XLV

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La prima volta che guidai un'automobile fu per portare Thomas all'ospedale.

Non fu una bella esperienza, ma me la cavai, non tirai sotto nessuno e rispettai ogni segnaletica, fatta eccezione per i limiti di velocità.

Sapevo solo la teoria, mio padre ed Azrael me lo avevano insegnato anni prima, ma non ero mai passato dalla teoria alla pratica, ma quella sera lo feci, con Thomas che gemeva dal dolore nel sedile del passeggero.

Diedi uno sguardo veloce a Thomas, mi tranquillizzai, il sangue usciva da una ferita sulla spalla, sembrava che il proiettile lo avesse preso di striscio, un colpo impreciso, forse doveva essere destinato alla testa.

Mi venne un impulso di rabbia. Chi aveva sparato e perché? Il colpo era scoppiato alla mia destra, dall'altra parte rispetto a casa mia, quindi la persona sarebbe potuta scappare tra i vicoli.

Arrivammo all'ospedale in una decina di minuti, due infermieri caricarono T su una barella rossa e mi trascinarono in un labirinto di corridoi bianchi che puzzavano di candeggina.

"Che cosa è successo?" mi chiese un infermiere, a corto di fiato.

Tentennai un istante prima di parlare, non sapevo se dire la verità, ma che senso aveva mentire?

"Gli hanno sparato, stavamo parlando davanti a casa mia" risposi.

"E come mia?" mi chiese l'altro infermiere, sul momento mi sembrò una domanda stupida.

"Non ne ho la più pallida idea, non ho visto chi è stato" risposi, fermandomi quando si fermò la barella.

Portarono Thomas dentro una stanza bianca e senza finestre, poi mi chiusero fuori assieme ad un' infermiera.

"Ma che cazzo fate?!" esclamai.

"Lei è un parente?" mi domandò la ragazza, con un volta dispiaciuto.

"No, sono il suo cazzo di amico che lo ha accompagnato qua, non vi basta?" sbottai.

"No" rispose calma lei "Se non è un parente non può assistere"

La fissai per un secondo, poi lei mi rivolse un sorriso disarmato.

"Sono le regole" disse.

Le volevo dire di spostarsi, che io le regole non le ho mai seguite nella mia intera vita, che quello che c'era dentro in quella stanza lo conoscevo da anni, ma mi sedetti su una seggiola di plastica, impotente.

Dopo quella che mi sembrò un'eternità, dalla stanza uscii un medico con una mascherina e dei guanti di lattice.

"É fuori pericolo, il proiettile non ha intaccato nessuna arteria, è andato pericolosamente vicino al cuore, il suo amico è fortunato" mi informò.

"Certo, fortunato" ribattei acido, ma sollevato "Non capita tutti i giorno di beccarsi un proiettile"

"Ecco, a tal proposito" disse l'uomo "Inoltreremo una denuncia alla polizia, è la procedura"

"Certo, la procedura" dissi "E la polizia che farà?"

Il medico allargò le braccia, senza rispondere.

"Ecco, appunto" commentai.

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Lasciai Thomas in ospedale, lo potei solo veder dormire da fuori la stanza, e ritornati a casa con la sua macchina.

Entrai in casa, Eileen era andata al lavoro, avevo trascorso una notte in ospedale e non avevo nemmeno controllato il cellulare, magari mi aveva cercato.

Decisi comunque di non farlo, e crollai spossato sul divano, davanti ad una bottiglia di Vodka e la televisione.

Chi poteva essere stato?

Tutti i nostri nemici erano morti, il vecchio, il figlio del vecchio, gli Spagnoli, nessuno ancora in vita aveva una motivazione per prendersela con noi.

Mi abbandonai al sonno, centinaia di pensieri mi rigiravano in testa, poco prima di battere un' ultima volta le ciglia un nome mi apparse nella mente come un lampo.

Micheal.

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