trentaquattro

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But I set fire to the rain
Watched it pour as I touched your face
Well, it burned while I cried
'Cause I heard it screaming out your name
Your name

(Set fire to the rain – Adele)

Seduto sul letto, ora completamente vestito, Felix aspettava che il suo amico Erik lo chiamasse. Non aveva fatto colazione, non aveva fame. Una sensazione di oppressione gli partiva dallo stomaco, per diffondersi il tutto il corpo. Si era sentito così bene, solo poche ore prima. Si era lasciato andare, incoraggiato dalla voce armoniosa di Noah. Si erano accarezzati e baciati a lungo, Felix all'inizio era nervoso ma ben presto aveva socchiuso gli occhi e si era lasciato cullare dalle parole gentili ed affettuose dell'altro ragazzo. A lungo, si era smarrito nelle labbra morbide del più grande, lo aveva accarezzato come fosse la cosa preziosa al mondo e poi aveva lasciato che Noah si spostasse sopra di lui, gli sfilasse la maglia del pigiama per baciare il suo torace nudo. Non si erano spinti oltre, anche se Felix era stato tentato di liberarsi anche dei pantaloni in modo che l'altro continuasse a baciarlo su tutto il corpo. Ma, con uno scambio di sguardi, si erano fermati con il fiato corto e le labbra curvate in un sorriso. Non ancora, ma presto, si erano detti. Poi, le loro bocche si erano unite per un ultimo bacio lungo e profondo, prima di addormentarsi vicini. Il suono del telefono, ridestò Felix dai suoi dolci ricordi e lo fece ripiombare nel presente. "Erik?" rispose in tono nervoso. "Felix", voce bassa, un sospiro. Poi, il silenzio. "Dimmi qualcosa, cazzo!" lo esortò Felix, che stava decisamente perdendo la pazienza. "La situazione è questa. Noah non lavora più al club, stamattina è passato molto presto a prendere le sue cose" disse Erik tutto d'un fiato, Felix rimase in silenzio e batté le palpebre confuso, ma non disse nulla. Così, l'amico continuò: "Non hanno idea di dove sia andato, nessun recapito e", si interruppe di nuovo. "COSA?" praticamente urlò Felix, rendendosi conto di aver forse causato un infarto a qualcuno della sua famiglia con quell'urlo improvviso. "Noah non è il suo vero nome" concluse Erik, in un tono basso e colpevole, ripensando forse che era stato proprio lui a portare l'amico al club per conoscere Noah. "Che significa?", ora Felix si costrinse a sussurrare. "In pratica, al club nessuno usa il vero nome. Sono una specie di nomi d'arte, diciamo" spiegò Erik. "Non è il suo nome" ripeté Felix, come se stesse convincendosi di qualcosa. "Ascolta" suggerì l'amico: "Capisco che adesso sei nei casini con la tua famiglia, se vuoi posso venire anche subito. Prendo il treno e vengo a farti compagnia, così mi racconti tutto.". Felix non rispose, probabilmente non lo stava neppure ascoltando. Il suono delle parole dell'amico gli arrivava come un rumore di sottofondo, così il giovane chiuse la chiamata senza dire altro. Era ironico, in un certo senso. Aveva mentito alla sua famiglia e Noah o, meglio, lo sconosciuto senza nome aveva mentito a lui.  

IO, TE E GLI ALTRIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora