Capitolo 16

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«Senti,» mi disse Nathan. «devo tornare a casa. Mi hanno detto che c'è un problema, posso fidarmi a lasciarti qui da sola?» annuii e se ne andò, dopo avermi dato un dolce bacio sulla guancia. Era davvero carino con me.

Il portico di casa mia era sempre lo stesso, aveva l'identico tappeto che tutti i giorni la mamma puliva; era un po' più sporco del solito. Forse Nathan. aveva detto la verità. La zanzariera non era stata pulita, altro indizio. Aprii la porta, con molta facilità, dopo aver preso la chiave di scorta sotto il vaso di fiori, ormai seccati, sia per il freddo, sia per la mancanza di acqua. In questo periodo dell'anno la mamma, per paura che i fiori morissero, li prendeva e li metteva dentro casa, in cucina.

Entrai e l'odore di vaniglia mi invase. Pensai allora, che non tutte le speranze erano perse, così mi diressi a passo svelto in salotto, dove mi ricordai di quando ci passavo pomeriggi con mio babbo e mia mamma. Sulla televisione un velo di polvere, come in tutti gli altri mobili. Mi diressi in cucina, era tutto perfettamente sistemato. Aprii il frigorifero non trovandoci niente, seguito dal freezer. Andai in corridoio per poi salire le scale che dirigevano alle camere da letto. Entrai dentro la stanza dei miei genitori, anche quella sempre ordinata. Il letto rifatto, e sempre quel velo di polvere sulle varie mensole e su tutta la mobilia. Uscii, richiudendola alle mie spalle. Camera mia era la solita. Bianca. Il computer, però non era polveroso, anzi, per di più era acceso. Scrissi la mia password e vidi la chat di quelle tre. C'erano molti messaggi offensivi verso di me, come se io non li avessi potuti più leggere. Erano di ieri mattina. C'era scritto «troia», «puttana». E altre parole che non volli leggere. Non me ne feci un peso, non mi importava del loro giudizio verso di me. Erano le ultime che potevano giudicarmi. Presi una borsa e ci misi dentro tutti i miei libri, non potevo abbandonare la mia voglia di leggere.

Sentii un rumore provenire dal piano di sotto, facendomi accapponare la pelle. «C'è qualcuno?» urlai, mentre spegnevo il computer e mi avviavo alla porta, con la borsa stracolma. Non ricevetti risposta, così ripetei. Ma ancora nulla.
Andai di sotto col cuore in gola, dalla paura. Andai in cucina, ma nulla. Mi diressi, allora, verso il salotto. Trovai un uomo di mezza età, seduto sulla poltrona di mio padre, mentre mi fissava con due occhi a palla, di un colore blu intenso. Per lo spavento mi uscì dalla gola un'urlettino attutito. «Chi è lei?» domandai, con voce tremolante.
L'anziano mi sorrise, facendomi accapponare la pelle. Era un qualcosa di mostruoso. I capelli brizzolati, erano abbastanza lunghi, mentre la barba folta era bianca come il latte. «Chi è lei?» domandai di nuovo, un po' più sicura.
«Sono Malcom.»
«Chi?» continuai io.
«Sono il Capo.»
«Il Capo di che cosa, precisamente?»
«Signorina, io sono il Capo della Corte dei Vampiri.»
«O mio dio..» sussurrai, ripensando alle parole che mi erano state dette da Brad, nel giardino, il primo giorno in quella casa.
«E lei, chi è?»
«Io..ehm..io sono Emily.» balbettai in preda al panico.
Merda. Merda. Merda. C'ero fino al collo.
«Ha già fatto la sua scelta, signorina Emily?»
«No..» sussurrai. Anche se era inverno pieno, avevo iniziato a sudare, e respiravo a fatica.
«Tra poco è il suo compleanno, vero?» domandò. Annuii, incapace di spiccicare parola. Questo mi fa il culo, pensai. Poi pensai anche che non dovevo pensare. Se sapeva leggere nel pensiero ero ancora più nella cacca. Bene, pensa..pensa..ai koala. Così carini da piccoli..«Allora, non le dispiacerà se le faccio una bellissima festa. Con tutte le persone a lei più care.» Prima che potessi ribattere parola, lui continuò quella specie di monologo. «Ma certo che no!» rise alzandosi. «Bene allora, lo farò sapere ai suoi amici. Dovrà vestirsi elegante, altrimenti non sarà mai accettata dai suoi sudditi.» rimasi in silenzio. Eh?! Sudditi? O mio Dio, ma allora Brad non scherzava. Cazzo.
«Cara, senti, potresti portarmi un bicchiere d'acqua, ho la gola un pò secca.»
«Certamente.» farfugliai. Mentre mi dirigevo in cucina, prendevo un bicchiere e lo riempivo. Non sembrava una cattiva persona. Forse Brad aveva esagerato per mettermi spavento.

«Grazie.» disse.
Mi sedetti sul divano. «Cosa le hanno insegnato quei due?»
«In che senso, scusi?»
«Le hanno insegnato a comportarsi da vera principessa e futura erede al trono?»
«Bhè..» sussurrai.
Lui mi osservava senza spiccicare parola. Io facevo lo stesso, solo che non lo guardavo, ma avevo iniziato a fissare un angolino del tappeto, che in quel momento mi sembrava molto, molto interessante. «Cerchi di fare bella figura e di non infangare il buon nome di vostro padre, altrimenti lei potrebbe fare una brutta fine.» in quel preciso istante, ritirai tutto quello che avevo pensato sul fatto che non fosse una cattiva persona.
«Mio padre adottivo non era una persona da cui prendere esempio. Invece il mio vero padre..» Come si chiamava? «Mihaoc, non l'ho mai conosciuto.» l'avevo scampata alla grande, Brad aveva detto che lui non era il mio vero padre, ma Malcom non lo sapeva, quindi mi ero salvata la pellaccia, da sola, senza l'aiuto di nessuno.
«Suvvia signorina, non crederà che io creda che suo padre sia Mihaoc. Lo conoscevo bene, e lei è l'opposto. Non le somiglia per niente.» girò il bicchiere da mano a mano, con leggerezza. «Non creda che le farò del male, sapevamo tutti che sua madre adorava..divertirsi, di volta in volta.» mi fissava aspettando la mia reazione. Ero calma: da quando aveva detto che non mi avrebbe fatto del male, la mia vita era meno pesante.
«Ho controllato io in persona: suo padre è Vlad III.»
«Chi?» fantasia nei nomi zero, tanto valeva si chiamasse Dracula. Cercai di non ridere.
«Vlad III Dracul. Suvvia,» sbuffò esasperato. I suoi "suvvia", davano sui nervi. «Il Conte Dracula.» ci fu un momento di pausa. «Lei è sua figlia.»
Avevo il cervello annebbiato.
«Aveva anche dei fratellastri. Però furono tutti uccisi durante l'incendio, creato dai rivoltanti umani. Ma lei, fortunatamente o non, è viva, ma se continua così non ancora per molto.»
Di bene in meglio, pensai euforica. Per poi svenire senza un motivo.

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