Capitolo 42

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La giornata era partita, relativamente, bene per tutti gli abitanti del loft.
Durante la mattinata i ragazzi si misero d'accordo per sistemare ogni regalo davanti al camino, con l'accordo che gli altri sarebbero rimasti in cucina per non vedere gli incarti.

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Dopo accese discussioni e litigi per decidere come trascorrere la giornata, finalmente verso le undici e mezza del mattino, i ragazzi trovarono un accordo.
Sarebbero andati alla pista sciistica per quasi tutta la giornata, poi sarebbero tornati a casa per le sei e mezza di sera.

Quest'accordo fu preso per via di alcune piccole ragioni: Osamu aveva invitato a cena fuori Rintarō, Kōtarō aveva fatto lo stesso con Keiji e Wakatoshi aveva chiesto la stessa cosa a Satori.

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Arrivarono alla pista sciistica verso mezzogiorno.
Tetsurō aveva un'atmosfera di nostalgia attorno a sé, come capitava spesso da quando erano arrivati al loft.
Cercava di non farlo notare, di non pensarci persino; ma i ricordi si affollavano e si affaccendavano nella sua mente ogni volta che Tetsurō veniva lasciato solo a pensare.

Solo Kōtarō sapeva della sua situazione familiare; Tetsurō era riuscito ad aprirsi solo con lui.
Ricordava ancora quel giorno, ricordava ancora come si svolsero quegli eventi.

Era tornato a casa dopo un'estenuante giornata scolastica del suo primo anno di liceo, aveva appena salutato i nonni e stava per ritirarsi nella sua camera per studiare quando sentì: suo padre era in cucina, al telefono.
Suo padre stava urlando contro sua madre.
E la cosa non avrebbe dovuto fargli così male, non avrebbe dovuto scatenare quel panico che scatenò. Ma lo fece.
Tetsurō, non sapendo cos'altro fare, fuggì.
Uscì da casa e corse. Corse. Corse. E corse.
Quando si fermò, notò di essere arrivato davanti la casa di Kōtarō Bokuto.
Bussò, prima ancora di rendersi conto di starlo facendo.

L'attesa fu debilitante, gli parse di essere bloccato in un limbo, credette che avesse solo immaginato di aver effettivamente bussato e stava per andarsene. Ma la porta si aprì.
Lì, sull'uscio di casa sua, Kōtarō stava in piedi con un'espressione preoccupata dipinta sul suo viso altrimenti sempre allegro.
Tetsurō non pensò a cosa stesse facendo e si buttò addosso al suo amico, calde lacrime continuavano a cadere sul suo viso mentre Kōtarō cercava di consolarlo.

Kōtarō fece entrare Tetsurō, annunciò ai suoi genitori che un amico era andato a trovarlo e trascinò Tetsurō, ancora piangente, nella sua camera.
Lì, Kōtarō lo fece sfogare, non spinse mai Tetsurō per sapere cosa stesse succedendo o cosa lo avesse ridotto così.
Tetsurō ci mise quasi un'ora per calmarsi definitivamente.
Era ancora accoccolato tra le braccia di Kōtarō che continuava a consolarlo con un'incrollabile pazienza e un ancora più incrollabile affetto.
Sentendosi al sicuro in quel calore e in quell'affetto, Tetsurō parlò.

Raccontò tutto a Kōtarō.
Gli raccontò di quand'era piccolo e sua sorella era sempre al suo fianco. Gli raccontò di come i suoi discutevano quasi ogni notte e lui avesse paura ogni volta che sentiva le urla o i botti. Gli raccontò del divorzio dei suoi. Di come la madre avesse fatto le sue valigie e le valigie di Yumi e se ne fosse andata. Di come sua madre non si volse indietro per lui. Di come fu abbandonato da sua madre. Gli raccontò di come i litigi continuarono comunque, anche per telefono, e della sua abitudine di dormire con due cuscini che gli comprimevano le orecchie, nel tentativo di tagliare il mondo e i rumori fuori.
Gli raccontò tutto e alla fine del suo sproloquio, Kōtarō lo strinse a sé. Lo strinse a sé e lo coccolò. Kōtarō non disse niente, non disse il solito "Mi dispiace" che Tetsurō aveva sentito innumerevoli volte nel corso della sua infanzia e preadolescenza, e Tetsurō gli fu immensamente grato per questo.

Will love blossom or is it not destined to?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora