TRENTATRE

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CHIARA

Quattro anni fa...


Seduta sullo scivolo mio e di Ale, continuo a tormentarmi le mani. Tra poco lo vedrò! Ho dovuto mentire di nuovo ai nonni, i quali credono sia a casa di una mia nuova compagna di classe. Non sanno che in realtà ho disobbedito ai loro ordini, che sono salita sul primo autobus per Cusano e che sto per incontrare il mio ragazzo, nonché il padre del mio bambino, lo stesso bambino del quale vogliono che mi liberi. Questo è il bimbo mio e di Ale e non esiste per nulla al mondo che io rinunci a lui o a lei. Noi ci amiamo, è il nostro destino. Ieri sera mi sono sentita con Regina e mi ha confermato l'appuntamento al parchetto con Ale, il motivo principale per cui non riesco a mettermi in contatto con lui è che è in punizione e gli hanno sequestrato il telefono, o almeno così è ciò che mi ha riferito la mia amica. Mentre ascolto When you're gone continuo a pensare a come potrà essere il nostro futuro, mio, suo e del bambino. Mai come adesso ho bisogno di lui nella mia vita. Sento il rumore delle ruote della BMX sulla ghiaia e lo stomaco si stringe in una morsa. Eccolo...

La bicicletta sfreccia verso di me e io scendo dallo scivolo, pronta per andare verso di lui, ma quando sono vicina mi accorgo che non è lui. Sotto al cappuccio scuro ci sono i capelli lunghi di una ragazza e quando lei lo solleva rivelando il suo volto, corrugo la fronte appena mi rendo conto che si tratta di Regina. È seria, i suoi occhi azzurri sono fermi nei miei e il sorriso che un attimo fa mi stava dipingendo il volto ormai è spento del tutto. Qualcosa non va, me lo sento.

«Che cosa ci fai qui?», le domando quando continua a fissarmi in silenzio. Guardo dietro di lei. «Dov'è Ale?»

Lei continua ad ignorarmi e io inizio ad innervosirmi. «Dove. È. Alessandro.», pretendo di sapere.

Quando capisco che da lei non otterrò risposta la sorpasso pronta per raggiungere la sua casa a piedi.

«Alessandro, non verrà», dice semplicemente. Quelle parole mi bloccano sul posto e mi volto verso di lei. Nonostante la temperatura favorevole sento un gran freddo.

«Cosa vuoi dire?»

«Esattamente quello che ti ho detto. Lui non verrà qui. Non c'era nessuna ragione per farlo», dice fissandomi dritta negli occhi.

Una pugnalata in pieno cuore avrebbe fatto meno male. «Ma che cazzo stai dicendo?»

«No, tu che cazzo stai dicendo!», esclama lei fissandomi con rabbia.

Sento che sto per vomitare. «Rere, ma che diavolo...»

«E non chiamarmi così! Non lo sopporto!», esclama. «Te ne sei andata Chiara, te ne sei andata e non hai detto un cazzo a nessuno, nemmeno a me o a lui. Poi torni qui e credi che siamo tutti ai tuoi comodi? Beh, mi spiace per te, ma non è più così!»

Scuoto la testa perché non riesco a credere a ciò che mi sta dicendo. Ale mi ama, io lo so, eppure, la paura che lei possa avere ragione inizia a strisciare dentro di me come un serpente in grado di avvelenarmi la mente.

«Ma... il nostro bambino...», sussurro più a me stessa che a lei.

«Come ho detto, non c'è nessuna ragione importante per cui lui sia venuto qui oggi», dice con tono fermo.

Mi accascio a terra mentre percepisco le sue parole in lontananza. «Non tornare più, non ti vogliamo qui. Rifatti una vita Chiara e smettila di interferire sempre nelle nostre. Tu e la tua cara famigliola avete già fatto abbastanza», dice e dopo di che se ne va, lasciandomi sola.

Non so per quanto tempo resto seduta allo scivolo. Il telefono poggiato affianco a me inizia a vibrare e quando noto il nome di mio fratello tiro su col naso e rispondo.

«Kia, dove cazzo sei? I tuoi nonni mi hanno chiamato in preda alla rabbia perché hai mentito!»

Scoppio a piangere e lui si zittisce. «Mi... mi ha lasciata...»

Lo sento sospirare. «Dove sei? Vengo a prenderti.»

Appena noto la macchina di mio fratello in lontananza, scoppio a piangere. Miky si precipita verso di me ma al contrario di ciò che immaginavo non è arrabbiato.

«Ehi, Kia, vieni qui», mi dice dolcemente come se stesse parlando con un bambino. «Sono io.»

Le lacrime mi offuscano gli occhi. «Miky», singhiozzo.

Mi aiuta ad alzarmi e a scendere dallo scivolo.

«Ahi!», grido sentendo una fitta alla pancia.

«Kia, cos'hai?», domanda lui preoccupato. Vorrei rispondergli che non ho nulla ma una fitta ancora più forte si fa sentire, paralizzandomi. «Miky qualcosa non va, portami all'ospedale», dico e appena abbasso lo sguardo noto il sangue colarmi lungo la coscia. Gli occhi di mio fratello seguono il tragitto dei miei, mi prende in braccio e corre verso l'auto.

Il giorno dopo mi sveglio in ospedale. Il mio bambino non c'è più. Ci sono solo io. Mi accarezzo la pancia ormai vuota e sento di essere ancora viva a causa del dolore che ho nel petto.

«Come ti senti?»

Volto lo sguardo verso la figura alla finestra e noto Eros con le braccia conserte. Non gli rispondo, non avrebbe senso farlo.

«Perché non mi hai detto che aspettavi un bambino?»

Le lacrime si affacciano. Ha detto aspettavi, non aspetti. Ormai è tutto finito.

Si siede al mio fianco e mi prende le mani nelle sue. «Ti prometto che la pagheranno, tutti loro per ciò che ci hanno fatto e per ciò che vi hanno fatto. Avremo la nostra vendetta», mi giura e improvvisamente sento qualcosa che si muove dentro di me.

La speranza di una vita nuova, una nella quale loro non saranno niente di importante per me. Una vita in cui sarò io a tenerli in pugno e non viceversa.

Vendetta. La mia nuova parola preferita.

E così, giorno dopo giorno, inizio ad affrontare la vita con uno spirito combattivo, nuovo. La sera però, quando sono sola nel mio letto, afferro le cuffie e ascolto sempre la stessa identica canzone. Perché proprio come dice il testo anche io tutte le sere danzo con il suo fantasma. Alessandro non se n'è andato, è ancora qui e proprio come un fantasma ogni notte torna a tormentarmi.

Forse verrà il giorno in cui non penserò più a lui, in cui non m'importerà di come mi ha trattato, in cui non proverò più nulla per lui, ma quel giorno non è ancora arrivato.

Temo che non arriverà mai.

Colonna Sonora Della Mia Vita (the Rossi's Series 4)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora